Whitney: ascesa e declino di una popstar nel documentario shock

Kevin Macdonald racconta la rapida ascesa al successo di Whitney Houston ed i problemi che ne hanno causato il declino e poi la morte in un documentario ben costruito ed intenso.

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La storia della musica è lastricata di stelle cadute. Il pop, il rock soprattutto, hanno dovuto dire prematuramente addio a troppi dei propri eroi, caduti nella difficile battaglia contro i propri demoni e gli eccessi di vite ricche, di successo, ma così difficili da gestire. Kurt Cobain, Freddie Mercury, Michael Jackson, Chris Cornell, Jim Morrison sono solo alcune delle giovani vittime illustri la cui arte ci è stata portata via. Potremmo elencarne ancora tante, troppe, ma ne aggiungiamo soltanto una che ha fatto molto male al grande pubblico al tempo della sua scomparsa: Whitney Houston.
Alla folgorante carriera, nonché al suo drammatico destino, dedica un approfondimento il regista premio Oscar Kevin Macdonald, in un documentario, il secondo dedicato quest'anno all'artista di colore, presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2018. Un lavoro solido e compatto che non si limita a raccontare la vita personale e professionale della Houston, ma cerca di indagare le cause di quel terribile declino, scavando, ipotizzando risposte e strappando anche una importante rivelazione ad una delle figure della vita della cantante intervistate.

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L'esplosione di Whitney

La piccola Whitney, soprannominata Nippy dal padre, canta da sempre. Non potrebbe essere altrimenti con una madre come la cantante Cissy Houston e cugine come Dionne Warwick e Dee Dee Warwick. L'esperienza familiare nel campo è però anche una guida nel gestire al meglio l'evidente talento della bambina: tanto studio, scuola privata femminile per tenerla alla larga dai bulletti, prime esperienze mirate per metterla alla prova prima di tentare la strada di un contratto discografico. Infatti quando questo arriva, la strada verso il successo è rapida e immediata. Ce lo raccontano le persone che le erano accanto allora, dalla madre al padre/manager passando per il discografico responsabile del suo primo contratto e altre figure che gravitavano attorno alla giovane ragazza di talento. Parole che confermano ciò che è evidente, le capacità canore che tutti conosciamo, e fanno luce su una ragazza viva, intelligente e concentrata sul suo lavoro nella musica.

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Whitney: un'immagine che ritrae Whitney Houston cantare
Whitney: un'immagine che ritrae Whitney Houston cantare

"Whitey" Houston

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Una naturalezza nel canto che emerge in tutta la sua grandezza quando il regista racconta il Super Bowl del 1991 e l'emozionante performance della cantante dopo aver ascoltato la base una sola volta e di sfuggita. Un'eccellenza esplosa anche nel cinema con Guardia del corpo, che ha dato ulteriore spinta internazionale al successo dell'artista, spingendola a livelli di popolarità fuori controllo. In quel periodo però le ombre avevano già iniziato ad allungarsi su un'esistenza segnata: il complesso rapporto con la sua migliore amica, poi assistente, Robyn Crawford e l'ambiguità sessuale, il burrascoso matrimonio con Bobby Brown, l'assurda accusa da parte della comunità nera, che la riteneva troppo "bianca" procurandole il soprannome di whitey, culminata ai Soul Train Music Award del 1989. Kevin Macdonald si muove agevolmente lungo la vita della Houston, sottolinea i momenti chiave per guidarci nella comprensione di un declino drammatico. La parte musicale è affidata a frammenti di esibizioni che si innescano nella ricostruzione dell'evoluzione personale di Whitney Houston, presente ma non fondamentale nella costruzione del documentario del regista scozzese.

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La rivelazione di Macdonald

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Il cuore è infatti il voler cercare di capire le cause alla base del crollo dell'artista, quali siano quei demoni evocati già dall'intervista all'artista che accompagna il montaggio di frammenti video che apre il film. Demoni che l'indagine documentaristica di Macdonald fa risalire ad una molestia subita da bambina, il cui colpevole viene rivelato dalle parole di Mary Jones, assistente di vecchia data dell'artista. Un dettaglio importante, un qualcosa che ai precedenti approfondimenti su Whitney Houston era mancata, l'indice puntato verso Dee Dee Warwick, morta nel 2008 e indicata dalla Jones come la causa delle difficoltà della Houston di fare i conti con la propria sessualità. Un trauma subito in giovane età, tenuto nascosto anche alla madre, e portato dentro di sé per tutta la vita personale e professionale. Un trauma che Macdonald è abile a evocare lungo tutto il proprio documentario dando corpo e anima al racconto di una esistenza e una carriera finita tragicamente.

Movieplayer.it

4.0/5