Per chiunque arrivi a New York e sia innamorato del cinema la ricerca della famosa panchina di Manhattan diventa un fatto d'onore, perché quell'immagine è diventata simbolo di un mondo di raccontare e vivere i sentimenti strettamente legato alla città. Dietro quel particolare fotogramma, però, oltre alla poetica di Woody Allen c'è soprattutto la visione in bianco e nero di Gordon Willis, uno dei più grandi e raffinati direttori della fotografia deceduto ieri a 82 anni con all'attivo un solo Oscar onorario assegnatogli nel 2010. Ma una carriera come quella percorsa e costruita da Willis non ha certo bisogno di riconoscimenti ufficiali per essere considerata eccezionale. Il suo lungo viaggio nel cinema inizia nel 1972 accanto a Francis Ford Coppola, con il quale mette in scena tutta la libertà espressiva e tecnica che rese Il padrino una delle pellicole più influenti nel panorama cinematografico. Nonostante questo inizio esaltante, per Coppola realizzò l'intera trilogia, l'incontro della sua vita professionale avviene nel 1977.
E' l'anno di Io e Annie e del suo connubio con Woody Allen, di cui sposò la visione sofisticata e sperimentale. A quella pellicola seguirono film ancora più attenti all'uso dell'immagine a fini narrativi come Manhattan, appunto, Una commedia sexy in una notte di mezza estate, Zelig e La rosa purpurea del Cairo. Film che vennero quasi tutti realizzati in bianco e nero perché, come lo stesso Wills ha ricordato negli anni, " a quel tempo Woody aveva una preferenza naturale per tutto quel materiale che poteva essere trasformato in un film in bianco e nero." Ma The Prince of The Darkness, come veniva chiamato ad Hollywood per la sua caratteristica di usare minor luce possibile, non aveva certo bisogno del colore per rendere indimenticabile un'immagine.