Il dramma dell'Olocausto e l'insensatezza della Seconda Guerra Mondiale, sottolineata alla crudeltà disumana del Nazismo sono stati abusati dalla storia del cinema, tra pellicole drammatiche, biopic incentrati sui protagonisti di quegli stessi eventi e variazioni sul tema, da Schindler's List a Bastardi senza gloria, passando per La caduta - Gli ultimi giorni di Hitler. In questa finestra cinematografica si va ad aggiungere l'ultimo film di Simon Curtis, Woman in Gold. Dopo anni di regia teatrale ed il recente successo di Marilyn, il cineasta inglese è tornato dietro la macchina da presa per raccontare la vera storia di Maria Altmann, viennese di nascita e losangelina d'adozione, e la sua lotta per tornare in possesso di un quadro di famiglia raffigurante sua zia, Adele Bloch-Bauer, trafugato, insieme ad altri beni di valore, dai nazisti all'indomani dell'Anschluss, la marcia dell'esercito di Hitler sul territorio viennese che sanciva l'annessione dei paesi limitrofi al Terzo Reich. Quadro dipinto dal maggior rappresentante del Secessionismo viennese, il celebre pittore Gustav Klimt, divenuto all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale uno dei simboli culturali dell'Austria.
Per dare voce e corpo alla determinata ma delicata battaglia legale della Altman, Simon Curtis ha chiamato la raffinata Helen Mirren, interprete, tra gli altri, del bellissimo The Queen di Stephen Frears, e Ryan Reynolds nei panni del giovane avvocato, Randy Schoenberg, ricreando una struttura narrativa che tanto ricorda Philomena, diretta dallo stesso Frears. Curtis dunque aggiunge un tassello alla cinematografia focalizzata a raccontare gli orrori di una pagina della nostra storia neanche troppo lontana, unendo la ricostruzione storica, mediante flashback, alla lotta giudiziaria che porta alla luce un effetto collaterale della guerra a lungo tralasciato o taciuto: quello della razzia di opere d'arte. In una chiave nettamente più seriosa, sebbene nel film non manchino momenti di umorismo, rispetto ai Monuments Men di George Clooney, Woman in Gold, solleva, attraverso una storia vera, una pagina parallela a quella scritta nei libri di scuola.
Contro l'oblio della storia
In un continuo alternarsi tra presente, la Los Angeles del 1998, e passato, la Vienna del 1938, il film celebra la testardaggine di una donna costretta a scappare dal suo Paese e lasciare i propri cari ad un destino funesto per la sola "colpa" di essere ebrea. Destino condiviso che migliaia di persone e che assomiglia tristemente a quello dei profughi siriani, come la stessa attrice ha sottolineato durante la conferenza stampa. "Da bambina sono cresciuta in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, non ho vissuto sulla mia pelle quell'esperienza ma comunque quella storia mi ha formato, sono sempre stata curiosa e chiedevo spesso ai miei genitori cosa significasse vivere sotto le bombe. Credo sia molto importante lasciare vivo il ricordo e fare questo film mi ha permesso di tornare alla generazione dei miei genitori. Capire quello che è successo in quei momenti bui, dove degli esseri umani sono riusciti a fare delle cose orribili ad altri esseri umani. E incredibilmente, oggi, in parte, ci troviamo situazioni analoghe. Penso ai profughi siriani o al Ruanda".
Proprio la capacità del film di catturare sotto lo stesso tema, nonostante un'eccessiva retorica ed un assetto narrativo non particolarmente efficace o d'impatto, specie nelle ricostruzioni storiche, un'universalità tematica forte ed attuale, hanno reso il film un piccolo caso cinematografico oltreoceano. Con un'iniziale distribuzione di 258 copie, con il passaparola tra gli spettatori, si è giunti a 2011, con una permanenza da record di diciannove settimane consecutive in sala. "Questo film ha avuto una forte risonanza in USA, perché, oltre il dramma del nazismo, racconta quello che si prova una volta costretti a lasciare il proprio paese d'origine. Le persone devono ricordare, qualunque storia sia. Non si tratta solo di un film sul Nazismo e l'Olocausto. È un periodo delicato che, senza la memoria, potrebbe portare a drammi simili se non più grandi e credo che ricordare la storia recente possa fare da monito" ha commentato il regista, aggiungendo: "Questo film parla di qualcosa, soprattutto in un periodo in cui i film non parlano di nulla. Sono stato fortunato con il cast. Avrei sempre voluto lavorare con la Mirren e ho avuto la fortuna che tra lei e Ryan Reynolds sia scattata da subito una forte alchimia sul set. Hanno lavorato alla perfezione, portando spirito, calore, umorismo e capacità, frutto della loro intesa".
