Quando William Friedkin ci saluta, dopo un'appassionante masterclass durante la quale ha conquistato anche il pubblico più giovane con la sua energia, ci svela un segreto. Sta per prendere un aereo che lo porterà a Roma a incontrare Padre Gabriele Amort, vero esorcista che pare abbia amato molto la sua pellicola del 1973, L'esorcista per l'appunto.
Nella sua permanenza lucchese il vulcanico Friedkin ha ritirato un premio alla carriera, ha presentato il suo cult Il salario della paura, ha risposto a tutte le domande rivoltegli dalla stampa, glissando solo sugli argomenti su cui non ha intenzione di esprimersi pubblicamente (argomenti tra i quali, come scopriremo a breve, vi è anche Dino De Laurentiis), ha vistato la villa di Giacomo Puccini, ha partecipato a un documentario sul celebre musicista e si è eclissato per le vie di Lucca mano nella mano con la moglie Sherry Lansing per godersi indisturbato la città d'arte tra un impegno ufficiale e l'altro. Tra aneddoti sulla sua ricca carriera, riflessioni sul cinema del passato e del presente e giudizi sui colleghi, ecco dieci aspetti del Friedkin-pensiero che abbiamo appreso direttamente dal regista in questi giorni.
1 - Il salario della paura, i retroscena che Friedkin non vi racconterà mai
Remake del noir francese Vite vendute di Henri-Georges Clouzot, Il salario della paura (1977) è una delle tante pellicole "maledette" dirette da William Friedkin. A fronte di una produzione maestosa e di un set esotico sito in Repubblica Domenicana, il film, costato venti milioni di dollari, si rivelò un pesante flop e fu rivalutato dalla critica solo molti anni dopo la sua uscita. La stessa lavorazione fu funestata da numerosi incidenti, tra collaboratori che si ammalarono di malaria, risse furibonde tra regista e attori, scene ripetute all'infinito e set distrutti dalle calamità naturali, ma quando gli viene chiesto di raccontare qualche aneddoto, Friedkin risponde che "non è importante quello che è accaduto sul set. Non mi interessano i problemi personali di Puccini o il processo evolutivo che si cela dietro le sue opere, ma le opere stesse. Il salario della paura ha diviso il pubblico, c'è chi lo ama e c'è chi lo odia. Parliamo dell'opera dunque".
2 - Un regista di musical mancato
Anche se lo conosciamo come uno degli autori più crudi, adrenalinici e violenti, William Friedkin ha sempre nutrito interesse per tutt'altro tipo di cinema. "Mi sarebbe piaciuto dirigere solo musical. I miei film preferiti sono Un americano a Parigi, Spettacolo di varietà, Sette spose per sette fratelli, Cantando sotto la pioggia. Adoro quei film. Ma poi quella musica è sparita dalla vita degli americani. Sono subentrati il rock, il rap, questa non è musica adatta a film romantici. Il Great American Songbook è stato influenzato da Puccini e io ho avuto l'onore di dirigere in due città americane Il trittico di Puccini. Dirigere Suor Angelica è stata la più grande emozione, è stato il mio lavoro più importante".
3 - L'autore preferito? Fellini, il più grande sognatore del cinema
Per Friedkin il cinema è fatto dell'essenza stessa del sogno. "Molti dei film che ho fatto riguardano la realtà. Ammiro molto di più l'opera di Federico Fellini che non proviene dalla realtà, ma affonda le radici in una visione personale. Per me è più interessante un regista che si ispira ai propri sogni di uno che racconta ciò che vede, purtroppo io non possiedo la fantasia per realizzare quel tipo di sequenze oniriche. Ma una scena di Fellini vale dieci inseguimenti de Il braccio violento della legge. I suoi film sono più reali della realtà perché parlano dell'uomo, dell'essenza dell'anima. Un giorno spero di riuscire a realizzare un film buono almeno la metà dei suoi".
4 - Friedkin e la tecnologia
"Questo è un periodo molto pericoloso per il cinema mondiale. Attraversiamo uno tsunami di cambiamenti. Le persone guardano i film in TV o sul telefono. Se fossi un giovane che sta iniziando la propria carriera oggi non sarei interessato a lavorare nel cinema, ma se proprio decidessi di farlo mi specializzerei nella CGI. Questo è il presente e il futuro del cinema, anche se sembra una cosa oscura. Quando io ho girato i miei film non avevamo a disposizione questa tecnologia. Costruivamo set veri oppure miniature. Oggi viene fatto tutti in CGI. Questo è il motivo per cui non guardo molti film contemporanei, ma preferisco le opere del passato. Oggi vanno di moda i film di supereroi. Ogni generazione ha il proprio cinema di riferimento. Io però preferisco i film fatti artigianalmente".
