Recensione Babycall (2011)

Un thriller nel quale la linea narrativa sembra ben visibile, fino a quando si dissolve nel buio più completo, e lo spettatore è obbligato ad inoltrarsi in un universo in cui nulla è ciò che sembra.

Voce del verbo impazzire

Un piccolo appartamento in un enorme palazzone di periferia fa da scenario a Babycall, angosciante thriller del regista norvegese Pal Sletaune che punta tutto sulle capacità interpretative della protagonista, Noomi Rapace, la cui popolarità ha raggiunto anche il bacino del Mediterraneo grazie alla sua convincente interpretazione di Lisbeth Salander nella trilogia svedese di Millennium. La Rapace interpreta Anna, una donna che insieme a suo figlio Anders, un ragazzino di otto anni, si è appena trasferita in una nuova abitazione per sfuggire a suo marito, un uomo violento.
Viene la pelle d'oca a ripensare alla storia di Anna, ottimamente interpretata dall'attrice svedese, perchè la sua è una vicenda che inizialmente si muove su un terreno concreto e poi toglie certezze allo spettatore che si ritrova a vivere le stesse paranoie della protagonista e a chiedersi cosa sia reale e cosa invece possa essere frutto dell'immaginazione.


Poco dopo aver preso possesso dell'appartamento, Anna decide di comprare un babycall - uno di quei segnalatori acustici che di solito vengono utilizzati per controllare a distanza i neonati mentre dormono - nel timore che suo marito possa fare irruzione per fare del male a suo figlio. Quelle che sembrano soltanto le paranoie di una donna sulla quale una relazione sbagliata ha lasciato cicatrici indelebili, si fanno strada anche nella mente dello spettatore nel momento in cui dall'apparecchio, ogni notte, arrivano le urla e i lamenti di un bambino, che non è Anders. Razionalmente viene da pensare che l'apparecchio possa aver captato rumori e voci che provengono da uno degli appartamenti vicini, ma la realtà è diversa e non è facile distinguerla.

Come se non bastasse, il rapporto tra Anna e suo figlio viene messo a dura prova dalle paranoie della donna che contrastano con le necessità di fare in modo che Anders torni a fare una vita normale, tornando a scuola e frequentando bambini della sua età. Anche perchè Anders stringe amicizia con un bambino che sembra nascondere qualcosa, forse uno scenario familiare difficile o anche peggio. I pochi elementi narrativi concreti a disposizione dello spettatore sfuggono tra le mani come granelli di sabbia, quando accadono cose inquietanti che mettono continuamente tutto in discussione. Anche quando nella vita di Anna trapela qualche raggio di sole che lascia ben sperare sull'evolversi della storia - l'amicizia con il commesso di un negozio di elettronica, interpretato da Kristoffer Joner - accade qualcosa che invece svela ulteriori prospettive, ancora più sconcertanti di quelle iniziali.
Non vogliamo svelare ulteriori dettagli sulla trama - anche perchè non è semplice - ma pur non essendo un film narrativamente perfetto, Babycall lascia addosso una forte sensazione di inquietudine che si incolla addosso allo spettatore anche dopo i titoli di coda. Siamo di fronte ad un thriller non particolarmente originale, e che si appoggia su elementi ricorrenti del genere, soprattutto nelle pellicole uscite negli anni Zero, ma di sicuro non è sviluppato in maniera prevedibile e il fatto che lasci diverse questioni in sospeso - o meglio affidandole alle suggestioni dello spettatore - contribuisce sicuramente a renderlo più inquietante. E' una pellicola nella quale l'unica certezza è l'amore che Anna vive per suo figlio - ma è anche un amore che si trasforma in ossessione - e nel quale la linea narrativa sembra ben visibile, fino a quando si dissolve nel buio più completo, e lo spettatore è obbligato ad inoltrarsi in un universo in cui nulla è ciò che sembra - neanche i ricordi - e se la follia di Anna sembra diventare una certezza, nella seconda parte del film, arrivano ulteriori elementi a mettere tutto in discussione.

Movieplayer.it

3.0/5