Il 14 luglio 2022 arriva nelle sale italiane X - A Sexy Horror Story, motivo di interesse non solo per gli amanti del genere horror, che possono beneficiare del ritorno in pompa magna di un regista interessantissimo come Ti West (recuperate The House of the Devil il più presto possibile, se non lo avete visto), ma anche per i cinefili più incuriositi da una piega sempre più ampia che sta prendendo un certo cinema contemporaneo e che ben si coniuga con i canoni produttivi della A24, tra i nomi dietro al film insieme a Midnight Factory, e che sta diventando una realtà con cui ormai dover fare i conti. Il film del regista del Delaware è impregnato di feticismi metacinematografici e non solo, perché si occupa di coniugare tre dei topoi più importanti del cinema di genere (sesso, morte e religione), ma perché li racconta attraverso altrettanti piani linguistici che vanno incastrandosi in una pellicola che smonta e rimonta il suo filone di appartenenza per creare qualcosa di nuovo, divertente e collegato alla contemporaneità.
La qualità di un film come quello di West permette di aprire diverse riflessioni: lo scontro generazionale, il nuovo femminile (efficacissima la simbiosi artistica tra Mia Goth e il regista), la ricollocazione del villain nell'horror, ma non vogliamo spoilerare troppo. Una delle cose migliori che però fa la pellicola è quella di riflettere sul suo genere di appartenenza, andando a pescare dalle parti di Tobe Hopper, Dario Argento e Psyco, ma rielaborando il tutto secondo dei sentieri interessantissimi e in piena conformità, sia con la linea editoriale forte del nome produttivo che ha alle spalle, sia con un'idea ludica di mezzo cinematografico. Il che non è assolutamente un'accezione per denigrarlo. A noi la fece conoscere addirittura Sergio Leone, forse il primo regista postmoderno in senso popolare, colui che rielaborava i generi a suo piacimento, tirando fuori tutt'altro. Non a caso uno dei punti di riferimento di Quentin Tarantino, il quale ha portato questa visione nel mondo moderno e l'ha resa un marchio pop di successo straordinario. Arrivati a oggi non è dato assolutamente sapere cosa ci aspetta dopo, data la tendenza a un revisionismo sempre più fitto da parte dei grandi studios, come la Disney, ma anche dei prodotti di punta di Netflix, figli dell'effetto nostalgia, e della suddetta A24.
Tutti lavori che sono perfettamente in grado di parlare allo spettatore di oggi e che riescono a trovare una loro strada originale. Forse il proliferare di tali tendenze si deve anche alla palese difficoltà nell'immaginare un futuro, anche in senso rappresentativo e non solo come registro linguistico: niente mondo del domani, quindi niente cinema del domani. Ha compiuto da poco tempo quarant'anni Blade Runner, il quale, probabilmente insieme a Matrix, è stato l'ultimo esempio rilevante di uno sguardo predittivo seducente in senso cinematografico. D'altronde uno dei più grandi titoli degli ultimi 20 anni in senso di eco popolare, Avengers: Infinity War, ci parla dell'insostenibilità dell'oggi, motivo per cui al domani non ci si può arrivare. Il futuro fa paura, il futuro è una minaccia, ma là si deve andare, volenti o nolenti.
Comunque, queste due tendenze, coniugate, stanno portando a una ricchezza incredibile nel panorama cinematografico moderno, a patto che si voglia tollerare l'ambiguità che ne è necessaria parente. Partendo da questo incredibile spunto servitoci da X - A Sexy Horror Story, vi proponiamo un excursus che cerchi di inquadrare pellicole il più moderne possibile e che vadano a riprendere il movimento dei nomi sopracitati, in modo da offrire un quadro sufficientemente chiaro di quello che intendiamo per nuova via post moderna da cinema pop.
