La recensione del finale di Yellowstone 3, non può che confermare quanto la serie sia una scommessa vinta da parte di Taylor Sheridan, tra gli sceneggiatori di maggior caratura del cinema di oggi. Con un cast di primordine, Yellowstone ci ha guidato tra i pascoli del Montana, mostrandoci la lotta per il potere e per la terra, tra la dinastia dei Dutton e nativi assetati di vendetta e riscatto, speculatori, boss mafiosi e criminali. Il tutto connettendosi a problemi familiari, sparatorie e un clima di omertà e violenza a dir poco affascinante. Con questa terza stagione però, c'è stato un notevole balzo in avanti in termini di qualità della scrittura, riuscendo a connettere il western con il crime, accarezzando talvolta anche atmosfere shakespeariane. Questo finale di stagione, che lascia aperta la porta a nuovi sviluppi e ad una frattura interna ai Dutton dagli esiti imprevedibili.
Il volto di un nuovo nemico
Taylor Sheridan con Sicario, Hell or High Water e I segreti di Wind River ha all'attivo tre sceneggiature sul tema della frontiera in America non da nulla. In questo finale di Yellowstone 3 ha saputo fare ciò che era necessario: alzare il tiro. Soprattutto si è concentrato nel donare una nemesi ben più realistica, spietata e imprevedibile di quelle che avevano dato l'assalto al ranch dei Dutton nelle due passate stagioni. Ora in Yellowstone il nemico non è più il fiero ed in fondo coerente Capo dei nativi Thomas Rainwater (Gil Birmingham), l'affarista un po' insicuro Dan Jenkins (Danny Houston), ladri di bestiame o spietati gangsters come i fratelli Beck. Ora il pericolo ha il volto solare, sfrontato ma intimamente fanatico di Roarke Carter (Josh Halloway, il Sawyer di Lost), apripista e segugio di una conglomerata finanziaria potentissima e avida: la Market Equities, decisa a mettere le mani su tutta la valle, compreso il ranch dei Dutton. L'intenzione è quella di costruire un aeroporto internazionale, una stazione sciistica e un'intera nuova città ad essa connessa. Per perseguire tale fine, i capi di Roarke, Ellis Steele (John Emmet Tracy) e la spietata Willa Hays (Karen Pittman) non hanno lasciato nulla al caso, ed hanno sia offerto una fortuna ai Dutton, sia minacciato di mandarli in rovina. Non mancano sparatorie, risse e drammi in questo finale di stagione, ma sono le interazioni ad essere veramente interessanti. Sheridan fa luce sul passato doloroso e pieno di sofferenza dei vari protagonisti, Beth (Kelly Reilly) e Jamie (Wes Bentley) su tutti. A uscirne peggio è proprio il personaggio interpretato da Kevin Costner. Il suo John Dutton appare sempre meno perfetto, sempre più un uomo governato da egoismo, autoreferenzialità e una totale mancanza di empatia o dialogo.
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Ricreando la morte del West
Il finale di Yellowstone 3, porta dentro l'iter narrativo una grande metafora storica, connessa alla fine del West, della frontiera. I Dutton, i nativi, volendo anche le nemesi precedenti, in fin dei conti appartenevano (o volevano appartenere) a quel mondo, a quella valle, fondersi con essa. I nativi rivogliono ciò che era stato strappato loro dai coloni, di cui i Dutton sono bene o male gli imperatori, ma nessuno vuole distruggere foreste o pascoli in nome del "progresso". La Market Equities invece, vuole l'urbanizzazione, il turismo di massa, portare la cosiddetta civiltà nell'ultimo angolo di West. Rainwater è ciò che rimane dei nativi, i Dutton di quei coloni che li distrussero e gli presero la terra, ma sono niente rispetto al capitalismo, ai colletti bianchi dell'est, alle industrie e al cemento. La Market Equities, grazie a Sheridan, diventa sostanzialmente l'erede di quella ferrovia, di quei petrolieri e colossi finanziari, che distrussero i bisonti, i fiumi, il West, compreso chi lì dentro vi abitava. Dalla dimensione del cinema sulla frontiera, con sparatorie a viso aperto, rodei e cavalli, Yellowstone in questo finale di terza stagione, diventa sempre più simile ad un crime, a certe serie tipo Narcos o Suburra. Ora vi sono attentati, sicari, le guerre si fanno con le azioni e l'indice di borsa, con acquisizioni forzate ed avvocati, è una strada fatta di tradimenti, menzogne, cupidigia. Ovvio che tale escalation non possa che mettere a nudo le fragilità e le incoerenze nei personaggi, ed anche in questo Yellowstone riesce ad evitare deja vu o di commettere l'errore di trattare troppo bene i suoi personaggi.
