Yannick - La rivincita dello spettatore rappresenta la quadratura del cerchio del cinema di Quentin Dupieux. Il regista francese che ha fatto del neosurrealismo il suo marchio di fabbrica realizza la sua opera più compiuta, compatta e comprensibile partendo proprio da un'intrigante riflessione sull'arte, sulla sua fruizione e sul rapporto attore/spettatore. La quarta parete di brechtiana memoria è stata infranta ormai decine e decine di volte, ma mai prima d'ora in modo così irriverente e rivelatorio come nel film di Dupieux che, pur inserendosi in binari meno astrusi del solito, non manca di stupire lo spettatore con trovate argute e sorprese di ogni genere.
Ma chi è lo Yannick del titolo? Di fatto è un semplice spettatore di una mediocre pièce teatrale che si erge prima a critico e poi, addirittura, ad autore. In un teatro parigino va in scena la commedia Il cornuto, incentrata su un triangolo sentimentale tra una coppia di sposi (Pio Marmaï e Blanche Gardine) e l'amante di lei (Sébastien Chassagne). All'improvviso dal pubblico si leva una voce di protesta. Yannick (Raphaël Quenard), guardiano notturno in preda a una crisi di nervi, interrompe la rappresentazione per lamentarsi di ciò che sta andando in scena sotto i suoi occhi, innescando un dibattito tra attori e pubblico sul senso dell'arte.
La quadratura del cerchio
In 67 fulminanti minuti, Yannick - La rivincita dello spettatore punta il dito contro i meccanismi del teatro (e dell'arte in generale) riflettendo sulla natura dell'opera e sul suo scopo ultimo, ma lo fa in modo totalmente irriverente smontando la regola principe della rappresentazione: mai disturbare gli attori in scena. Il nevrotico Yannick non teme l'ira degli interpreti e non ha paura di rendersi ridicolo infrangendo il tabù dei tabù teatrali. Anzi, le sue rimostranze suscitano dapprima reazioni infastidite da parte degli altri spettatori, ma poi il guardiano trova sponda in alcuni membri del pubblico, che si uniscono alle recriminazioni scatenando un vero e proprio putiferio.
Ritmo scoppiettante, grandi performance (da antologia i tempi comici di Blanche Gardine, mentre Pio Marmaï incarna alla perfezione l'attore isterico ferito nel proprio ego, ma a svettare su tutti è Raphaël Quenard nei panni del polemico e imprevedibile Yannick), una sceneggiatura compiuta in cui tutto sembra funzionare alla perfezione. Ma la qualità che si apprezza maggiormente in Yannick è l'assenza di quelle astruserie che rappresentano il marchio di fabbrica del cinema di Quentin Dupieux, ma spesso rendono impossibile seguire il filo conduttore della storia.
Satira o autocritica?
In Yannick, Dupieux sembra voler fare un passo indietro sfrondando il suo lavoro dei barocchismi che solitamente insegue e concentrandosi sull'elemento umano. Questo ritorno all'origine si sposa alla perfezione con la scenografia spoglia e con l'unità di tempo, luogo e azione perseguita con rigore. "Non trovo lo spettacolo divertente. Mi sento peggio di quando sono entrato" annuncia laconico Yannick, introducendo il tema della funzione dell'arte e del diritto alla lamentela dello spettatore insoddisfatto. Il guardiano si lagna di aver preso un giorno di permesso e affrontato un viaggio di un'ora per vedere un'opera che lo tirasse su di morale per poi restare profondamente deluso.
Ma la pellicola "interattiva" di Dupieux contiene anche una velata autocritica alla (in)capacità dell'artista di valutare la propria opera e il suo effetto sul pubblico. Che l'enigmatico cineasta stia tentando di fare mea culpa per averci propinato pellicole su pneumatici killer, mosche addestrate e infiniti sosia di Salvador Dalì? Chi lo sa. Resta il fatto che la sua satira sul valore dell'arte si rivela deliziosa e pungente al punto giusto.
Conclusioni
Come svela la recensione di Yannick - La rivincita dello spettatore, Quentin Dupieux realizza la sua opera più efficace e meno astrusa riflettendo sul rapporto tra attori e spettatori e sul senso ultimo dell'arte in una pellicola compatta e vivace. Satira che prende di mira il mondo del teatro e di riflesso del cinema, il film funziona a tutti i livelli grazie alla notevoli performance del cast capitanato da uno scatenato Raphaël Quenard.
Perché ci piace
- Compatto, solido, focalizzato, è il film più semplice e diretto di Quentin Dupieux
- Recitazione superlativa
- Anche stavolta non mancano le sorprese
Cosa non va
- Il film si perde un po' sul finale