1. Quentin Tarantino
La prima scena girata da quello che è diventato uno dei più importanti registi del nuovo millennio vedeva un gruppo di banditi che parlava del significato di Like a Virgin di Madonna intorno ad un tavolo di un diner. Era il 1992 e il film era Le iene e, tralasciando la straordinarietà tecnica della regia e la bellezza del dialogo, in sé già essa racchiudeva l'essenza del cinema di Quentin Tarantino, ovvero la capacità di rielaborare testi legati alla tradizione per fare qualcosa di nuovo, originale e contemporaneo. Poliziesco all'italiana, spaghetti western, B-Movie anni '70, slasher, horror, kung fu exploitation, anime, pulp, gangster movie e cinema storico. I riferimenti tarantiniani si perdono tra le mille pieghe delle immagini della sua incredibile filmografia, tutti riconoscibili, rintracciabili eppure nessuno di questi è mai veramente presente perché è continuamente rimescolato, riposizionato, ricontestualizzato e riproposto.
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Quello che rende l'opera di Tarantino così bella e così importante per intercettare la congiunzione astrale tra le due tendenze che stiamo cercando di mettere a fuoco sta nella sua riproposizione di una contaminazione che lavora sul linguaggio, ma che contemporaneamente mira ad un revisionismo storico che da Bastardi senza gloria si è fatto sempre più sottile e colto, arrivando a quella meraviglia che è C'era una volta ad Hollywood. L'ultima pellicola del cineasta americano punta a ribaltare l'idea politica che hanno avuto nel cinema i fascisti conservatori, reazionari e repubblicani americani e gli hippies antiguerrafondai, progressisti e spesso ritratti come quelli dalla parte giusta della barricata. Nello specifico Tarantino si è divertito a ridicolizzare entrambe le fazioni, ma non c'è dubbio su chi siano i buoni nella favola che racconta. Sempre guardando al cinema, mai perdendolo di vista, come solo chi ama sul serio riesce a fare.
2. Scream
Uno dei franchise slasher più importanti del cinema americano (dell'altro ne parliamo poco sotto) è stato creato da sua maestà Wes Craven nel 1996 e porta il nome di Scream, arrivato ormai al quinto capitolo, uscito ad inizio anno corrente, dopo una pausa durata più di un decennio e già in procinto di continuare con una sesta parte già annunciata. C'è stata anche una serie televisiva di mezzo, andata in onda dal 2015 al 2019 su MTV e VH1. La struttura di base è molto semplice, quella che il genere richiede, e vede contrapporsi due forse insormontabili, in questo caso svuotate di una complessità politica e sociale come quella che la formula ha contenuto in altre sue riproposizioni, ma comunque legate l'una all'altra in una danza di morte senza fine. Parliamo di Ghostface e di Sidney Prescott o, meglio, di Ghostface che, attraverso le mille e più persone che ogni volta ne indossano gli abiti, vuole uccidere Sidney Prescott e, nel tentativo, uccide tutti gli altri.
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La saga ha trovato la chiave del suo successo non solo per essere un esponente di punta dello slasher e per la sua capacità di bilanciare a tratti veramente alla perfezione gli ingredienti horror e commedia, ma per la sua trovata metacinematografica. La sua dote è guardarsi allo specchio, rielaborare le proprie strutture, il suo schema classico e anche gli elementi base del suo immaginario (sesso e morte, ovviamente), coinvolgendo il pubblico stesso nel percorso (guardare l'intro del quarto capitolo per avere un quadro più chiaro).
3. La trilogia del Cornetto
"Non è solo il miglior film di quest'anno, ma di ogni anno da ora in poi." Indiewire? The Guardian? Rolling Stones? Movieplayer? No, questo è il commento che diede (guarda caso) Quentin Tarantino dopo aver assistito a Shaun of the Dead, da noi L'Alba dei morti dementi - Shaun of the Dead, il primo atto della trilogia postmoderna britannica per eccellenza, firmata da un regista che del postmoderno e del pop ha fatto i suoi cavalli di battaglia, il signor Edgar Wright. La trilogia del Cornetto come omaggio alla Trilogia dei Colori di Krzysztof Kieślowski (non lo diciamo noi, lo ha detto lui, probabilmente scherzando), ma d'altronde sempre di varietà cromatiche parliamo, anche se in questo caso sono riscontrabili sulle carte degli Algida. Una commedia romantica zombie per parlare del fenomeno dell'alienazione cittadina, un buddy movie completamente dedito al complottismo e allo slasher, guardando a tutta quell'idea di decostruzione della tradizione del B Movie americano (Reazione a catena e via dicendo), fino ad arrivare ad uno sci-fi alla Carpenter che si fonde un po' con il camp e ad immaginario lampoon. Hot Fuzz e La fine del mondo.
