Nel 1999 il cinema americano partorisce tre film molto diversi tra loro: Magnolia, Matrix e Fight Club. Non possono essere opere più lontane per generi e immaginari, ma c'è qualcosa di viscerale che le accomuna. Società al collasso, piogge di rane, l'umanità preda del virtuale. Alla vigilia del XXI secolo il cinema mette in scena tante apocalissi, come se l'inizio di qualcosa di nuovo comporti per forza di cose la fine di qualcos'altro. Da lì a poco verranno sparatorie, sangue, dolore, torri crollate, terroristi eletti icone del Male. Quel cinema aveva paura, e faceva bene. Quel cinema è stato profetico. Brady Corbet quel tempo lo ha vissuto in piena adolescenza, sentendo sulla sua pelle le angosce e le paure di un cambiamento epocale mentre viveva un'età instabile e irrequieta. E il suo Vox Lux è così: instabile, irrequieto, (forse) volutamente irrisolto, avvolto da un'inquietudine irrisolvibile. Il secondo film del regista de L'infanzia di un capo, in concorso a Venezia 2018, si affida ad una Natalie Portman sporca per raccontare la diabolica genesi di una pop star il cui mito nasce durante una mattina disgraziata.
È il 2000 quando, proprio come successo davvero nella Columbine High School nel 1999, un ragazzo entra in una scuola per fare una strage di coetanei. Tra i sopravvissuti c'è la dolce e fragile Celeste, colpita al collo da un proiettile e costretta a una lenta e dolorosa guarigione.
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A salvarla sarà soprattutto il suo farsi portavoce e simbolo dei sopravvissuti a quella tragedia, sarà cambiare "io" in "noi" all'interno di una canzone suonata durante un funerale. Da quel fatidico giorno in poi, Celeste inizia a scivolare poco per volta nel tunnel della fama, e Cobret, armato di cupo cinismo, è pronto ad aprirci le porte del suo paradiso infernale fatto di glitter e note maledette.
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Hanno sparato al cigno nero
Un piccolo anatroccolo destinato a diventare un cigno nero, una voce narrante, un rapporto tra sorelle e un nemico invisibile da combattere. Nonostante la struttura da opera (prologo, due atti ed epilogo), Vox Lux ha le fattezze di una fiaba nera. Ambiziosa e imperfetta, l'opera seconda di Cobret è un coraggioso tentativo di legare l'ascesa artistica di una persona alla perdita dell'innocenza di una nazione intera. Così come l'11 settembre ha aperto gli occhi di tutti su una realtà meno sicura e tenebrosa, la tragedia personale di Celeste l'ha costretta ad affogare quel trauma nella patinata superficialità della musica pop. Emerge così un film con alcune sequenze potenti e disturbanti, che abbraccia il decadimento socio-culturale degli anni Duemila con l'ascesa frastornante di una ragazza smarrita dentro un star system in cui è quasi impossibile avere davvero una propria voce. La ferita sul collo di Celeste, perennemente coperta da qualcosa, diventa il simbolo di un film che nella parte finale preferisce non affondare il colpo e restare in superficie. Una scelta forse voluta, in linea con la morale che vede nel vuoto della musica pop un palliativo contro l'orrore, ma che rende Vox Lux un'opera molto sbilanciata. Il che non toglie a Brady Corbet il merito di aver messo in scena il suo personalissimo Dorian Gray, un'opera disturbante in cui la bellezza appassisce mentre il male conosce le luci della ribalta.
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Terrorismo pop
I film girati assieme a Lars von Trier si vedono tutti. L'influenza del regista danese si nota quando Corbet mette in scena con fare spietato il gelo dei rapporti familiari, quando Vox Lux ha delle fiammate di crudele schiettezza. Succede quando il film prende atto del rapporto inversamente proporzionale tra cultura pop e terrorismo. Nel corso del XXI secolo il primo è caduto in un abisso, il secondo ha scoperto la luce. Teste tagliate mostrate in video, minacce da milioni di visualizzazioni su YouTube, attentati in prima tv. L'iconografia del male ha scoperto nuove forme, facendo dei terroristi delle malefiche pop star legate al loro "momento di gloria". Nonostante la paura, tutti noi giriamo la testa, preferendo ubriacarci di spensieratezza, affidando il nostro tempo libero al luccicante mondo dell'intrattenimento, vuoto o pieno che sia. La morale di questa fiaba nera sembra questa. Talmente nera che anche un'attrice spesso angelica come Natalie Portman qui viene macchiata e invischiata dentro una storia di disintegrazione personale, artistica, sociale e culturale. Vox Lux è una provocazione che sembra autocensurarsi nel finale, un'opera che alla fine annaspa nella sue stesse ambizioni, uno sguardo lucido che, a un certo punto, preferisce indossare gli occhiali da sole e farci l'occhiolino. Se Matrix, Magnolia e Fight Club erano l'inizio della fine, Vox Lux nella fine ci sguazza dentro, quando ormai è troppo tardi per salvarci. Non ci è riuscita una sopravvissuta come Celeste. Figuriamoci noi.
Movieplayer.it
3.0/5