Fare a botte con il dolore in una lotta all'ultimo sangue. E poi, alla fine, perdonarlo. Accettarlo. Prendendo dal dolore stesso la forza necessaria per andare avanti, continuando a correre. E poi correre. Correre ancora, verso una maturazione emotiva e personale. Non è stato semplice per Christophe Honoré ricucire le toppe della sua memoria addosso ad un film che, tra luce e ombra, riflette il lutto ma, anche, la perseveranza di un'età nevralgica come l'adolescenza. Lo fa prendendo in prestito le diapositive del suo passato, intanto che mette in scena una giravolta di stagioni idealizzate sulla parabola di quel "ragazzo d'inverno" che dà il titolo al film. Winter Boy (Le lycéen), infatti, lo si potrebbe definire una sorta di dramma sospinto verso una leggerezza indotta dall'amore. Per tutto il film - 122 minuti, probabilmente troppi, e troppi nella parte che anticipa il finale - Honoré alterna il suo faro sulla morte (che scatena gli eventi) e sull'amore (che potrebbe alleviare la morte stessa), scambiandoli e invertendoli nella sceneggiatura da lui firmata.
In fondo, il regista è anche scrittore, ponendo l'attenzione sulle tematiche young adult, senza evitare di affrontare temi più controversi e complicati. Questo per dire che Winter Boy, disponibile su MUBI, è innanzitutto un film di scrittura. Solo dopo - e dopo l'elaborazione della parole - lo si può apprezzare come cinema dall'estro scapigliato, com'è scapigliato il meraviglioso Paul Kircher nel ruolo del protagonista. Poco più di vent'anni e la forza dirompente della vita che, come nella finzione cinematografica, riesce a fare a botte con il dolore che attanaglia la stagionalità di un coming-of-age in grado di riassumere la straripante complessità dell'adolescenza.
Winter Boy: la trama del film
A proposito di morte, Christophe Honoré ricollegandosi al suo passato inizia proprio da un lutto. Il lutto, forte ed esplosivo, che invade Lucas. A diciassette anni viene sconvolto dalla tragica morte di suo padre. Non ha più riferimenti, perde le convinzioni, sente le giornate scricchiolare, sempre più lunghe e inconsistenti. Nemmeno l'amore puro di sua madre Isabelle (Juliette Binoche) pare aiutarlo. Allora, ecco il primo bagliore verso la (ri)nascita di Lucas: fa i bagagli e vola a Parigi, dove vive suo fratello Quentin (Vincent Lacoste, già diretto da Honoré in Sorry Angel e L'hotel degli amori smarriti), che di lavoro fa l'artista (e non vuole lasciare l'arte per tornare a casa). Parigi, per Lucas, sarà un trampolino perfetto per le sue pulsioni amorose e sessuali, facendogli scoprire la sua vera identità (l'amicizia con il coinquilino di suo fratello, con il volto di Erwan Kepoa Falé, è la miccia che accende la seconda parte del film), intanto che il dolore fatica a mollare la presa.
Da Robert Palmer ad Alessandro Laszlo De Simone
Lineare nella sceneggiatura, esemplare nella personificazione degli attori (ripetiamo, Paul Kircher vale da solo la visione di Winter Boy), affascinante nell'aspetto tecnico (la fotografia granulosa di Remy Chevrin, pur già vista e rivista, è sempre efficace), il film di Christophe Honoré risponde alle necessità del regista nell'esprimere le proprie emozioni. Dietro al dolore e dietro al lutto, infatti, c'è una storia di crescita e di amore, e di conseguenza anche una storia di consapevolezza emozionale. Un film sui sentimenti celati e poi rivelati in quell'accavallamento tra l'età della libertà e l'età adulta. Un processo naturale, che richiede un tempo specifico, dosato, equilibrato.
Quel tempo suggerito dal regista, e quel tempo che verrà sottratto a Lucas, dovendo affrontare con i propri mezzi un'assenza assordante. Se l'aspetto autobiografico sbilancia la sensibilità generale, sarà poi la suggerita leggerezza il fattore chiave che porterà alla primavera (e all'aspetto più puro e riuscito del film), accompagnata tra l'altro da un'ottima soundtrack che mixa Robert Palmer (con Johnny and Mary) a Alessandro Laszlo De Simone (con la bella Conchiglie, che affronta un lutto). Una primavera ardentemente sognata dal protagonista, consapevole del suo lutto ma anche voglioso di abbracciare lo splendido momento di crescita e di scoperte che sta vivendo. In questo senso, pur eccessivo nella sua strabordante durata filmica (due ore che, sul finale, si trascinano con fatica la nostra attenzione), Winter Boy, mischiando la tragedia con l'amore, il lutto con la (ri)nascita. Tra aperture visive e abbracci infiniti. Perché domani si è già un po' più grandi, e ieri è ormai passato. Come un inverno che fa il giro largo. Del resto: "Niente potrà tornare a quando il mare era calmo".
Conclusioni
Nonostante la durata eccessiva, Winter Boy (Le lycéen) è un notevole e poetico romanzo di formazione, in cui si ricerca la propria identità attraverso un drammatico lutto. Come scritto nella nostra recensione, il film prende aspetti biografici di Christophe Honoré, portando alla luce il netto contrasto tra amore e morte nel mezzo degli anni più belli di tutti: l'adolescenza. Protagonista, un grande Paul Kircher.
Perché ci piace
- Paul Kircher, grande talento.
- La fotografia.
- Un film di "sceneggiatura".
- I romanzi di formazione sono sempre interessanti.
Cosa non va
- Dura troppo.