You Don’t Know Me, la recensione: colpevole o non colpevole?

La recensione di You Don't Know Me, la nuova serie Netflix che vi farà dubitare di ciò che sia giusto o sbagliato.

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You Don't Know Me: Un'immagine della serie

Sulla piattaforma streaming Netflix ha finalmente fatto il suo debutto You Don't Know Me, un courtroom drama britannico in 4 episodi originariamente prodotto per BBC e trasmesso in patria già nel 2021, che da noi è arrivato tuttavia solo in questi giorni e senza troppi proclami. Ma come si suol dire, meglio tardi che mai, no? Perciò approfittiamo di questa occasione e andiamo ad esplorare pregi e difetti della serie in questa recensione di You Don't Know Me.

Questioni di semantica

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You Don't Know Me: Un'immagine della serie

You don't know me. Tu non mi conosci o, se preferite, voi non mi conoscete, a seconda di chi sia l'interlocutore. Un titolo così si potrebbe intendere in diversi modi, ma è anche vero che potrebbe nascondere più significati allo stesso tempo. Perché nella nuova serie Netflix noi non conosciamo il protagonista (interpretato da Samuel Adewumni), un uomo accusato di un omicidio che cerca di convincere la giuria della sua innocenza raccontando la sua versione dei fatti. Non lo conosciamo perché non viene mai reso noto il suo nome, dato che viene indirizzato sempre con una serie di epiteti (come ad esempio "l'imputato") o direttamente come Hero laddove deve essere indicato al di fuori della diegesi, e non lo conosciamo perché fin dall'inizio non sappiamo se è un narratore affidabile. Inoltre lui stesso sembra fare appiglio a queste parole come a volerle rivolgere ai presenti in tribunale, e finisce persino a ritrovarsi dall'altro capo del discorso. Perché cosa sembra sapere davvero delle persone che lo circondano, in primis la donna di cui si è innamorato?

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Chi giudica e chi è giudicato

È in questa complicata cornice che si presenta la miniserie scritta da Tom Edge (The Crown, Judy) e diretta da Sarmad Masud (Bullet Proof, Ackley Bridge), che prende ispirazione dall'omonimo romanzo di Imran Mahmood. Un racconto suddiviso in quattro parti da 55 minuti circa ciascuna che all'apparenza cerca di far luce sull'omicidio di Jamil Issa (Roger Jean Nsengiyumva), uno spacciatore londinese il cui assassino si è in procinto di decretare in tribunale, ma che in realtà vuole andare molto più a fondo.

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You Don't Know Me: Un'immagine della serie

Tra echi di In difesa di Jacob e Se la strada potesse parlare, ricordando anche un po' per certi versi prodotti come The Hate U Give, You Don't Know Me è una lunga arringa che fa appello allo spettatore più che ai suoi personaggi. Rivolge le domande importanti a chi è lì, fisicamente in tribunale, ma concettualmente dietro lo schermo. Siamo noi quelli chiamati ad ascoltare; siamo noi quelli chiamati a giudicare; e siamo noi quelli chiamati a decidere le sorti di un uomo e di tutti gli individui coinvolti in questa vicenda.

Domande e risposte

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You Don't Know Me: Un'immagine della serie

Certo è lecito farsi delle domande anche sulla forma con cui il tutto ci viene presentato. Ci si potrebbe chiedere, per cominciare, se un tale lavoro non potesse essere concentrato in minor tempo. La serie si affida alle opportunità donate dal mezzo televisivo di allungare il racconto e attingere a un teoricamente più profondo pozzo colmo d'emozioni, come l'angoscia, l'ansia di non sapere e voler scoprire, che suscita per l'appunto una dilatazione della narrazione, ma che tuttavia non sempre è giustificato sfruttare (un lungometraggio da, ipotizziamo, 2 ore e 40 minuti circa avrebbe potuto ottenere simili effetti, anche se la forma seriale permette di imbastire con maggior facilità la parte finale).

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You Don't Know Me: Un'immagine della serie

Oppure ci si potrebbe chiedere quanto avrebbe effettivamente influito un occhio diverso dietro la cinepresa. Una domanda che ci si può porre in tanti casi, ma che qui più che in altri non stonerebbe: nonostante alcune scene in cui la mano del regista è consapevolmente più evidente e mostra apprezzabili guizzi creativi (pensiamo alla contrapposizione tra cibo e dramma sul finire del secondo episodio), non si nota uno stile particolare che possa essere associato immediatamente al prodotto in questione. Molte scelte registiche appaiono più obbligate che volontarie, ma forse anche qui c'è un trucco. Forse anche qui si cela l'inganno. Forse, l'intento è proprio quello: rivelarsi solo quando è estremamente necessario, e lasciare che la storia prosegua da sé. Scelte apprezzabili? Sta allo spettatore, a questo punto, decretarlo, proprio come il vero esito del processo.

Conclusioni

La nostra recensione di You Don't Know Me è giunta al termine, ma cosa ne traiamo? Che abbiamo di fronte una serie che si affida allo spettatore come gli uomini fanno con le stampelle dopo un infortunio, chiedendo tacitamente una mano nel camminare perché altrimenti non arriverebbe a destinazione… O forse ci arriverebbe anche, ma come? E quale sarebbe il punto, allora? Se vi piacciono i courtroom drama meno improntati sull'aspetto legale e più sull'aspetto umano e psicologico, allora questa potrebbe essere la serie per voi. Se invece vi aspettate la dinamicità tipica di un How To Get Way With Murder, potreste non ritrovare sullo schermo esattamente ciò che cercate.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.1/5

Perché ci piace

  • Offre interessanti spunti di riflessione sul rapporto tra moralità e legalità.
  • Solide interpretazioni da parte del cast.
  • Fa affidamento sullo spettatore chiamandolo in causa e rendendolo in un qualche modo partecipe...

Cosa non va

  • ... ma forse anche troppo, per certi versi.
  • A tratti può risultare eccessivamente prolisso.
  • Non brilla particolarmente per intuizioni registiche.