Westworld 3, la recensione del secondo episodio: un normale ritorno a casa

Il secondo episodio della terza stagione di Westworld conferma dubbi e certezze di quanto visto la scorsa settimana, come se fosse una seconda metà introduttiva.

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Westworld 3: Jeffrey Wright nel secondo episodio

In questa recensione del secondo episodio di Westworld 3 possiamo dire di essere ritornati a casa, in quel parco che quattro anni fa ci aveva affascinato così tanto da poter immergerci nei misteri, nelle storyline contorte e nel gioco labirintico che Jonathan Nolan e Lisa Joy avevano in serbo per noi. Questo secondo episodio sembra la metà mancante della prima puntata che ci aveva invece destabilizzato col nuovo mondo metropolitano, quello reale, riportandoci nei binari e nell'ambientazione, seppur cambiata - come vedremo -, del parco artificiale. Sarà un'ora soddisfacente? Ve lo diciamo subito, non prima di avvertirvi che questa recensione contiene spoiler!

Stesso parco, nuovo mondo

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Westworld 3: Vincent Cassel nel secondo episodio

Se l'episodio precedente si concentrava soprattutto su Dolores e la new entry Caleb, la trama di The Winter Line (questo il titolo originale) si concentra su Bernard, di ritorno al parco, e su Maeve, risvegliatasi in una nuova ambientazione a tema Seconda Guerra Mondiale. Bernard è tornato sull'isola del parco per ritrovare proprio Maeve e portarla con sé come alleata nella guerra contro Dolores. Incontrerà invece Stubbs, l'unica presenza (pare) del vecchio parco a tema western. Maeve, invece, si ritroverà con Hector a dover rivivere un nuovo loop in quella che sembra una simulazione di una nuova area tematica ambientata nell'Italia occupata dai nazisti chiamata Warworld. Qui saremo costretti a rivedere vecchie conoscenze e vecchie dinamiche tra il mondo in superficie e i laboratori sotterranei arrivando addirittura a un rapido riepilogo di quanto successo durante la seconda stagione dello show. Si scoprirà così che Warworld è, in realtà, una simulazione artificiale e Maeve si risveglierà nel mondo reale nella casa di un nuovo personaggio di nome Serac, interpretato da Vincent Cassel. Serac è il creatore del Sistema Rehoboam, la sfera che cerca di costituire un percorso ottimale per gli umani e creare, di conseguenza, un futuro perfetto. Serac e Maeve dovranno allearsi con l'obiettivo di fermare Dolores che vuole impadronirsi del Sistema.

Westworld 3, la recensione del primo episodio: ciò che è nuovo non lo sembra

Caos contro ordine

Thandie Newton
Westworld 3: Thandie Newton nella premiere

Grazie a questo secondo episodio abbiamo la certezza di alcune tematiche che la prima puntata lasciava presagire. Le due fazioni in piede di guerra rappresentano lo scontro tra il caos e l'ordine. Dolores con la sua rivoluzione è l'agente della rottura, della libertà, la scheggia impazzita e non controllata che mira a distruggere; Serac e Maeve sono invece il controllo (Maeve non ha perso i suoi poteri telepatici), l'ordine, la coerenza, la programmazione, la possibilità di inserire ogni essere umano in un "percorso" prestabilito da rispettare. D'altronde il loro simbolo da salvaguardare è una sfera, un cerchio perfetto. Quello dell'ordine contro il caos è un conflitto che già era stato affrontato sin dalla prima stagione usando la presa di coscienza delle intelligenze artificiali contro la natura umana. Qui, invece, il conflitto riproposto sembra un po' svuotato della componente più esistenzialista e filosofica che lo rendeva così affascinante per rimanere a un livello molto più teorico e iconografico, a personificazioni viventi dell'ordine e del caos. Una scelta forse un po' semplicistica che corrisponde anche alla scelta (per ora) di non confondere lo spettatore con un racconto intricato e dalle diverse temporalità. Arrivati alla terza stagione la complessità tematica e narrativa di Westworld sembra quindi molto più ordinata lasciando però un interrogativo amaro: e se il fascino di Westworld fosse proprio nel suo caos?

