È davvero incredibile ritrovarci a scrivere la recensione di You 4 - Parte 2, a un mese di distanza dalla prima, e poter constatare come si tratti forse della stagione migliore dopo la prima della serie Netflix, che può smentire per una volta l'idea che la piattaforma tiri troppo per le lunghe i suoi prodotti e li sfrutti fino a che non hanno più niente da dire. Si tratta di una stagione che riunisce le tematiche affrontate nel corso dello show mettendo in scena la condizione del protagonista in modo molto più profondo e attento di quanto possa sembrare ad una visione superficiale, anche perché lo fa attraverso il potente strumento dell'intrattenimento. Una serie che potrebbe insegnare anche a Stranger Things come si realizza una stagione divisa in due blocchi, con buona pace del tanto temuto algoritmo. Ma andiamo con ordine.
Guilty pleasure
Già nella recensione della prima parte della quarta stagione avevamo parlato di quel brutto fenomeno che è l'hate watching, che in versione più "soft" diventa un guilty pleasure. Non staremo qui a ripeterci ma ribadiamo solamente che questa stagione più di tutte dimostra quanto sia dannatamente semplicistico ridursi a dover giustificare la visione di una serie solo apparentemente superficiale ma che nasconde una grande satira della nostra società e soprattutto che può far emergere come poche altre la malattia dello stalking. Detto questo, alla fine della prima parte di You 4 in molti di voi avranno potuto pensare: "Che peccato che il colpevole sia stato rivelato, hanno chiuso giustamente il primo blocco ma ora il secondo risulterà ridondante". Avevamo lasciato infatti il nostro Joe (un perfetto Penn Badgley), ora Jonathan Moore, professore di letteratura in un'università inglese, che aveva rinunciato all'amore (ossessione?) per Kate (Charlotte Ritchie) ed era determinato a smascherare Rhys (Ed Speleers) come "serial killer dei ricchi" ora che l'uomo si è candidato ufficialmente a sindaco di Londra.
La verità... svelata
La storia riprende quindi esattamente da lì con dei colpi di scena ben assestati che attendono il nostro Joe/Jonathan e che vogliono mettere in luce una volta per tutte la sua malattia, quella dello stalking. Attraverso delle trovate solo apparentemente superficiali e d'intrattenimento, c'è un grande lavoro di psicologia nella scrittura e nella caratterizzazione del personaggio, per ricordarci che non è qualcuno da amare o per cui parteggiare, e per aiutarci a comprendere i difficili e tortuosi labirinti della mente umana, soprattutto quella criminale. Dopo aver giocato con gli whodunit di Agatha Christie, un nuovo genere letterario e un nuovo romanzo di riferimento faranno capolino nei nuovi cinque episodi a chiudere perfettamente il cerchio tanto per la serie quanto per la stagione, e a confermare l'identità fortemente letteraria del serial. A proposito di libri, ne è passata di acqua sotto i ponti dello streaming dal materiale originario del romanzo di Caroline Kepnes, e Greg Berlanti e Sera Gamble sono stati parecchio furbi in questo quarto ciclo di episodi riuscendo a giocare con gli stessi pregi e difetti dello show, destrutturandolo e ricomponendolo davanti agli spettatori. Una sorta di operazione seriale a cuore aperto pronta a svelare finalmente tutte le carte in tavola dei personaggi senza dimenticare nessuna colpa passata di Joe.
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Nella mente di Joe
Gli autori non si sono dimenticati nemmeno delle storie "di contorno" che hanno complicato ulteriormente la vita al nostro Joe/Jonathan in questa quarta stagione, ovvero quelle legate all'aristocrazia inglese, fatta di lusso ed eccessi senza fine e senza ritegno, e ancora una volta la critica che aveva aperto lo show sulla disparità sociale viene riproposta e trova una sua conclusione. Trasformando Joe in un'evoluzione sanguinolenta di Dan Humphrey contro l'Upper East Side londinese. Un romanzo psicologico che trova la sua ragion d'essere anche nell'aver saputo costruire due blocchi stagionali su due storyline importanti e allo stesso tempo su un unico disegno spezzettato nella visione, senza bisogno di ricorrere ad un minutaggio elevato (ci hai sentito Stranger Things?).
C'è una sorta di chiusura nella storia, sempre accompagnata dal voiceover di Penn Badgley, vero motore di tutta You, a cui tiene testa Charlotte Ritchie con la sua Kate, e da una colonna sonora i cui brani musicali hanno un testo per niente casuale. Perfetta controparte in questo senso sarà la studentessa zelante e fin troppo arguta Nadia (Amy-Leigh Hickman), che diventerà il contraltare di Joe e Rhys e l'unica ad aver avuto delle intuizioni azzeccate (d'altronde è lei che aveva "insegnato" le regole del giallo al professore). L'epilogo finale potrebbe far storcere il naso a più di qualche spettatore ed è forse l'unica vera grossa nota stonata di questa stagione, ma pone anche le basi per una quinta (ed ultima, lo diciamo) che vada a chiudere definitivamente e degnamente la storia del nostro stalker del cuore. Se riuscirà a farla franca per l'ennesima volta.
Conclusioni
Concludiamo la recensione di You 4 - Parte 2 estasiati dal lavoro fatto da Greg Berlanti e Sera Gamble in questa stagione, tanto nella prima parte quanto nella seconda, che si separano e allo stesso tempo si uniscono perfettamente tra di loro per arrivare ad un finale che potrebbe infastidire i fan ma pone le basi per un'ultima stagione. Penn Badgley è ancora una volta il fulcro del successo di questo show e il lavoro psicologico fatto sul suo personaggio offre nuovi e inquietanti spunti di riflessione, per non far dimenticare l'argomento criminale alla base della serie.
Perché ci piace
- Penn Badgley è ancora una volta magnetico tanto in scena quanto come voce narrante.
- Charlotte Ritchie è un contraltare femminile interessante e sfaccettato.
- Il genere letterario di riferimento cambia ancora una volta e i colpi di scena ben assestati non mancano.
- Si chiudono tutte le storyline aprendo un varco per una possibile quinta ed ultima stagione…
Cosa non va
- … e speriamo non si rovini l’ottimo lavoro fatto in questa, allungando ulteriormente la narrazione.
- Il finale potrebbe infastidire più di qualche fan.