Con Lettere dal Sahara, Vittorio De Sete torna al documentario, genere in cui è stato pioniere e maestro. Il film è presentato fuori concorso a Venezia 63. , e in conferenza accanto a De Seta appaiono alcuni interpreti del film, tra cui il protagonista Djbril Kebe, e due sottosegretari ai Ministeri della Pubblica istruzione e della Solidarietà sociale, Letizia De Torre e Cristina De Luca. Ospiti anche i due ambasciatori senegalesi presso il Vatoicano e il Quirinale.
Vittorio De Seta, sappiamo che queto è un progetto a cui ha lavorato molto a lungo. Lei ha un'esperianza notevole nell'ambito del documentario, ma in questo caso è presente un elemento di fiction che si mescola alla realtà, e questo dipende dalle scelte sui protagonisti: come ha trovato i personaggi?
Vittorio De Seta: Ho scritto una sceneggiatura a tavolino, poi si è trattato di innestarla nella realtà: quindi abbiamo modificato la sceneggiatura in base agli attori che stavamo trovando e degli ambienti in cui li avremmo ritratti. C'è sempre una progressione, io sono un evoluzionista più che un creazionista.
Qualche informazioni sul cast? Che faranno gli attori dopo questo impegno?
Vittorio De Seta: Gli interpreti senegalesi sono tutti presi dalla vita, perché doevano parlare l'italiano; un bravissimo attore che stava a Parigi non ci sarebbe servito a nulla. Djbril lavorava come operaio a Firenze, pur essendo laureato, poliglotta e esperto di computer. Anche il mio protagonista era acculturato, e questo ci ha permesso di riscoprire l'Italia dal sud al nord. Ma anche alcuni attori professionisti compaiono nel film, non c'è stato un criterio definito.
Djbril Kebe: Intanto sono diventato amministratore della ditta dove lavoro, e farò degli stage da settembre. Questa occasione di lavorare con il maestro De Seta mi è indubbiamente servita a formarmi nel mondo del cinema: ho fatto un altro film con un giovane regista che si chiama Carlo Pisano, intitolato La rivale.
De Seta, che impressione le fa fare un film ch si svolge praticamente contemporaneamente alla realtà?
Vittorio De Seta: Non è facile, è una grossa responsabilità cercare di rappresentare qualcosa che è drammaticamente in atto. Otto anni fa, al tempo della prima bozza dela sceneggiatura, il problema esisteva già, c'erano già gli sbarchi a Lampedusa, ma il problema è andato facendosi sempre più grave. E' una grossa responsabilità, perché bisogna dire la verità. A questo poi bisogna aggiungere che tanto cinema si muove su un piano virtuale, mentre noi, raccontando la realtà, non potevamo operare scelte diverse da quelle che abbiamo fatto. Quando il protagonista incontra il cugino, ad esempio, era impensabile che parlassero italiano. Ma non potevamo fare uso del doppiaggio. Il film è per il 60% recitato in lingua senegalese; il miglior complimento che mi hanno fatto è stato dirmi che poteva essere il fillm di un regista senegalese. Gli argomenti sono tanti: in generale vorrei dire una cosa, che è finito il tempo in cui ogni cinematografia stava chiusa nel suo steccato e al massimo si confrontava con gli altri. Io sono dovuto andare in Senegal a lavorare con senegalesi che spesso interpretavano a modo loro quello che avevo scritto, e questo all'inizio mi ha anche irritato, poi ho capito che ero nel loro paese, a raccontare le loro storie, non potevo far altro che considerarli co-autori. Non c'è più la figura dell'artista demiurgo che ha già tutto in testa prima: è stata una scoperta che abbiamo fatto strada facendo.
Questo film rappresenta un ponte tra due paesi, tra due culture: come sarà diffuso, e sarà proiettato anche in Senegal? Letizia De Torre: Io rappresento il Ministaro della pubblica istruzione e innanzitutto volevo dire che siamo onorati di essere qui oggi. E poi volevo dire che è molto importante per il mondo della scuola trovare opere attraverso le quali fare conoscere ai ragazzi i loro nuovi compagni di banco, che arrivano in Italia come descritto dal film. Dovremmo trovare anche modi intelligenti per fare arrivare nelle scuole questo film che non è solo un documento, ma anche un'opera d'arte. Un artista riesca a cogliere della realtà qualcosa in più di quella che viene trasmessa a noi guardando la Tv o camminando frettolosamente per le strade. Un'opera d'arte sa comunicare attraverso il bello qualche cosa di profondo, una cosa importante nel momento multiculturale che stiamo vivendo oggi. Troveremo le strade migliori per passare questa ricchezza ai più giovani.
Cristina De Luca: Il ministero della Solidarietà sociale ha il compito istituzionale di favorire l'integrazione, un tema che spesso viene trattato più come notizia che come stimolo per la riflessione. Quella dell'integrazione è una sfida complessa e articolata, su cui ci stiamo impagnando, e mi sembra di dover dare unsegnale in questo senso: la presenza qui insieme dei vari ministeri significa che stiamo integrando prima di tutto la nostra politica. Favorire l'integrazione significa innanzitutto fare conoscere la cultura sull'integrazione, rendere note le problematiche anche attraverso il cinema. Ci adopereremo, anche coinvolgendo gli enti locali, per creare quelle occasioni che possano generare discussioni sull'immigrazione non solo come emergenza ma anche come risorsa che il nostro paese dovrà saper utilizzare nel rispetto del diritto e della sicurezza dei cittadini italiani.