5 - Il digitale? Meglio della pellicola
Chi si è fatto l'idea dell'ottantenne William Fredkin come di un autore legato al passato sia a livello tematico che stilistico resterà spiazzato dalle sue dichiarazioni sul digitale. Sulla preservazione della pellicola il regista si Chicago non la pensa come Quentin Tarantino. "Le persone che preferiscono la pellicola sono le stesse che preferiscono andare a giro con una carrozza o a cavallo piuttosto che in macchina. Ho girato in digitale i miei due ultimi film, Bug - La paranoia è contagiosa e Killer Joe. Le telecamere digitali sono fantastiche. Non credo che il 35mm debba essere preservato a tutti i costi, così come non credo che vorreste sentire la voce di Caruso su una registrazione dell'epoca tutta gracchiante. La pellicola si degrada facilmente, si rompe, va rimontata e si perdono frame, la colonna sonora è rumorosa. In più il processo di stampa spesso altera i colori originali. Il digitale è pulito. Mostra ciò che si vede attraverso l'obiettivo inalterato. Il digitale non è il futuro, è il presente. Però non amo le persone che guardano i film al PC o sul telefono. I film devo essere visti su un grande schermo, digitali e non".
6 - La colonna sonora deve essere indipendente dall'immagine
Da melomane quale è, per William Friedkin la musica ha sempre avuto un peso essenziale nelle sue opere, ma l'uso che ne ha fatto è sempre stato originale. "Non voglio che la musica dica al pubblico come si debba sentire. La musica è una componente essenziale della colonna sonora, e il suono in sé è vitale per i miei film. Ne L'esorcista abbiamo pensato a lungo a quale suono usare nella scena in cui la testa di Linda Blair gira di 360°. Abbiamo discusso a lungo sul tipo di rumore che avrebbe prodotto e abbiamo fatto una serie di tentativi. Alla fine abbiamo preso un vecchio portafogli rotto con dentro le carte di credito e lo abbiamo piegato vicino a un microfono. Questo è il suono delle ossa che si incrinano mentre la testa di Reagan gira. Per Cruising, un film molto violento, ho scelto per le musiche un quartetto d'archi di Luigi Boccherini, creando un contrasto tra la composizione e ciò che si vede che dona un effetto inquietante. Nel 1976, prima di girare Il salario della paura, avevo sentito questa nuova band, i Tangerine Dream. Era un suono innovativo perciò li ho voluti nel film. Per Vivere e morire a Los Angeles ho scelto, invece, Wang Chung, due ragazzi inglesi che hanno scelto come nome il suono della chitarra. A nessuno di loro ho chiesto di scrivere le musiche dopo avergli fatto vedere i film. Gli ho chiesto di comporre le musiche seguendo le impressioni avute da ciò che gli avevo detto dei film prima di realizzarli".
7 - Vivere e morire a Los Angeles: l'arte di aggirare i divieti
Per realizzare gli effetti visivi che aveva in mente, William Friedkin non si è mai fermato di fronte a niente. Ecco un aneddoto legato alla lavorazione di Vivere e morire a Los Angeles. "Mentre provavamo la scena di inseguimento in aeroporto, quello in cui William Petersen e John Pankow fermano John Turturro, Petersen ha improvvisato balzando sul nastro trasportatore e continuando a correre lì sopra. L'addetto alla sicurezza dell'aeroporto è subito intervenuto dicendo che non lo potevamo fare perché era pericoloso, ma William Petersen mi ha garantito che per lui era molto semplice correre sul nastro trasportatore. Allora ho dato il via, lui ha ripetuto la scena nello stesso modo e quando ho dato lo stop ho sgridato Petersen dicendo che non l'avrebbe dovuto fare. Naturalmente la corsa sul nastro trasportatore è stata usata nel film".
