Siamo arrivati a scrivere la recensione del settimo episodio di Westworld 3, una stagione che finora non ha brillato, salvo rare eccezioni, né dal punto di vista dell'originalità delle idee né sul lato del puro intrattenimento. L'azione non mancherà nemmeno in questo settimo episodio così come le tematiche care alla serie e, come ampiamente prevedibile, il colpo di scena finale potrebbe aprire finalmente nuove storie davvero interessanti. Ma possiamo ritenerci soddisfatti dalla direzione intrapresa dalla serie? Possiamo ritenerci ancora interessati dai personaggi, dai loro dubbi, dal conflitto di portata mondiale, oltre che filosofica, fin qui raccontato? Sono domande a cui pensiamo di aver risposto ogni settimana, ma che - come accade nella serie - puntualmente si ripresentano demolendo le nostre certezze. Perché questa terza stagione di Westworld, oltre ad assomigliare sempre di più a uno spin off di matrice puramente action (i combattimenti e non più i dialoghi portano avanti la narrazione), ha coniugato temi alti con una scrittura molto pigra, ha introdotto personaggi nuovi poco memorabili e ha ridotto la complessità dei personaggi a cui ci eravamo affezionati. In questo penultimo episodio della terza stagione tutta l'ambiguità della serie si esprime al massimo potenziale lasciandoci a tratti soddisfatti e a tratti interdetti. Come sempre, proseguite la lettura consapevoli di trovare spoiler.
Un prologo esplicativo
Una valigetta che con un colpo rapido si trasforma in una mitragliatrice. Una katana che in maniera aggraziata e coreografica taglia il busto di Sato. Basterebbero queste due immagini a dimostrare che la serie è definitivamente cambiata: quattro anni fa i momenti clou erano composti da dialoghi filosofici pronunciati da Ford, un Anthony Hopkins di eccezionale bravura; oggi è lo spettacolo che ha la meglio, la violenza esibita e ludica, i combattimenti corpo a corpo con i personaggi vestiti in nera pelle. Non che sia un male vedere una serie trasformarsi, ma a differenza della brillante scena action presente nel primo episodio, in questo Passed Pawn mancano quelle trovate registiche capaci di elevare e dare il giusto peso all'azione in maniera tale da sposarsi al meglio con le tematiche, ben più importanti, che vengono affrontate. Non manca, invece, tutta una serie di armi futuristiche e tecnologiche che, spesso, rischiano di risultare talmente esagerate e fuori luogo da dubitare della coerenza narrativa del mondo di Westworld.
Westworld 3, la recensione del sesto episodio: questione di sopravvivenza
Un futuro del vecchio millennio
Troviamo giusto soffermarci un momento di più sul lato puramente action della puntata, soprattutto in vista del finale che ha visto lo scontro più atteso della stagione, quello tra Maeve e Dolores. Tra katane, droni cecchini e arti marziali, lo scontro non risulta particolarmente ricco di pathos e complessivamente riuscito, complice una mancata costruzione dell'attesa della lotta negli episodi precedenti e lasciando che le due personalità di spicco di Westworld semplicemente si ritrovano pronte ad affrontarsi (ma la sensazione che la serie acceleri e rallenti nel racconto in base alle esigenze è una costante di questa terza stagione). Qualche scelta infelice di scrittura unita a una recitazione di maniera (come quando Maeve comunica telepaticamente con Dolores a distanza dando sfoggio di espressioni facciali da vecchio telefilm per ragazzi di inizi anni Duemila) che non rende merito alla bravura di Evan Rachel Wood e Thandie Newton, fa scivolare lo scontro finale tra i due robot nella normalità. Come spesso accade nella serie, gli eventi semplicemente succedono.
Il colpo di scena su Caleb
Gran parte dell'episodio è dedicato a Caleb, il personaggio interpretato da Aaron Paul di cui ancora dovevamo conoscerne il passato. Sarà il sistema Solomon, quello creato dal fratello schizofrenico di Serac e ancora attivo, a spingerlo a ricordare. Utilizzando sia il modello di scrittura caro a Westworld, presente specialmente nella seconda stagione, che quello del classico di Akira Kurosawa (parliamo di Rashomon, un film la cui storia viene raccontata da diversi punti di vista senza una verità certa), il passato di Caleb ci viene narrato attraverso varie versioni e ricordi del personaggio, fino ad arrivare alla verità. Si scoprirà che Caleb era un emarginato, un nemico della società. Grazie a una terapia di ricondizionamento, un trattamento rivoluzionario che ripristinava le menti nella maniera più adatta per far parte della massa, Caleb si è reinserito nella società reintroducendosi nei percorsi perfetti decisi dall'intelligenza artificiale. È questo che Serac cercava di compiere: trattare gli esseri umani come macchine, ricondizionarli e ripristinarli per raggiungere quell'utopia sull'ordine a cui anela. E nel finale sarà proprio Caleb, rabbioso, consapevole di essere stato plagiato a prendere il testimone di Dolores: forse è lui ora che intende distruggere l'umanità, rea di non essere libera. È un colpo di scena che, grazie anche allo spegnimento (definitivo?) di Dolores e Maeve, d'un tratto rende il proseguimento della storia interessante. Un unico motivo per attendere gli sviluppi del finale di stagione.
Si capovolge l'Uomo in Nero
Un breve spazio ce l'ha anche William, liberato dalla terapia virtuale da Bernard e Ashley nello scorso episodio, scopre di essere allo stesso tempo vivo e morto: a differenza di Caleb il suo ricondizionamento non è andato a buon fine, William - che vesta di nero o di bianco - è ancora una scheggia impazzita, un uomo che non rispetta il suo percorso, un pericolo violento. È vestito di bianco eppure non l'abbiamo mai visto così desideroso di sangue: a partire da Charlotte/Dolores che gli ha iniettato un virus per rubargli i dati, per proseguire con tutti i residenti del vecchio parco a tema western, la sua nuova missione è sterminare ogni robot. Il cliffhanger con cui ci lascia in questo episodio, mentre punta un fucile contro Bernard e Ashley pronto a sparare, potrebbe lasciar presagire azioni violente che, si sa, porteranno a fini violente.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione del settimo episodio di Westworld 3 riassumendo brevemente le caratteristiche di questo penultimo appuntamento annuale. È ormai una serie a due facce: troppo seria per poter divertire quando si tratta di azione e troppo sempliciotta per non poter soprassedere ai difetti. Anche in questo episodio, nonostante gli sviluppi a tratti interessanti e nonostante alcuni discorsi sul libero arbitrio che fanno sempre presa per gli appassionati della serie creata da Jonathan Nolan, Westworld sembra incapace di trovare il giusto equilibrio tra gli ingredienti che la compongono, minando così il puro piacere della visione. I colpi di scena conclusivi, tuttavia, fanno ben sperare per un finale all’altezza delle aspettative (ad essere sinceri non molto alte).
Perché ci piace
- Ottimo il discorso sul ricondizionamento degli esseri umani.
- L’episodio si conclude con un cliffhanger e dei colpi di scena che invogliano alla visione del finale.
Cosa non va
- Tutta la parte action sembra appartenere a un’altra serie ben più datata.
- L’indecisione tra una scrittura più semplice e una più complessa rende il proseguimento della storia poco avvincente.