Gli americani sono estremamente bravi a lodarsi e celebrarsi ma allo stesso tempo sono altrettanto capaci di autoironia e soprattutto di criticarsi quando si tratta di eventi che hanno scritto una pagina nera della loro storia, in particolare se recente. Casi di cronaca che divengono spunto di riflessione per qualcosa di più profondo e radicato, che ci dica qualcosa della società in cui viviamo. Ne è un ottimo e tragico esempio l'assedio (o massacro) di Waco, la località del Texas in cui gli agenti dell'FBI insieme a quelli dell'ATF con il supporto della Polizia di Stato tra il 28 febbraio e il 19 aprile 1993 portarono alla morte di 75 persone tra cui 21 bambini a causa dell'uso di gas lacrimogeni, che provocarono un incendio, al fine di evacuare la sede dei Davidiani, una setta religiosa considerata terroristica. La storia però non finisce lì dove si era conclusa la miniserie Waco, datata 2018 e disponibile in Italia sulla piattaforma Paramount+, ma continua nella recensione di Waco: Il Processo, sequel che mette in scena appunto le conseguenze di quanto accaduto in quei terribili mesi nell'entroterra americano e che ci dice qualcosa su quanto successo nella storia più recente degli Stati Uniti.
Waco, post-mortem
La miniserie Waco mostrava in parallelo il lavoro dell'FBI e dell'ATF, capitanati dai personaggi di Michael Shannon (visto su Paramount+ anche in George and Tammy) e Shea Whigham (in una reunion di Boardwalk Empire insieme a Paul Sparks), e l'ascesa di David Koresh, precedentemente noto come Vernon Howell e interpretato da Taylor Kitsch, che fondò la setta dei Davidiani (Branch Davidians) che credeva nella rilettura delle Sacre Scritture in vista di un'Apocalisse che le nuove generazioni avrebbero dovuto combattere, e per questo interessato ad avere più mogli e più progenie. Forse un prodotto un po' troppo di parte, che però mostrava entrambi i punti di vista - e infatti si basava su ben due libri sia dalla prospettiva dell'FBI che da quella dei membri della setta - e illustrava come la Legge a volte si perda nelle proprie regole e nei propri cavilli ottenendo come risultato esattamente e paradossalmente l'opposto di ciò a cui aspirava. Ci ricordava anche che dalla Storia sembriamo non imparare mai come esseri umani, tanto che i gas lacrimogeni erano già stati usati in svariate situazioni critiche portando all'incendio e alla morte di svariate persone. Questa nuova serie in cinque episodi, intitolata Waco: Il processo (in originale Waco: The Aftermath per mettere la lente d'ingrandimento, appunto, sulle conseguenze) mostra cosa successe dopo quel tragico evento, buco nero nella cronaca americana.
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Narrazione in parallelo
Ancora una volta come per il suo predecessore, la trama di Waco: Il Processo viaggia in parallelo mostrando da un lato il dopo, le fasi del processo e il suo drammatico risultato provando a sentire i diretti responsabili, il negoziatore interpretato da Michael Shannon che dona grazia e contrizione al personaggio, e colui che diede il via all'assalto e ai lacrimogeni, ovvero Shea Whigham, che ritrae l'agente dell'ATF preso da una furia fuori controllo verso i terroristi. Dall'altro viene mostrato agli spettatori anche il prima, una sorta di prequel attraverso dei flashback per raccontare la vita di David Koresh quando era ancora Vernon Howell, come diventò il fondatore dei Davidiani, interpretato per l'occasione da Keean Johnson, che propone un perfetto giovane Taylor Kitsch. Mostra anche l'ascesa del terrorista Timothy McVeigh, qui ritratto da Alex Breaux, che sarà dietro l'attentato in Oklahoma. Il serial diventa quindi un legal drama e un family drama allo stesso tempo, che prova a raccontare l'origin story di David e parallelamente l'origine del Male, che in questo caso sta da entrambe le parti: la legge e la società, la setta e le sue convinzioni estremiste coadiuvate dal possesso di armi.
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Riflessione contemporanea
La nuova miniserie è un pretesto per riflettere e analizzare le origini del movimento delle milizie americane, che preannuncia i tragicamente celebri attentati di Oklahoma City (perpetrato da McVeigh come "vendetta" per quanto accaduto in Texas) e Washington, culminati nell'assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Evento che è stato punto di arrivo e di non ritorno di un'insoddisfazione generale, di una presa di coscienza pericolosa di una certa porzione di elettori, specchio di un'America che pur di diventare "Great Again" è stata disposta a passare sopra a qualsiasi simbolo (e diritto) costituzionale, contestare il risultato delle elezioni alla Presidenza e mettere in atto quasi un colpo di stato. Non un vero e proprio movimento suprematista bianco - esploso nei primi anni 2000 - ma che ha comunque mostrato segni ed episodi di razzismo e violenza, che lo allontana eppure lo avvicina pericolosamente ai vari neonazisti et similia. Una miniserie più che per non dimenticare, per non ripetersi nuovamente. Forse.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Waco: Il Processo confermando come la miniserie segua l’iter e le caratteristiche della precedente datata 2018 e ne ricalchi anche il tipo di narrazione in parallelo, mostrando entrambe le facce della medaglia. Seppur di parte, vuole essere una denuncia contro alcune decisioni governative statunitensi, mostrandone però qui entrambe le prospettive e le prove a carico, arrivando a come siano rapportati questi eventi all'ascesa di movimenti cittadini che hanno a che fare con la storia più recente d'America.
Perché ci piace
- Un valido sequel alla miniserie Waco.
- I due binari narrativi in parallelo, divisi tra prequel e sequel.
- Il rapporto tra il processo, l’attentato a Oklahoma City e l'assalto al Campidoglio.
- Michael Shannon.
Cosa non va
- Per alcuni anche questa miniserie, come la precedente, potrebbe essere troppo di parte.
- Ha alcune caratteristiche classiche del biopic di un evento realmente accaduto.