Nell'ambito della tradizionale celebrazione dell'annata di cinema che ci lasciamo alle spalle, abbiamo l'abitudine di pubblicare una Top 20 di redazione ricavata dalle preferenze personali di ognuno dei redattori di Movieplayer.it sulla base delle uscite italiane del 2013. Quest'anno abbiamo deciso di rendervi partecipi anche di questi singoli contributi: pubblicheremo dunque, in singole news, le top 20 personali, con in aggiunta un commento di ogni "curatore". Le news, che in totale saranno tredici, saranno infine raccolte nell'articolo di commento alla classifica generale delle preferenze dello staff, affinché tutti possano curiosare tra i colpi di fulmine dei singoli redattori. Se poi volete dare il vostro contributo e tirare quindi le somme sul vostro 2013 filmico (e televisivo), potete farlo partecipando a Movieplayer.it Awards.
Ma adesso lasciamo la parola a Marco Minniti e alla sua Top 20:
- Django Unchained
- Il passato
- Lincoln
- Zero Dark Thirty
- Before Midnight
- La vita di Adele
- Re della terra selvaggia
- The Master
- Blue Jasmine
- Solo Dio perdona
- Holy Motors
- La grande bellezza
- No - I giorni dell'arcobaleno
- To the Wonder
- Into Darkness - Star Trek
- Jimmy Bobo - Bullet to the Head
- La leggenda di Kaspar Hauser
- The Grandmaster
- Rush
- Flight
Ma non si vive di sola autorialità: e allora, che c'è di male a dire che anche Ron Howard ha un posto, diciamo anche un posticino, pur piccolo, nella formazione cinematografica del sottoscritto? E che un film come Rush, laddove riesce a far appassionare uno come me (che, in genere, davanti a una gara di Formula 1, chiude gli occhi in preda alla sonnolenza dopo pochi secondi) alla storia di Niki Lauda e James Hunt, dev'essere evidentemente un'opera notevole? E che male c'è a dire che Flight, per derivativo e a volte didascalico che sia, ha una sequenza iniziale che è tra le più emozionanti, tra quelle ambientate su un aereo, che la storia del cinema ricordi? Non parliamo, poi, di Jimmy Bobo - Bullet to the Head: insomma, Walter Hill e Sylvester Stallone in un solo film, due miti (pur così diversi) che dal passato urlano la loro voglia di fare del cinema esplosivo e moderno, di divertire e divertirsi: si poteva lasciar fuori un film del genere? Mi è dispiaciuto non poco, piuttosto, non poter piazzare The Grandmaster più su, visto l'amore che da sempre mi lega al cinema di Wong Kar-Wai: ma, per visivamente bellissimo che sia, il suo ultimo film soffre di limiti narrativi non indifferenti. Ciò non mi impedirà, ovviamente, di godermelo di nuovo su un piccolo schermo, più e più volte.
Anche un cineasta come Nicolas Winding Refn, con Solo Dio perdona, ha citato tanto del cinema che il sottoscritto ama: e, così come Farhadi (con un gusto più estetizzante, ma non meno rigore) ha piegato ancora una volta il genere alla sua visione autoriale. Funziona meno di Drive? Forse. Ma un'argomentazione del genere non ne riduce, in sé, i meriti.Nel frattempo, La grande bellezza sta ricevendo i meritati riconoscimenti internazionali, e forse non si fermerà qui. Ed era, obiettivamente, difficile ignorarlo: anche perché è difficile ignorare le complesse sensazioni, quel disagio mescolato al gusto contemplativo, che il film di Paolo Sorrentino lascia nella retina, nella mente, nel cuore. Ma era difficile anche ignorare l'amore complesso, prolungato dolorosamente negli anni, raccontato in Before Midnight e La vita di Adele, o il volto, espressivo in modo disarmante, della piccola Quvenzhané Wallis in Re della terra selvaggia; o ancora la dolente storia di dipendenza e sottomissione messa in scena da Paul Thomas Anderson in The Master. A molti non sarà sfuggita nemmeno la presenza in classifica di To the Wonder di Terrence Malick, film non certo amato da gran parte della critica: beh, i fischi di gran parte dei miei colleghi, nel corso dell'anteprima veneziana risalente a ormai più di un anno fa, più ci penso e più continuano a non andarmi giù. Malick, pur nel suo film forse più complesso e imperfetto, meritava meno superficialità nell'approccio. Di questo, a tanto tempo di distanza, il sottoscritto resta profondamente convinto. Non mi dilungo oltre, ed evito di annoiare ulteriormente il lettore. Mi limito a ricordare che, così come ha fatto Ron Howard per la Formula 1, a J.J. Abrams, regista di Into Darkness - Star Trek, andrebbe dato un premio per aver avvicinato il sottoscritto alla saga dell'Enterprise; che No - I giorni dell'arcobaleno è una riflessione perfetta, ed emozionante, sulla comunicazione e su come le modalità di trasmissione di un messaggio possano influenzarne, in modo decisivo, la ricezione; che La leggenda di Kaspar Hauser, di Davide Manuli, è anch'esso un trattato in immagini sulla comunicazione, raccontato nella forma più pura e astratta possibile. Chiudo con un auspicio: che Leos Carax, autore di quell'Holy Motors che fu una delle più destabilizzanti visioni di Cannes 2012 (arrivato nelle nostre sale un anno dopo: meglio tardi che mai) non impieghi altri 13 anni per dirigere un nuovo lungometraggio. Sarebbe un peccato non avere, nelle prossime Top 20, altre opere così geniali e fuori dagli schemi." (Marco Minniti)