Westworld 3, la recensione: fuori dal parco e dentro la fantascienza

Un ritorno a casa, un ritorno senza sorprese

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Westworld 3: Thandie Newton nel secondo episodio

Casa. Una parola che stimola un sentimento di nostalgia, di protezione, di utero materno. Ritornare a casa significa riavvicinarsi a ciò che ci fa sentire al sicuro. Il ritorno in un parco desolante come quello di Westworld ci fa provare un pizzico di malinconia: la serie è cambiata e i momenti in cui si cercava di unire i puntini dell'intricata sceneggiatura appaiono oggi velati da un sorriso amaro. Il parco che Bernard ritrova è un parco abbandonato e disabitato, svuotato. Per un attimo sembra un ennesimo gioco metalinguistico coadiuvato dal cambiamento di identità della serie (da mondo artificiale a mondo reale, da praterie western a strade cittadine) e dal cambiamento d'identità dei personaggi (Maeve si fa chiamare Isabella nel Warworld, Dolores si fa chiamare Laura, Bernard si fa chiamare Armand). Eppure, mentre seguiamo le storie di Maeve e Bernard, mentre riconosciamo certi pattern e certi loop, la sensazione di rivedere per l'ennesima volta lo stesso trucchetto, lo stesso gioco, le stesse situazioni mostra i limiti della serie come mai prima d'ora. Non ci sono sorprese nello scoprire che ciò che sembrava reale non lo è, non c'è nessun effetto novità nell'ambientazione dell'Italia sotto occupazione nazista, ma anzi sale anche un po' di noia nello scoprire che il tutto sembra un ennesimo riempitivo che tenta di sorprendere sugli stessi temi delle precedenti stagioni, ma che manca clamorosamente il bersaglio.

Westworld: l'evoluzione della sigla e i misteri della serie al suo interno

Quando il controllo sfugge, ma manca il disordine

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Westworld 3: Tessa Thompson nella premiere di stagione

Westworld sembra aver perso la propria identità. Alla fine di questa seconda ora non abbiamo più dubbi in proposito. Rimane la curiosità, leggera, di sapere come proseguirà la storia, ma manca quel mistero importante, quel fascino a cui ci aveva abituato. Ripresentando tematiche già a loro volta ripresentate, senza approfondirle ma puntando sul lato action, ed evitando la confusione narrativa che, se sfruttata bene, aveva dimostrato di tenere incollato allo schermo lo spettatore, la sensazione è quella che manchi il controllo totale della struttura narrativa. Il risultato è un prodotto che sacrificando quelle che erano le caratteristiche più uniche della serie per cercare il puro intrattenimento, paradossalmente, non lo raggiunge mai. Emblematica la colonna sonora di questa terza stagione: gli arrangiamenti di canzoni moderne al pianoforte e l'ariosità orchestrale sono un lontano ricordo. La musica non spicca, rimane un'anonima composizione da film action e toglie un altro elemento importante che rendeva particolare Westworld. Così come, benché simpatico, troviamo stonato il cameo di Benioff e Weiss come scienziati che creano un drago artificiale in un laboratorio che sembra la fucina de Il trono di spade. Al di là della curiosa citazione e dell'essere un altro ottimo esempio di come Westworld sapeva intavolare anche un discorso che avrebbe fatto felice Pirandello, è una nota stonata che non appartiene alla partitura della serie, un gioco al ribasso per gli spettatori.

Conclusioni

Concludiamo la nostra recensione del secondo episodio di Westworld 3 augurandoci che, conclusa questa prima fase di transizione e introduzione, la serie possa finalmente decollare trovando il centro del bersaglio: cambiare identità e portare novità è auspicabile per una serie che ha sofferto di un forte senso di deja-vu nella seconda stagione, ma rinnovarla tanto da farle perdere le sue caratteristiche migliori, l’intelligenza di scrittura che premiava lo spettatore paziente e la stratificazione tematica, per ora sembra essere un’arma a doppio taglio che rischia di farle perdere fascino e interesse.

Movieplayer.it
2.5/5

Perché ci piace

  • I temi e le storie della stagione, tutt’altro che banali, sembrano pronti a essere sviluppati.
  • Il tentativo di rinnovare la serie può portare novità interessanti…

Cosa non va

  • …ma anche toglierle il fascino e le caratteristiche migliori.
  • Il senso di “già visto” diventa così forte da sembrare che il gioco non valga più la candela.