8 - Sulla pena di morte
Altra opera tormentata di William Friedkin, Assassino senza colpa? è un thriller, ma anche un brillante esempio di cinema civile. Uscito con cinque anni di ritardo a causa del fallimento della DEG, società americana di Dino De Laurentiis, del film ne esistono due versioni. La ragione la spiega Friedkin. "Non voglio parlare di ciò che è successo con Dino De Laurentiis. Lo lascio alla storia. Assassino senza colpa? racconta la storia di un serial killer in California. Negli anni tra la fine delle riprese e il momento il cui il film è uscito ho cambiato la mia idea sulla pena di morte. Il primo film che ho fatto è stato un documentario girato nel braccio della morte per salvare un uomo da una sedia elettrica. Ci riuscii grazie al film, ma soprattutto grazie a Dio. Era un uomo giovane e io ero contrario alla pena di morte. Ma dopo aver assistito alla serie di omicidi senza senso che hanno colpito gli USA e il resto del mondo ho cambiato idea. L'omicidio di John F. Kennedy, di Martin Luther King, di Robert Kennedy, di Yitzhak Rabin. Per me non c'era motivo di tenere in vita i killer. Non sono felice di dire ciò, ma è questo il motivo alla base delle due versioni di Assassinio senza colpa?".
9 - Lo scarso entusiasmo per le elezioni americane
"In America una città come Lucca non esisterebbe, l'America è per eliminare ciò che è vecchio. Anche i vecchi registi. L'America non conserva la propria identità. È ossessionata dal nuovo, dal futuro e riscrive costantemente la storia. Oggi sui libri si legge che i padri fondatori erano brutali, schiavisti. Se fossi cresciuto oggi, non avrei amato America. E adesso si avvicinano le elezioni. Che posso dire? Donald Trump è un imbonitore. Vende se stesso. Molte persone lo apprezzano perché rappresenta un certo show business. Potrebbe anche diventare presidente. (Friedkin fa il gesto di spararsi alla testa n.d.r.). A dire la verità non capisco il fenomeno Trump, ma non mi piace molto neanche Hillary Clinton. Queste elezioni sono come Il pozzo e il pendolo di Edgar Allan Poe, basta solo scegliere in quale dei due modi morire".
10 - L'intervista di Friedkin a Fritz Lang
Nel 1974 William Friedkin ha realizzato una lunga intervista video a Fritz Lang. All'inizio l'impresa non è stata delle più semplici. "Amavo l'opera di Lang e quando mi capitò l'occasione lo chiamai per chiedergli di poterlo incontrare. Lui però mi rispose in malo modo dicendo che non sapeva chi cavolo fossi e non era interessato a incontrarmi. Qualche giorno dopo gli parlarono di me e lui mi richiamò. Così mi recai a casa sua. Era molto fragile. Dopo aver instaurato un rapporto, gli chiesi di poter portare due camere per registrare l'intervista. Lui mi concesse un'ora al giorno per cinque giorni. Mi raccontò tante cose affascinanti, ma dopo la fine delle riprese non ne feci niente. Misi via l'intervista nel mio garage. Qualche anno fa il Torino Film Festival ha deciso di darmi un premio alla carriera e mi è stato chiesto dove fosse l'intervista a Fritz Lang. Mi proposero di montarla per presentarla in anteprima a Torino".
"L'aneddoto di Lang che mi è rimasto più impresso è il seguente. All'inizio della sua carriera, Fritz Lang ha realizzato una serie di film con protagonista il Dottor Mabuse, un personaggio che somigliava a Hitler, una specie di satira. All'epoca il Nazismo stava vivendo la sua fase crescente in Germania. Un giorno Fritz Lang venne convocato dal Ministro della Propaganda, Goebbels. A sentir quel nome il regista pensò 'Sono un uomo morto'. Entrò nel ministero e percorse lunghissimi corridoi di marmo. Fu fatto entrare in un ufficio immenso. In fondo al salone si trovava una scrivania, posta su una pedana, la postazione di Goebbels. Lui fu fatto sedere in basso, sotto la scrivania, in attesa del ministro. Alla fine questo entrò. Goebbels era un tappetto e zoppicava. Doveva salire le scale con fatica per mettersi a sedere. Dopo un lungo silenzio, Goebbels esclamò: 'Signor Lang, il Fuhrer e io amiamo molto i suoi film. Pensiamo che lei sia il più grande regista tedesco e vogliamo che lei faccia dei film che possano illustrare le idee, i valori e la potenza dei Reich'. Lang era scioccato, così disse a Goebbels 'Ma ministro, mia madre è ebrea'. Goebbels unì le mani, sorrise, si piegò verso il regista e disse 'Herr Lang, siamo noi che decidiamo chi è ebreo'. Fritz Lang uscì dall'ufficio e quella notte stessa lasciò la Germania".