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Nessuno è innocente in Yellowstone
Kayce Dutton (Luke Grimes) apparentemente sarebbe l'unico vero eroe della serie. Ma nella realtà, proprio questo finale di stagione ce lo mostra costretto a sporcarsi le mani, corteggiato dal potere dell'autorità, mentre sia lui che la moglie Monica (Kelsey Asbille) cominciano a mentirsi a vicenda, a vedere il destino della valle in modo opposto. Tuttavia l'iter più interessante è quello di Jaime, che dopo aver scoperto di essere stato adottato, di essere figlio di un ex galeotto uxoricida (interpretato da Will Patton), smette di voler compiacere il padre, sceglie di non essere più una pedina, ma un conquistatore. In fondo non è mai stato veramente figlio di John Dutton, tanto vale non esserlo più per davvero. Rip Wheeler, beneficia da sempre di un Cole Hauser che si conferma tra gli attori più sottovalutati del panorama. In questo finale di terza stagione, pur legandosi ufficialmente a Beth, appare paradossalmente sempre più solo, sempre più il sicario e manovale del suo padre-padrone. La cosa più interessante di Yellowstone è quanto egli accetti passivamente e senza rimpianti il codice semi-medioevale del ranch Dutton. Un ranch che lo stesso capofamiglia, rende sempre più simile ad una cosca mafiosa. Nelle due passate stagioni avevamo compreso cosa significasse quel marchio. Questa terza lo fa diventare palesemente la catena ai polsi di vari altri protagonisti, dal fragile Jimmy (Jefferson White) al redivivo Walker (Ryan Bingham).
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Lo scontro tra l'est ed ovest americani
Il finale di questa stagione, se ha un difetto, è nell'escalation finale degli ultimi venti minuti, di come improvvisamente vi sia la calata dei barbari, degli squadroni della morte pagati dal capitale che non si arrende. Ma è l'unica pecca in una terza stagione cupa, presaga di morte, tradimento e fallimento, in cui la famosa "parola data" della frontiera non vale nulla, in cui bene o male Yellowstone più che proporci stereotipi, ci fa capire come in realtà per una certa fetta di America, le cose non siano mai cambiate da quando i fratelli James rapinavano banche o Cavallo Pazzo era a caccia di scalpi. Kayce viene scelto dagli allevatori come possibile Governatore. Non vogliono la modernità, non vogliono "la legge" se non la loro legge, quella del capestro, della sei colpi, della frontiera, che vive in ogni americano, negli stessi che hanno assaltato il Congresso con addosso stetson e stivali, giacche con le frange e bandiere confederate. Non esiste una legge in America, ognuno ha la sua. Cosa ci riserverà la quarta stagione è difficile dirlo, ma le premesse per una lotta tra passato e presente, tra est ed ovest americano sono davvero interessanti. Come lo è la Beth di Kelly Reilly, uno dei migliori personaggi femminili visti sul piccolo schermo negli ultimi anni, una donna forte, emancipata, piena di dolore, sovente perfida ma anche dotata di una straordinaria coerenza. Vederla all'opera, rimane sempre qualcosa di fantastico in ogni episodio.
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Conclusioni
Come abbiamo detto in questa recensione del finale di stagione di Yellowstone 3, questo episodio ha confermato la grande capacità da parte di Taylor Sheridan di stupire il pubblico, con colpi di scena ed uno stile in cui a farla da padrone è l'incertezza e la mancanza di retorica. Per quanto talvolta forse un po' troppo frettolosa nelle svolte narrative, questa terza stagione ha posto delle premesse di assoluto interesse per la quarta, chiarito molti dei misteri che circondavano i protagonisti, ed offerto un'analisi assolutamente attuale sull'eredità del mito della Frontiera nella società americana.
Perché ci piace
- La capacità di sorprendere con colpi di scena e una scrittura che mette al centro i personaggi e le loro interazioni
- L'assenza di retorica, un universo che si conferma abitato da personaggi torbidi e non facilmente definibili
- Un'analisi molto attuale sulla conflittualità nella società americana, divisa sia culturalmente che economicamente
Cosa non va
- Una certa frettolosità con cui gli ultimi venti minuti hanno posto le basi per la prossima stagione