Così tante cose. Tante, tante cose da dire su Wonder Woman 1984, il sequel del fortunato cinecomics del 2017, ancora una volta diretto da Patty Jenkins e con Gal Gadot nei panni della nostra super-eroina. Abbiamo già detto nella nostra recensione senza spoiler del film di come questo sequel, disponibile a noleggio sulle maggiori piattaforme streaming, abbia i caratteri di una fiaba, anche se, con una certa dose di amarezza, non possiamo fare a meno di considerarla fuori tempo massimo. E non ci riferiamo all'ambientazione del film, quegli anni Ottanta così nostalgici e allo stesso tempo così abusati, ma proprio a una realizzazione camp, una storia con una certa dose d'ingenuità che risulta poco adatta a degli spettatori contemporanei. Il che è un peccato perché il (lungo) sequel di Patty Jenkins contiene al suo interno tematiche davvero molto interessanti e tutt'altro che banali, messe un po' troppo in ombra da una realizzazione che, invece di potenziarle, le nasconde. In questa nostra analisi, più che commentare, vogliamo andare dentro i contenuti del film, legare alcune sequenze attraverso dei temi per arrivare a scoprire il significato del finale di Wonder Woman 1984: una conclusione che sembra, a prima vista, più lieta rispetto a quanto lascia sottintendere. Attenzione a proseguire nella lettura se non avete ancora visto il film: i paragrafi successivi contengono numerosi spoiler.
Lezioni dal passato
Themyscira, la terra delle Amazzoni, tanto tempo fa. Diana è ancora una bambina e decide di confrontarsi in una sfida atletica contro alcune delle sue compagne adulte. Sembra riuscire nell'impossibile, la sua gara è quasi perfetta: è la prima a segnalare la sua posizione attraverso dei checkpoint da colpire con arco e freccia posti in varie fasi del percorso da compiere. All'improvviso, l'imprevisto: durante una lunga cavalcata, Diana ha un momento di disattenzione e viene disarcionata dal cavallo. Cercando un modo per arrivare lo stesso al traguardo, Diana scopre un sentiero naturale che le permette di riguadagnare terreno. Una scorciatoia che in breve tempo la porta di nuovo in testa alla corsa. Poco prima di tagliare il traguardo, però, viene fermata da Antiope (Robin Wright) che le impedisce di concludere la sfida. "Hai preso la strada più corta. Hai imbrogliato" le dice, facendo intendere che ogni risultato è frutto di pazienza e del tempo necessario per ottenerlo. Non c'è nessuna vergogna a non essere pronti. L'importante è non raggiungere i propri obiettivi attraverso scorciatoie e falsità: nessun vero eroe nasce dall'inganno. Una lezione, questa, che dallo sguardo di una bambina amareggiata sembra solo un'enorme ingiustizia, ma che tornerà a tormentare Diana nel corso degli anni. Precisamente nel 1984.
Esprimi un desiderio
E arriviamo nei meravigliosi, colorati e kitsch anni Ottanta. Gli anni del desiderio di successo e delle ambizioni più sfrenate. Tra i più ambiziosi troviamo Max Lord (Pedro Pascal) che recupera un misterioso reperto archeologico: la Pietra dei Sogni, creata dal dio dell'inganno Dolos, e capace di esaudire qualsiasi desiderio. Una pietra magica che era già stata usata da Diana, solitaria e senza amici né famiglia, per riportare in vita il suo amato Steve Trevor (Chris Pine), sacrificatosi durante la prima guerra mondiale (e alla fine del primo film). Max Lord, invece, un padre assente e un imprenditore sull'orlo del fallimento, decide di prendere una scorciatoia: desidera di diventare lui stesso la Pietra dei Sogni e quindi acquisire dentro di sé il potere di un essere divino capace di soddisfare qualsiasi sogno di cupidigia da parte di chiunque. L'inetto, il fallito che grazie all'innaturale e alla magia, quindi a un elemento estraneo alla natura delle cose, diventa un imprenditore potente e di successo. Max Lord prende la più scontata e la più semplice delle scorciatoie, istiga le altre persone a fare lo stesso (tra cui lo stesso Presidente degli Stati Uniti d'America) e dà avvio a una catena di eventi infausti che portano al caos e al disordine più totale.
Il significato del titolo
A questo proposito il titolo del film acquista un senso ancora maggiore rispetto alla semplice coordinata di tempo. Il 1984 non è solo l'anno di ambientazione della storia, elemento fondamentale che impregna tutto l'impianto narrativo, dai personaggi fino allo stesso linguaggio cinematografico scelto da Patty Jenkins e dagli sceneggiatori, ma anche la metafora dei temi del film. Proprio nella scelta del 1984 ci viene in mente l'opera letteraria di George Orwell, quel romanzo distopico che raccontava di una società totalitaria dove "l'ignoranza è forza" e "la guerra è pace". Per quanto il cinecomic non presupponga il rischio di un regime autoritario, si percepisce la stessa sensazione di fallimento dell'umanità nel momento in cui i desideri vengono esauditi. Ciò che poteva sembrare una vittoria si trasforma, di conseguenza, nella sconfitta più grande. Nel corso del film ci viene raccontato come la Pietra dei Sogni è appartenuta a civilità di epoche diverse portandole alla stessa conclusione: la fine di quella civiltà. Possiamo apprezzare la minaccia ben più interessante e atipica di questo sequel rispetto agli stereotipi dei blockbuster più mainstream. Lo scontro finale è perlopiù ideologico e non fisico: non c'è nessun dio Delos da sconfiggere (come era accaduto nel primo capitolo con Ares), ma c'è da cambiare una forma mentis, un pensiero che contagia tutti gli esseri umani, nessuno escluso. In questo è indicativo anche il comportamento della nostra protagonista, ben più matura rispetto al film precedente, ma che cede al desiderio di ritrovare il proprio Steve tra le sue braccia. Lo è anche il personaggio di Barbara Minerva (Kristen Wiig) che desiderando di essere un'altra persona è destinata a soccombere a una mutazione del corpo, quasi si trovasse in un film di David Cronenberg (anche se, dobbiamo ammettere, il film non punta troppo su questo aspetto lasciando che il tutto avvenga senza una particolare spiegazione). Perché ogni desiderio richiede un sacrificio.
