Una telecamera che riprende, i ricordi di un testimone, il montaggio che cuce le parole, attimo dopo attimo. Grazie all'assurdità della storia, che ripercorre un animo umano regresso allo stato animalesco, un'opera come What Jennifer Did - Il caso Jennifer Pan, docu-film disponibile su Netflix, è capace di sorprendere e catturare lo sguardo dello spettatore, proprio come a catturare la vita altrui è l'elaborazione mentale di un piano diabolico.
What Jennifer Did - Il caso Jennifer Pan, la storia
Per aprire la nostra recensione, partiamo dalla storia: l'8 novembre 2010 una voce fa tremare la cornetta dell'operatrice del 911. È una voce giovane, di una ragazza impaurita, che chiede aiuto perché tre uomini armati (tutti neri, uno con accento giamaicano e un altro con i dreadlocks) hanno fatto irruzione nella sua abitazione di Markham, Ontario uccidendo la madre, e sparando al padre. Che quel racconto nasconda un velo di bugia lo rivela lo stesso titolo, anticipandoci la complicità e la colpevolezza di Jennifer. Non passerà molto prima che la verità emerga. Durante l'interrogatorio, Jennifer racconta una versione particolare: i tre hanno legato le mani di Jennifer strette dietro la schiena e nonostante questo è riuscita a chiamare i servizi di emergenza. Mentre la madre, Bich Ha, viene colpita a morte e il padre, Hann, viene ferito, lei è l'unica rimasta sorprendente illesa. Ma è proprio qui che Jennifer ha sbagliato: mai lasciare vivo un testimone, perché sarà proprio il racconto del padre a incastrarla, permettendo agli agenti di mettere le tessere al proprio posto.
La reiterazione del male
What Jennifer Did - Il caso Jennifer Pan è un'opera che vive dell'incapacità di accettare la storia narrata come qualcosa di reale. Sebbene l'epilogo sia alquanto prevedibile, complice un titolo piuttosto parlante e anticipatorio, lo spettatore continua lo stesso a seguire il raccordo di inquadrature che si susseguono tra di loro, ammaliato dall'alternanza tra testimonianze e materiali di archivio. Dal punto di vista registico e prettamente tecnico, tutto si reitera uguale a quanto già proposto in precedenza; i canoni si ripropongono uguali a se stessi, senza grandi modifiche, o slanci virtuosistici. La regia, il ritmo del montaggio, la fotografia, tutto si applica in funzione della storia da raccontare, si adattano a essa, per evidenziarne le trame interne, le pedine mosse, il sangue versato.
Duplici schermi, doppio dolore
Se c'è un elemento interessante nel costrutto visivo chiamato a tradurre le fasi di inchiesta, di intercettazioni e interrogatori che tentano di rispondere alla fatidica domanda "cosa ha fatto Jennifer?" quello si ritrova nello sdoppiamento di punti di vista, di volti racchiusi negli schermi di video-tape che scorrono ancora una volta su un altro schermo, come quello di spettatori attoniti, sorpresi da un ulteriore caduta del genere umano dinnanzi alla potenza della morte. Le parole ritornano a investire le orecchie, gli sguardi ad abbassarsi, i ricordi a riempire lo spazio di visione, in una ciclicità eterna, come se a generarle fosse un incantesimo macabro, che la moltiplicazione degli schermi esacerba, elevandolo alla seconda.
L'ombra del passato sul terrore del presente
What Jennifer Did - Il caso Jennifer Pan non ha nulla di innovativo, se non la linea di racconto che intende perseguire. L'opera non punta alla sorpresa, quanto al come si è arrivati a un tale epilogo e allo svelamento dei misteri. Il resto è affidato a un gioco di montaggio e all'elemento umano che vanno a sottolineare, come tanti evidenziatori, i passaggi più sorprendenti, e i risvolti più intensi. Tra un passato ingombrante, le aspettative genitoriali che asfissiano figli incapaci di seguire le proprie ambizioni, e un legame sentimentale da cui è impossibile distaccarsi, What Jennifer Did promette di scavare a fondo la verità, arrivando alle radici dei problemi, al seme germinale di una mente colpevole. Per un'opera che scava a fondo l'incombere del passato sull'ombra del presente, l'uso di ricostruzioni, o di momenti recitati si riduce quasi a zero; dopotutto la componente falsa, ricostruita, è tutta a carico della stessa Jennifer, portatrice e creatrice di continue menzogne e bugie.
È lei la fabbrica della falsità che produrrà un castello di sabbia pronto a distruggersi non appena su di lui si abbatterà l'onda delle indagini. Eppure, nello spazio di testimonianze, di ricordi condivisi da chi ha vissuto sulla propria pelle lo scorrere dei minuti nel corso degli interrogatori, un baratro profondo di mancanze si apre silente dinnanzi a noi. La regista Jenny Popplewell tende a concentrarsi sull'effetto sorpresa, sul modus operandi di una ragazza apparentemente normale, dimenticandosi di indagare ancor più a fondo sulle dinamiche familiari che hanno portato la ragazza a vestirsi di morte; dilungandosi eccessivamente su punti alquanto sacrificabili, viene meno un altro aspetto alquanto coinvolgente dal punto d vista spettatoriale come quello successivo all'arresto di Jennifer e Danny, come il processo e la risposta mediatica a un caso che ha sconvolto l'America di oggi. Cosa abbia fatto Jennifer lo spettatore adesso lo sa; ma fluttuano sulla superficie di visione decine di ulteriori questioni rimaste irrisolte, domande senza risposta, che nessuno colmerà mai.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di What Jennifer Did - Il caso Jennifer Pan sottolineando come nulla all'interno di questo docu-film pretende di mostrarsi come qualcosa di innovativo, puntando sulla forza del racconto qui narrato. Eppure, tanti quesiti rimangono sospesi, mentre altri aspetti vengono fin troppo indugiati, allungando un brodo che poteva puntare su altro.
Perché ci piace
- La storia narrata.
- L'uso di schermi televisivi e superifici riflettenti che duplicano il senso di ansia e terrore.
- L'uso di testimoni e materiale di archivio.
Cosa non va
- Il non aver puntato su fattori molto più interessanti della storia narrata.
- Aver lasciato sospesi molti aspetti e punti salienti dell'indagine.
- Una regia alquanto anonima.