Il cineasta di Poole è riuscito, come il suo idolo americano, a trovare se stesso nei suoi quadri enciclopedici e ipercitazionisti, creando un'impronta riconoscibilissima e anche un modo per guardare al futuro, anche se poi, sia Baby Driver che Last Night in Soho parlano del loro legame con il passato e con il cinema del passato. Non si sfugge mai. Specialmente nell'ultimo caso c'è stato un palese focus sulle persecuzioni e sulla necessità di far chiarezza dentro di sé e sui legami che ancora ci legano ad una tradizione da cui si è stati influenzati, ma da cui è forse necessario emanciparsi. Uno spunto interessante e anche uno dei possibili indizi su dove potremmo andare a parare nei prossimi anni, quando, probabilmente, si aprirà la questione sul senso di continuare a fare una divisione tra cinema popolare e cinema d'autore come due vie distinguibili.
4. Mad Max: Fury Road
Come una detonazione, nel 2015 arriva uno dei film più importanti del nuovo millennio e, incredibilmente, porta il nome di Mad Max, franchise di punta del cinema americano di fine anni '70, con ancora George Miller al timone, "sopravvissuto" cinematograficamente anche a quel Mel Gibson che fu il protagonista della prima trilogia della saga. Fury Road rappresenta l'esempio più fulgido e più riuscito di postmodernismo quando si parla di reprise di un immaginario vecchio, rimodernizzato e perfettamente ricollocabile e ricollocato nel contemporaneo. Intanto (perdonatemi, sicuramente è una mia fissazione catastrofista) perché parliamo di postapocalittico e questo si ricollega all'incapacità di immaginare un futuro e che siamo tutti terrorizzati ecc... ma soprattutto perché è capace di ripescare a piene mani dal calderone anni '80 senza mai sembrare realmente fuori tempo, ma anzi riuscendo sul serio a guardare al futuro, in questo caso mostrando qualcosa di nuovo proprio nell'uso del mezzo cinematografico. Un miracolo.
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5. Halloween
E siamo al secondo franchise (lo avevamo preannunciato) slasher della nostra lista e questa volta parliamo del capostipite. Halloween - La notte delle streghe del 1978 di John Carpenter cambiò il cinema per sempre, presentando al pubblico la figura di Michael Myers, archetipo straordinario dell'anima nera della nuova civiltà americana che si stava creando in quel momento (bigotta, violenta e fascista). Non a caso a lui fu opposta la figura di Laurie Strode, la leggendaria Jamie Lee Curtis, una ragazza giovane, emancipata e segno di un futuro libero e positivo degli Stati Uniti. Una scelta polemica e anche un po' disincantata da parte del regista, già all'epoca. Da quella, leggendaria, prima pellicola ce ne sono state altre sette, che hanno poi lasciato spazio ai due remake diretti da Rob Zombie e da cui, recentemente, sono stati riprese le fila per una trilogia sequel. A noi questa interessa.
L'approccio di David Gordon Green (con l'apparente benedizione del Maestro) è stato quello della coerenza, ovvero l'idea di una ricollocazione più classica, anche dal punto di vista dello story telling, attraverso la riproposizione di un passaggio generazionale in grado di introdurre man mano elementi nuovi in modo tale da non sconvolgere ciò da cui la saga è partita. L'idea di ricollocare Myers in questo modo è un'altra strada verso il contatto con il contemporaneo, in questo caso basata su una sicurezza di fascino e presa che fa breccia non solo nel cuore del fandome duro e puro grazie ad una formula che, come Scream, è ancora in grado di parlare allo spettatore, effetto nostalgia o meno. La sperimentazione di Green sta nella rielaborazione dei significati dietro ai personaggi, il cuore della saga di Halloween, smontati dei tasselli tradizionali e rimontati secondo una visione fresca, che guarda sia dell'America, che al femminile che al legame malato che si ha con il passato. Molto interessante anche questo.
