In che anno siamo? Tranquilli, non avete sbagliato. Quella che vi apprestate a leggere è davvero la nostra recensione del sesto episodio di Westworld 3, un episodio che dovrebbe portare la narrazione verso l'atto conclusivo della stagione. Ormai, a due episodi dalla fine, dobbiamo ammettere con rammarico che Westworld non è riuscita a rinnovarsi nel migliore dei modi. Complice una scrittura sempre più pigra che ha reso i personaggi semplici burattini monodimensionali che agiscono in base a una scrittura decisa dall'alto (Jonathan Nolan e Lisa Joy) e non da vere motivazioni appartenenti alla dimensione narrativa, il risultato è una serie avvolta in sé stessa, come in un loop, senza reali motivazioni per tenerci incollati allo schermo. Una serie che, riproponendo pedissequamente la propria dimensione, non si è accorta che, a quattro anni dalla prima stagione, il mondo televisivo e della serialità si è evoluto. Westworld, da serie innovativa qual era, è costretta a rincorrere, in ritardo sui tempi. Non proseguite la lettura se non avete ancora visto l'episodio: i paragrafi che seguono contengono spoiler!
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William (Mr. Robot)
Prevedibilmente, se lo scorso episodio era dedicato completamente a Caleb e Dolores, la trama di questo Decoherence si concentra sugli altri tre personaggi. Iniziamo da William, l'Uomo in Nero chiuso in una casa di cura, vestito completamente di bianco come il Billy della prima stagione che per la prima volta entrava nel parco di Westworld. Questa storyline, alquanto separata dal resto dell'episodio, si concentra sulla situazione di malessere del personaggio interpretato dal sempre ottimo Ed Harris e da un'onirica sequenza di terapia in realtà aumentata in cui William si ritrova in una stanza a confrontarsi con le varie versioni di sé stesso. Ci sono proprio tutti: il William giovane, quello cinico del parco, l'imprenditore, persino una sua versione fanciullesca con James Delos a moderare l'elaborazione dei traumi. Metafora parecchio urlata sul confrontarsi e ritrovare la propria identità (ricordiamo che la seconda stagione si concludeva con William talmente paranoico da dubitare della sua natura umana), realizzata in una maniera che ha il sapore di già visto, benché abbia la funzione di riportare in scena l'Uomo in Nero (ora Uomo in Bianco e quindi di nuovo dalla parte del bene?) questo scontro interno del personaggio non coinvolge quanto vorrebbe.
Maeve (Matrix)
La supercyborg Maeve è tornata nella simulazione di WarWorld, in attesa di essere rigenerata e con l'obiettivo di portare nel mondo reale come alleato il fidato Hector per fermare Dolores. In ballo c'è, ancora una volta, il ricongiungimento con la figlia. A ogni episodio che passa Maeve sembra accrescere sempre di più i propri poteri, ora capace pure di accorgersi di essere in una simulazione (e noi spettatori con lei, il mondo virtuale è sottolineato dal formato panoramico) e di "vedere" in tempo reale i laboratori dove il suo corpo artificiale sta per nascere. La sua seconda chance (questo è quello che le dice Serac) viene, però, messa a dura prova da Charlotte/Dolores che, una volta entrata nel laboratorio, inizia a distruggere le sfere di memoria dei personaggi. Così, in una sequenza che non può che ricordare il primo Matrix dove Cypher (Joe Pantoliano) staccava la spina al gruppo di Morpheus, assistiamo a un ennesimo incontro con Dolores dove i soliti temi cari a Westworld verranno ancora una volta affrontati.
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Charlotte (Terminator)
E arriviamo alla storyline preponderante dell'episodio, dedicata a Charlotte Hale (Tessa Thompson) o, per meglio dire, all'involucro di Charlotte con la mente di Dolores. Personaggio che aveva reso il terzo episodio di questa stagione molto interessante ed emotivo nello scoprire la sua vera natura di androide, desideroso di amare la propria famiglia, qui - una volta saltata la sua copertura - si trasforma in un Terminator senza cuore. Il momento action dell'episodio (ormai una costante di questa terza stagione) è tutto per lei: letale nelle arti marziali, precisa con la pistola, una macchina da guerra infallibile e indistruttibile. Non si raggiunge il divertimento dell'episodio della settimana scorsa, reso un po' più movimentato dal punto di vista di un personaggio drogato, e la messa in scena non aiuta. Tra robot giganti combattenti, totalmente gratuiti ed estranei alla natura della serie e una non riuscita CGI che, mai come in questo caso, sembra appiccicata sopra il video, Westworld non spicca nemmeno nel puro e semplice divertimento. Una Charlotte in fiamme che ricorda un certo personaggio di Star Wars poco prima di diventare Darth Vader è l'ennesimo deja-vu visivo di quest'ora televisiva.
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L'ordine dopo il caos?
Mancano solo due ore alla fine di questa stagione che, per la gran parte, risulta un prodotto involuto e con ben poco di interessante da raccontare. Quattro anni fa, Westworld con il suo production value alzava nuovamente gli standard della televisione di qualità targata HBO: qualità cinematografica, idee interessanti, personaggi tridimensionali, una narrazione complicata e tuttavia appagante. Era una voce fresca, innovativa, certo non destinata al grande pubblico come poteva sembrare. Quattro anni dopo Westworld, per dirla alla Dolores, è una sopravvissuta. Chiusa nei suoi pattern e alla ricerca di un nuovo pubblico, la creatura di Jonathan Nolan e Lisa Joy è costretta a inseguire le mode, i successi, lo stile della nuova serialità televisiva che, nel frattempo, è diventata popolare. Gli stessi temi filosofici sono affrontati in maniera più pigra, più scontata così come i personaggi hanno perso tutte le sfumature per diventare modelli caratteriali. Un tentativo di recuperare pubblico per proseguire l'avventura? Gli ascolti in America non sembrano premiare questo "Nuovo Mondo", ma d'altronde, per i ritmi dell'industria culturale e della sua fruizione, tutto sembra essere derivazione di qualcos'altro (può essere Black Mirror, Mr. Robot o Legion) senza tuttavia averne la forza, la sincerità, la fede nel metterlo in scena. Westworld ormai sembra uno dei primi robot del parco della Delos: ci si può interagire, può essere apprezzata, ma in confronto al nuovo non si può fare a meno di notarne l'obsolescenza.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione del sesto episodio di Westworld 3 dando un voto simbolico. A una serie che si pone nel mezzo tra rinnovarsi e replicarsi, che vuole sembrare forte e risulta derivativa verso altre opere audiovisive (voluto o meno), che non esalta né fa arrabbiare, il cui cuore è fermo a un encefalogramma piatto senza picchi o cadute, diamo il nostro mezzo punteggio, né premiandola né bocciandola, sebbene questo sesto episodio sia tutt’altro che interessante.
Perché ci piace
- Ed Harris dà il meglio di sé.
- La trama procede anche se senza particolari entusiasmi.
Cosa non va
- Westworld sembra non avere più una propria identità.
- La scrittura pigra non aiuta nel coinvolgimento dello spettatore.