Vite parallele a Taipei
Due vite, due destini, due percorsi paralleli. Due strade che scorrono vicinissime l'una all'altra, eppure, all'apparenza, misteriosamente destinate a non incontrarsi mai. Due esistenze e due solitudini speculari, così vicine eppure così lontane, sullo sfondo di una Taipei caotica e alienante, colorata e crepuscolare allo stesso tempo, capace di trasformarsi a seconda degli umori delle vite che l'attraversano.
Per il loro ritorno alla commedia romantica (genere già frequentato con successo dai due registi, si veda l'interessante Needing you...), Johnny To e Wai Ka-Fai prendono come punto di partenza una graphic novel del taiwanese Jimmy Liao, narrando la storia di John Liu e Eve Choi, rispettivamente violinista e traduttrice, da sempre vicinissimi l'uno all'altra ma incredibilmente tenuti separati da un destino beffardo. I due frequentavano la stessa scuola, e già le loro vite si sfiorarono, tredici anni prima, durante una gita scolastica; ora abitano nella stessa palazzina, separati solo da una parete di cemento. Sono lì, a una distanza irrisoria, e si sono sempre cercati l'un l'altra, senza saperlo. Lo stesso destino beffardo li farà incontrare una seconda volta, al parco, farà viver loro un pomeriggio allegro per poi separarli di nuovo, crudelmente, come con una mannaia: un acquazzone cancellerà i numeri di telefono da loro appuntati su due fogli di carta, e da allora tutto congiurerà per fare in modo che questa separazione resti definitiva.
Questo Turn left, turn right è tutto basato su un concetto, cinematografico e narrativo, di simmetria: i due protagonisti vivono, specularmente, le stesse situazioni, affrontano gli stessi tormenti, si cercano disperatamente l'un l'altra in modo analogo. La sceneggiatura "divide" quasi il film in due metà, seguendo le due vicende parallelamente, e mettendone in mostra le analogie, in un continuo rimbalzo di situazioni esattamente speculari. La simmetria è a volte esplicitata anche visivamente, nelle inquadrature che includono le due stanze divise da quella parete (fisica e simbolica) che tiene separati i due, o nelle analoghe sequenze ambientate in ospedale, ideale "protesi" della casa. Persino i due personaggi comprimari (un medico ex-compagno di università della ragazza, e una giovane cameriera che si invaghisce del violinista) agiscono in modo analogo con la rispettiva "vittima", contribuendo a tenerla lontana dalla controparte. Una reiterazione che definisce subito il carattere surreale del film (dichiarato dall'inizio e mai negato per tutta la sua durata) ma che nulla toglie al coinvolgimento e all'empatia suscitata da queste due anime stralunate, solitarie e disperatamente bisognose di una complementarietà ostinatamente negata dal fato. La narrazione emoziona proprio in virtù della caratterizzazione netta dei due protagonisti, del loro risaltare sullo sfondo di una generale alienazione urbana, del carattere semplice eppure coinvolgente della loro storia d'amore, narrata come una moderna fiaba urbana.
Il film è visivamente molto curato, con tonalità estremamente cariche nella fotografia (che accentuano il suo carattere da fiaba) alternate ad altre più cupe, crepuscolari, in corrispondenza dei momenti più difficili vissuti dai due protagonisti. La coinvolgente colonna sonora si integra molto bene con le immagini, contribuendo all'atmosfera surreale e dolcemente malinconica del film.
Simpatici e in palla anche gli attori, dalla coppia principale formata da Takeshi Kaneshiro e Gigi Leung (già "collaudati" nel genere col precedente Tempting Heart) ai due comprimari Edmund Chen e Terri Kwan, grotteschi e sopra le righe, ma comunque divertenti.
Una commedia surreale e coinvolgente, in definitiva, che diverte ed emoziona nonostante il carattere volutamente "leggero" della narrazione (o forse proprio in virtù di esso). Si dice che la Milkyway dia il suo meglio nel genere poliziesco, e noi non tenteremo di confutare questa affermazione, principalmente perché risponde a verità: ciò non toglie che vedere prodotti di questo genere, realizzati tra l'altro con tanta onestà e professionalità, non può che far bene. La versatilità non è certo un male, soprattutto quando produce buoni film: poi, per vedere un altro A hero never dies o un altro PTU, c'è sempre tempo.
Movieplayer.it
3.0/5