6. Ghostbusters
Si parla di remake intrecciati con i sequel, di avvicendamenti generazionali, di rielaborazione dell'originale... e non si può non parlare di Ghostbusters: Legacy. Tra tutti gli esempi del genere la scelta di questo ricade non (solo, in realtà) perché vogliamo bene a Jason Reitman o perché c'è anche un motivo sentimentale dietro alla sua scelta di seguire le orme paterne. Il motivo infatti è che il titolo del 2021 è un esempio dichiarato di post modernismo. La sua idea è simile a quella de Il risveglio della Forza, dato che parliamo praticamente di una riedizione della prima pellicola di una saga, ma ciò che lo rende di nostro interesse è il modo con cui si collega ad essa al livello linguistico, pur mantenendo una coerenza storica e una consapevolezza dell'età cinematografica in cui si va inserendo.
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Possa piacere o meno il Ghostbusters di Reitman utilizza alla perfezione l'effetto nostalgia per creare qualcosa di nuovo e coerente, toccando veramente il grado ideale del revival e facendolo parlando delle sue intenzioni apertamente con il pubblico tramite un personaggio in particolare. Punto di congiunzione quasi metafisica con i film precedenti del franchise, in grado di trasportarne il cuore e permettere l'innesto di altro. Immaginario pop nuovo su una base tradizionale molto coerente. Un'unione di generazioni che passa da una reinvenzione editorialmente efficace e commercialmente intelligente, una cosa (non uguale, non allo stesso modo impattante) che potrebbe fare l'MCU con il Multiverso, anche se lì si apre un discorso sull'unicità del personaggio che ci porterebbe su un postmodernismo proveniente da altri lidi. Magari un'altra volta.
7. Blumhouse
Ritorniamo per un attimo all'horror, vi va? E ci agganciamo a nome che dovrebbe farvi fischiare le orecchie e che, opportunamente, non abbiamo adoperato prima, anche se avremmo potuto farlo. La Blumhouse è una delle case di produzione più importanti del cinema horror nordamericano ed anche una di quelle società che in termini di costi e profitti ha sbagliato veramente poco, per di più lanciando (o rilanciando) talenti del cinema di genere e contribuendo non poco alla sua innovazione. Pensate alle saghe di Oujia e di Paranormal Activity. Guarda caso però è anche il nome dietro la trilogia sequel di Halloween nominata poco fa, una scelta interessante per la casa del signor Blum, che forse solo nella sua esperienza artistica con Shyamalan ha deciso di riflettere sulla rielaborazione delle proprie produzioni, ma senza mai dare una grande importanza al postmodernismo. L'unico nome che mi viene in mente è quello di Scott Derrickson. Ah guarda un po', Derrickson, proprio di lui volevo parlare.
Autore di Sinister per la Blum, quanto di più centrato sulla contaminazione possiate trovare nei lavori della società di produzione (se avete altri titoli prego fatevi avanti), tra l'altro partorito dalla mente di un autore fresco di un film sulle possessioni, un sottogenere che al passato è rimasto più ancorato di altri e che recentemente è tornato alla casa madre. Con cosa? Ma con Black Phone (2021), un horror tratto dal racconto del figlio di Stephen King, Joe Hill e che si diverte a fondere l'horror/slasher intriso del terrore del serial killer dell'America degli anni '70 con la kung fu exploitation, meta esotica dei giovani rampolli dell'epoca. Il tutto in un racconto di formazione di importanza metacinematografica in cui il senso è guardare negli occhi i propri punti di riferimento e trovare in noi stessi e nei nostri simili un modo per andare avanti. Più postmodernismo di così! Anche la Blum ormai si è convertita.
