Forse non tutti sanno che Francesco Pannofino, doppiatore di star come George Clooney e mitico René Ferretti nella serie Boris, è stato, da giovane, testimone di uno dei fatti più drammatici della storia italiana: il sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, avvenuto il 16 marzo del 1978 in via Fani a Roma.
Il ricordo di quella vicenda emerge all'interno del libro di Marco Damilano, Un atomo di verità, uscito due anni fa in occasione del quarantennale sia del rapimento che dell'assassinio dell'allora presidente della Democrazia Cristiana, e rieditato queste settimane per essere venduto in allegato a La Repubblica e L'Espresso. Il volume ricostruisce, tra ricordi personali e documenti, quella cinquantina di giorni che sconvolsero il nostro Paese, evidenziando come i fatti di allora abbiano avuto a livello psicologico e storico lo stesso peso che per gli Stati Uniti è stato l'omicidio di John F. Kennedy del 22 novembre 1963. E' stata la 'nostra Dallas'.
All'epoca Francesco Pannofino aveva quasi vent'anni, abitava a pochi passi da quell'incrocio in cui si sarebbero svolte le vicende che avrebbe modificato per sempre l'Italia ed era un giovane studente al primo anno di università. Di solito ci andava in motorino, ma quella mattina del 16 marzo, non ci fu verso di farlo partire, così non gli restò altra opzione che prendere l'autobus. Per ingannare l'attesa comprò Il Messaggero dall'edicola Pistolesi che si trovava al centro dell'incrocio tra via Stresa e via Fani e si immerse nella lettura delle notizie sportive con al centro l'epica impresa della Juve che aveva battuto l'Ajax in Coppa dei Campioni. Aveva iniziato a leggere le prime righe quando: "Cominciai a sentire i colpi". Così ha ricordato ad Antonello Piroso in una intervista del 2018.
Sono le 9.02 del mattino, la macchina con a bordo Aldo Moro, seguita da quella con la sua scorta, ha appena imboccato lo svincolo che dà su via Fani quando un'altra macchina guidata dal capo delle Brigate Rosse, Mario Moretti, sbuca a tutta velocità e la blocca. Il mezzo con a bordo Moro è costretto a frenare all'improvviso tanto che l'auto della sua scorta va a tamponarlo. Contemporaneamente da una siepe di fronte al bar Olivetti - che poi sarà uno degli snodi centrali delle inchieste successive - escono fuori quattro brigatisti vestiti con divise da aviere dell'Alitalia: hanno dei mitra in mano. E iniziano a sparare furiosamente. "Di solito si dice che sembrano scoppi di petardi. No, quelli avevano i mitra, e il rumore era più quello di un martello pneumatico, tra-tra-tra-tra-tà. Capii che erano spari e fermai una donna che, in preda al panico, voleva rientrare a casa andando però proprio in quella direzione. - Così ricorda ancora l'attore e doppiatore - Alla fine scese un silenzio pesantissimo, una sospensione della realtà. A un tratto sentii le urla della ragazza dell'edicolante, abbracciata a lui. E poi mi ritrovai di fronte alla mattanza".
Tutto durò tre minuti, in appena 60 metri di asfalto. I carabinieri che avevano il compito di proteggere Moro vennero colpiti in modo fulmineo mentre l'ex presidente del Consiglio fu rapidamente caricato su una 132 blu per poi sparire tra il traffico di una Roma che non sa ancora di essersi risvegliata in un incubo che durerà quasi due mesi. La scena è agghiacciante, come racconta Pannofino: "Mi avvicinai calpestando non so quanti bossoli. Vidi il corpo fuori dall'auto di uno dei carabinieri, Raffaele Iozzino, e realizzai che uno degli altri era ancora in vita, con la testa piegata sul busto, pieno di sangue, Francesco Zizzi, che poi morì in ospedale". La macchina di Moro aveva lo sportello aperto con tutti i giornali per terra e con: "Quei giornali un signore ha pietosamente coperto il corpo di Iozzino che era per terrà, lì così", dirà in un'altra intervista rilasciata proprio ripercorrendo i luoghi dell'agguato insieme a Ezio Mauro in una serie di documentari su quei giorni concitati che lo hanno segnato così tanto da scriverci anche una canzone: Il sequestro di Stato.
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Pannofino è stato, infatti, il primo testimone presente in via Fani al momento dell'agguato, quello che ha vissuto in diretta quegli eventi e proprio per questo motivo è stato anche chiamato nel 2015 a testimoniare alla commissione parlamentare presieduta da Giuseppe Fioroni che ha svelato dettagli inediti e soprattutto inquietanti su quei tragici minuti. Perché, riprendendo le parole di Gero Grassi che si è occupato del 'caso Moro' in modo approfondito, quel 16 marzo non c'erano le Brigate Rosse, semmai c'erano "anche le Brigate Rosse". Tutt'ora infatti, le modalità precise dell'operazione - denominata in codice dalle BR come "Fritz" - , come i dettagli ma anche le circostanze precedenti e successive all'attacco e soprattutto la presenza di componenti estranee ai terroristi o di connivenze e aiuti esterni rimangono oggetto di dibattito in sede processuale, parlamentare e giornalistica.
Materia di cui anche il cinema, naturalmente, si è prestato a raccogliere anche se con modalità differenti, dalla fiction ai documentari. Il caso Moro di Giuseppe Ferrara con Gian Maria Volonté ne ripercorre le vicende in modo cronachistico, senza però nessun accenno a queste ipotesi che invece ritroviamo in L'anno del terrore di John Frankenheimer e Piazza delle Cinque Lune di Renzo Martinelli. Nel 2003 Marco Bellocchio ha ricostruito, con una rilettura originale delle memorie dell'ex brigatista Anna Laura Braghetti, la prigionia di Moro in Buongiorno, notte, affidando a Roberto Herlitzka il ruolo principale e in anni più recenti la figura dello statista appare anche in Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana - lo interpretava Fabrizio Giffuni - e ne Il divo di Paolo Sorrentino. Tra i tanti documentari è invece da ricordare Il sequestro Moro. Gli altri testimoni di Mary Mirka Milo che ricostruisce tramite il punto di vista dei quattro testimoni presenti proprio i fatti di via Fani. Tra loro c'è ovviamente Francesco Pannofino.