Woman in Gold rappresenta, non solo la storia di una donna che torna a fare i conti con il proprio travagliato passato, ma anche la raffigurazione di un tipo diverso di vittime del Nazismo, quelle opere d'arte e quei beni personali, rubati, scambiati e venduti in un mercato nero fatto dei ricordi di uomini e donne privati di tutto. "Le opere d'arte sono gli ultimi prigionieri nazisti. Questa frase è una citazione di Ronald Lauder, il magnate della cosmetica che ha acquistato il quadro. Ho contattato anche il vero avvocato interpretato da Reynolds, chiedendogli un commento. Mi ha spiegato che dopo la Guerra i costi in termini umani erano stati talmente alti che nessuno pensava di parlare d'arte. C'è voluta un'altra intera generazione per affrontare il problema. E proprio gli ultimi sopravvissuti della guerra sentono di dover combattere contro questo oblio prima che sia troppo tardi" ha concluso Simon Curtis.
Una preparazione dettagliata
Trattandosi di una storia vera che attraversa oltre sessant'anni di storia, tra quella "ufficiale" a quella personale di Maria, l'obiettivo principale del regista e della Mirren era quello di attenersi ai dettagli, visibili o invisibili che siano, per riportare al meglio sullo schermo la vicenda della Altmann, ricorrendo a ricordi personali per rendere più credibile un'interpretazione o all'aiuto di una scenografia o una sceneggiatura adeguate, fino alla riproduzione del celebre quadro della Dama in Oro realizzato da Klimt. "Ho sicuramente pensato alla mia famiglia: specialmente alla mia bisnonna e alle mie prozie che dalla Russia, dove vivevano, sono state costrette a lasciare tutto per trasferiti in una minuscola stanzetta che condividevano con altre famiglie. Sono riuscite a sopravvivere con grandissimo coraggio. Ma quello che per me era più importante riguardava l'assorbimento dei pensieri del mio personaggio, ricreare la memoria di Maria nella mia mente, facendo riemergere i suoi ricordi in ogni scena, in ogni sequenza. E per farlo ho letto molti libri sull'Olocausto, come Ascesa e caduta del Terzo Reich, fondamentali per capire cosa sia accaduto" ha commentato la Mirren circa la sua preparazione ed il bisogno di attingere dal personale, unendolo ad uno studio attento che permetta di creare un personaggio forte.
Ovviamente al centro del film c'è proprio il dipinto, tripudio d'oro e particolari, ripreso in tutta la sua maestosità, dall'iniziale fase di preparazione fino alla sua collocazione strategica nel salotto dei Bloch-Bauer, dove poteva essere ammirato dagli svariati ospiti illustri che vivacizzavano le serate culturali viennesi della famiglia. "Non è stato possibile utilizzare l'originale, essendo esposto in una teca di vetro alla Neue Galerie di New York. Abbiamo utilizzato una replica realizzata da un brillante pittore londinese. Ma una volta uscito il film, il Museo che ospita il dipinto ha registrato un aumento considerevole di ingressi" ha puntualizzato il regista, mostrando come spesso, attraverso la cultura, sia possibile generare altra cultura.
La bellezza come antidoto
In un film che parla anche d'arte e della sua immortale bellezza, era d'obbligo un commento che mettesse in relazione il fascino eterno di un dipinto e il tempo che passa, anche in relazione al ruolo delle donne nel cinema. "Voi italiani siete i migliori in assoluto in quanto a bellezza. Amo le cose belle, le persone giovani e poi la realtà è questa: o muori giovane oppure invecchi. Mi dispiace per Kurt Cobain che è morto prima di Internet o dell'invenzione del GPS. Io sono troppo curiosa e d entusiasta della vita, l'esistenza è meravigliosa. Credo sia importante essere pronti all'innovazione e all'idealismo, anche quello che sparisce e si frantuma. Bisogna lodarlo e ammirarlo nei giovani. Il mondo è cambiato molto e come attori non bisogna preoccuparsi di cambiare: bisogna adoperarsi per cambiare i ruoli tra uomini e donne, nel cinema così come nella vita. Poi, se pensiamo a Greta Garbo che a trentotto anni pensava al ritiro, mentre oggi a quella stessa età le attrici, penso ad attrici come Jennifer Aniston, Cate Blanchett o Nicole Kidman, sbocciano, raggiungendo l'apice delle loro carriere, forse il cambiamento è già in atto" ha chiosato l'attrice inglese.