8. Netflix
Nomi sempre più caldi in questo nostro percorso. È fin da tempi non sospetti che uno dei colossi più importanti dello streaming mondiale, detto anche lo streamer del Tu Dum, ha deciso di risincronizzare la formula del suo ormai mefistofelico algoritmo sulla rielaborazione del cinema del passato e del passato in generale mi verrebbe da dire. E non parliamo di Stranger Things signori e signori, almeno non solo, nonostante l'ultima stagione peschi a piene mani da entrambe le vie che il postmodernismo di cui ci stiamo occupando sta percorrendo, perché non solo ripropone una trovata molto vicina a quella di Nightmare on Elm Street (citato spudoratamente), ma reinventa anche un fenomeno tutto americano che legò in quegli anni l'isteria da setta figlia di Mason ai gruppi di nerd che giocavano a D&D. Quello che manca è la sincronizzazione con il presente e la ricerca di un futuro e non mi pare poco.
No, quello a cui ci riferiamo di Netflix non è nulla di così altisonante, quanto una tendenza sottile, ma costante che sta muovendo le fila di alcuni suoi recenti originali. Bypassando il tentativo di reprise di Non aprite quella Porta e tremando all'idea del debutto di Resident Evil del 14 luglio, basti pensare a Red Notice e The Adam Project, o, come li chiamiamo, due dei capitoli del reynoldsverse. Tra l'altro il regista del secondo è Shawn Levy, che qualcosa con Stranger Things c'entra eccome. Heist movie il primo, sci-fi l'altro, entrambi intrecciati con il filone della Amblin, totalmente derivativi e che trovano la loro unica (evidente) ragione di essere solamente per la loro capacità di riflettere sui topoi dei generi di appartenenza e per il loro conseguente interesse nel meta, più che altro per coinvolgere il pubblico. Un futuro qui?
9. A24
Ciò che minuziosamente la A24 ha fatto nel corso degli anni è stato lavorare con un pool di (grandi) creativi giovani americani per potersi appoggiare ad una costellazione immaginativa fresca e potente per poi legarsi a nomi del cinema d'autore sempre più importanti, attraverso epoche e generi. Un'onda indie (carino è?) nel senso più estetico e furbetto del termine, che è poi diventato calderone vero e proprio, vedendo mescolarsi al suo interno pellicole, firme e tendenze ad una certa cifra stilistica sempre più riconoscibile. Coppola, Villeneuve, Knight, Glazer, Smith, Baumbach, Lanthimos, Van Sant, Mills, i Safdie, Reichardt, Baker, Aster, Mitchell, Jenkins, Garland, Lowery, Eggers e, appunto, Ty West. Nella riflessione costante che ha operato la casa di produzione che quest'anno ha fatto 10 anni (auguri) si è recentemente delineato un revisionismo sui generi su cui lavora la scuderia dei nomi che produce, partendo sempre da un'ottica particolare e sempre più specifica.
I film di Eggers, Garland e Lowery, anche se è il caso di citare anche Lamb di Jóhannsson, hanno ragionato su una rielaborazione di registri linguistici passati, intrecciando ad essi un revisionismo storico sempre più importante, guardando però maggiormente ai racconti folkloristici più che alla storia con la S maiuscola. Bisogna essere indie fino alla fine. Quindi The VVitch, The Lighthouse, Sir Gawain e il Cavaliere Verde. Post modernismo, la ricerca di se stessi nelle pieghe del passato, narrato per di più dai più grandi narratori del passato stesso, non solo del cinema, ma anche della letteratura. Una tendenza che Eggers ha portato con sé anche nel suo primo film da "cinema popolare", quel The Northman che tanto ha faticato a trovare la sua quadra non prendendo mai una posizione netta. Cosa che invece X - A Sexy Horror Story, dal 14 luglio al cinema grazie a Midnight Factory, riesce a fare alla perfezione, pur con il peso dell'autorialità, dell'indie e della ricerca di un futuro.