Dopo la complessità dell'azione e gli sviluppi cruciali dell'episoio precedente, Les Ecorches, per il suo terzultimo episodio la seconda stagione di Westworld ci fa omaggio di uno di quegli episodi che ci mostrano al meglio tutte le inesauribili possibilità di questa storia e la misura dell'abilità di questo team creativo - oltre che della precisione con cui il disegno narrativo di Westworld è stato progettato. Con Kiksuya ci troviamo a rievocare scenari, a riesaminare indizi, a rivivere la vicenda della lungamente preparata ribellione degli host di Westworld da una prospettiva completamente diversa, e il risultato è strepitoso.
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Non abbiamo mai parlato diffusamente della tribù della Nazione Fantasma in questo lungo ciclo di articoli sugli episodi di Westworld. Isolata dal resto delle comunità del parco, si muoveva silenziosa, terrificante, ai margini dell'azione, abitando anche i più atroci ricordi di Maeve. Non conosciamo ancora il ruolo preciso che ha nel piano di Ford, ma conosciamo il perché del comportamento occasionalmente inspiegabile dei guerrieri e del loro leader, e la ragione per cui Maeve non può controllare i membri della Nazione Fantasma. E soprattutto adesso conosciamo il percorso di Akecheta, il capo della tribù e forse il primo host di Westworld ad aprire gli occhi - occhi grandi e infinitamente tristi, tragicamente sapienti - sulla verità di una vita vissuta da priginieri, da marionette, mentre dentro cresce la consapevolezza di vivere nel mondo sbagliato.
Il risveglio del guerriero
Carly Wray e Dan Deitz firmano lo script di quello che ci sembra uno degli episodi più emozionanti, narrativamente coerenti e visivamente più belli del corso dello show HBO: la struttura della teleplay ha la caratteristica di richiamare alla memoria sia altri archi e storyline della serie sia assortiti topoi del genere western, con Akecheta - che, conviene ricordarlo - è stato anche uno degli host in giacca utilizzati per convincere Logan Delos a investire nella Argos Initiative, quindi tra le sue reverie, o memorie "Kikuya" vuol dire "ricordo" in lingua Lakota - potrebbero esserci frammenti dei segreti del parco - che inizia il suo percorso in uno scenario idilliaco, membro di una comunità pacifica, circondato da familiari che lo sostengono, e affiancato da una splendida donna che lo ama, e per de tutto questo quando viene "assegnato" a un altro ruolo: quello del sanguinario guerriero della Nazione Fantasma, maschera terribile e foriera di brividi per i visitatori in cerca di emozioni forti.
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Ma Akecheta, per puro caso, ha visto il labirinto; Akecheta, seguito e magnificamente inquadrato dall'eccezionale regista Uta Briesewitz nei suoi irrequieti, inquisitivi spostamenti tra dune e valli e fiumi incontra l'uomo che un tempo ha avuto il compito di sedurre per ordine dei suoi creatori, ora nudo, folle, fragile, e con lui mostra la natura che resiste alla programmazione, alla forzatura e alla manipolazione; Akecheta, nonostante tutto, non ha dimenticato la sua Kohana, ed è pronto ad affrontare un viaggio in un misterioso mondo sotterraneo, risonante di tanti miti greci e norreni, per ritrovarla. Ma questo Orfeo, destinato a tentare invano di salvare la sua Euridice dall'Ade dei magazzini sotterranei della Mesa, troverà in quella impresa disperata, in quella perdita insanabile la forza per una missione più grande: mostrare agli altri il simbolo del labirinto, diffondere la consapevolezza, cercare la porta verso un mondo più giusto.
Akecheta e il cuore della regina
Tra le numerose scelte felici di questa teleplay un magistrale inserimento diegetico della storia di Akecheta, narrata da lui in persona a una silenziosa ascoltatrice: la bambina rapita nella casa colonica nella prateria, quella in cui Maeve riconosce sua figlia. La giovane Jasmyn Rae, è un perfetto, muto ed espressivo contraltare alla sommessa narrazione di Zahn McClarnon, mattatore di questo episodio memorabile. Il suo raccontarsi, avvicinarsi alla bambina ci rivela non solo il suo ruolo decisivo nell'innescare il "risveglio" di Meave (che non era stata quindi attivata da Dolores), ma ci svela anche come siano i legami con gli altri a rendere umani gli host, e come sia la mancanza di empatia e di solidarietà a rendere disumani noi.
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Il corpo esanime di Maeve giace nel laboratorio della Mesa, dove si cerca di "ripararlo" grazie agli sforzi di un Lee Sizemore forse davvero contrito, più consapevole a questo punto; ma quella mente alla deriva incontra nuove correnti invece di scivolare e perdersi nell'oceano: così Maeve ritroverà la strada verso sua figlia e la battaglia per la liberazione e l'autodeterminazione degli host non una ma due condottieri giusti, equilibrati, e forti nella solidarietà.
Movieplayer.it
4.5/5