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La forza della rinuncia
"Non sei pronta per essere una vincitrice, e non c'è vergogna nell'ammetterlo": è questa la frase che la tutrice di Diana le insegna alla fine di quei giochi atletici visti nel prologo del film. In un mondo in cui si vive cercando di sopraffare gli altri (per potere, per bellezza, per capacità e qualità), in cui si vive cercando e reagendo a confronti e divisioni, manca una presa di coscienza di sé tale da poter riconoscere, senza vergogna, le proprie limitate qualità. Wonder Woman 1984 mostra le conseguenze di questa mancanza di umiltà, di come la voglia di diventare migliori, superiori e perfetti porti necessariamente al decadimento e al declino. Persino rimanere ancorati a quel passato irraggiungibile, quello di Diana con Steve, quello di riportare in vita i morti lasciando che in qualche modo la vita si fermi da uno sguardo verso i "bei vecchi tempi" è uno sbaglio. Perché, semplicemente, la vita va avanti. Le differenze tra le persone e le qualità che esse hanno sono necessarie per mantenere la bellezza del presente e garantire un piacevole futuro. Molto potente l'immagine di Alistair, il figlio di Max Lord, lasciato solo in una stanza impolverata e desolata, vittima non solo di un padre assente ma anche di un padre più interessato al successo personale che al futuro del figlio. Ancora una volta, un tema molto sentito nelle ultime produzioni hollywoodiane, c'è questa frattura tra padri e figli, tra genitori che distruggono il mondo nel presente dimenticandosi di lasciare un'eredità misera e senza amore alle nuove generazioni. Per questo lo scontro finale non può avvenire attraverso un combattimento, ma attraverso la propria volontà. Sono le stesse persone che devono scegliere di rinunciare al loro benessere ottenuto grazie alle scorciatoie, un benessere che non sarebbero in grado di sostenere, traguardi che non sono solo la fine dei loro problemi, ma la fine della vita stessa.
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Un finale lieto... o forse no?
Come vuole la tradizione, la nostra Wonder Woman riesce a convincere il mondo intero a rinunciare ai propri desideri (lei stessa è la prima a farlo, perdendo per la seconda volta l'amore della sua vita) sancendo di fatto la conclusione della vicenda e dei pericoli. La scena finale, dal dolce tono natalizio, ha il sapore di un nuovo inizio, in cui l'umanità tutta ha imparato dagli errori ed è pronta a ricominciare con una nuova speranza, conscia dei propri limiti e sapendo che la corsa verso il traguardo sarà lunga e pieno di ostacoli. "Non puoi avere tutto. Solo la verità" dirà Diana a Max (e al resto del mondo) nelle battute finali dello scontro. La verità, che corrisponde al riconoscimento della propria identità e delle proprie qualità, è bellissima ed è abbastanza. Accettarla vuol dire essere degli eroi. Wonder Woman 1984 si conclude, quindi, con una redenzione collettiva, con un'umanità che riconosce le proprie differenze e proprio grazie a queste differenze è disposta a costruire un futuro migliore per "un mondo bellissimo". Eppure c'è qualcosa che il fan più appassionato dei film del DC Extended Universe riuscirà a cogliere durante quel monologo di Diana.
Parliamo della colonna sonora di Hans Zimmer (qui capace veramente di regalare una delle sue prove migliori) e del richiamo a un brano già sentito in un film di questo universo narrativo. Si tratta del brano "Beautiful Lie" composto per il prologo di Batman v Superman: Dawn of Justice, il film di Zack Snyder del 2016, che possiamo ascoltare mentre la voce di Bruce Wayne racconta: "C'è stato un tempo incontaminato, un tempo precedente. Esisteva la perfezione, l'assoluto adamantino. Come precipitano le cose. Le cose sulla Terra. E ciò che cade... è caduto. Nel sogno, mi portavano verso la luce. Una splendida bugia". Bugia e verità si connettono lasciando spazio per un'ultima provocazione. Forse il finale è positivo solo se considerato chiuso nell'anno in cui si svolge il film, il 1984. Le parole di Diana, accompagnate da quella musica che presuppone un declino e una caduta, così sincere e utili al momento nascondono, invece, una nuova bugia. Dagli anni Ottanta al tempo presente, l'umanità è tornata sui suoi passi e ha iniziato a commettere gli stessi errori visti nel film? Sono già venuti meno i valori che il film propone e sento in obbligo di ricordare? Se questo fosse vero, e se il riciclaggio della musica (non presente sull'ufficiale colonna sonora pubblicata), Wonder Woman 1984 diventa un film ancora più politico, che trova una nuova forza nel suo rilascio a cavallo tra la fine di un mandato presidenziale e un nuovo Presidente americano. Un film che spera in una Verità luminosa ambientata nel passato, ma fallita. Un urlo di rabbia e tristezza (e come tutti gli urli viscerali imperfetto e senza sfumature) contro la bugia e l'inganno della contemporaneità.