Che cos'è la giovinezza? Che senso ha l'arte? Agnès Varda e JR, rispettivamente classe 1928 e 1983, se lo chiedono in Visages, villages (titolo internazionale Faces, Places), candidato all'Oscar come miglior documentario dopo essere stato presentato fuori concorso al 70esimo Festival di Cannes. Regista di culto in attività fin dagli anni '50 lei, il cui esordio al cinema è La pointe courte (1955), e fotografo lui, all'anagrafe Jean René, ribattezzatosi JR in onore del protagonista della soap Dallas, che incolla le sue fotografie su muri ed edifici in giro per il mondo, questa strana coppia paladina delle immagini ha deciso di unire le forze per realizzare un documentario grazie a cui immortalare il proprio amore per la bellezza.
Incontratisi a Parigi, Varda e JR si sono interrogati a lungo su come muoversi, per decidere infine di lasciare molto al caso: a bordo dello spettacolare furgoncino del fotografo, che nasconde una grande cabina in cui le persone entrano, come in quelle messe nelle stazioni per fare le foto-tessera, da cui escono bellissimi ritratti in bianco e nero formato poster, il duo di artisti viaggia per le campagne francesi in cerca di posti da abbellire con le loro immagini giganti, che ritraggono persone e animali, perfettamente inserite nel paesaggio originale.
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Un'altra giovinezza
La foto del proprietario di una fattoria sul suo granaio, quella di una cameriera sul muro del palazzo di fronte al bar dove lavora, la testa gigante di una capra incollata vicino a una fabbrica, una serie di immagini di pesci fotografati al mercato che vivono di nuovo appesi sulla cisterna di una piccola città: Varda e JR si lanciano tra le persone curiosi di conoscere la loro storia, come quella di un'allevatrice che non vuole tagliare le corna alle sue capre per non far loro una violenza, anche se in termini economici ci guadagnerebbe, scoprendo che ogni essere umano, in apparenza anche il più umile, ha una storia da raccontare e uno sguardo unico sul mondo.
Come quello di un barbone che vive in una capanna fatta di rifiuti, che trasforma tappi di bottiglia in quadri ed è felice della sua libertà, di cui invece il resto del mondo ha tanta paura. In un viaggio divertente e allo stesso tempo poetico, le immagini cercate, volute, costruite, stampate e incollate della coppia diventano vere e proprie opere d'arte, simbolo della volontà di stupire, dimostrando come la bellezza possa migliorare la realtà quotidiana, facendoci sorridere per un attimo e magari pensare a qualcosa che non avevamo mai preso davvero in considerazione, come quando Varda ritrae tre donne, che lavorano in un porto, in tre container posti a diversi metri da terra: cuori pulsanti della società, per una volta, vestite di bianco, luminose e in alto, vengono valorizzate nel contesto di un settore in cui sono in minoranza.
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Varda: la complicità con JR e la rabbia verso Godard
Quasi 90 anni, una vita incredibile, fatta di collaborazioni e amicizie con alcuni dei maggiori artisti del '900, dal marito Jacques Demy al cantante dei Doors Jim Morrison, Agnès Varda è l'esempio vivente di come la giovinezza non sia legata alla biologia, ma allo sguardo: nonostante i suoi occhi siano appannati dall'età, la regista ha l'energia di una ventenne, con un progetto sempre in mente. È lei stessa a dire, quando ricorda un suo amico a cui aveva scattato una foto cinquant'anni prima, che si sente ancora giovane, nonostante il suo corpo la stia lentamente abbandonando. Il sodalizio con JR mette ancora più in risalto la sua esuberanza incontenibile: tenendo testa all'ironia del giovane collega, Varda non si lascia mettere da parte, rifiutando il ruolo dell'anziana signora, dimostrando di avere ancora diversi assi nella manica, pur consapevole del fatto che è ormai alla fine della sua vita.
Il gioco di sguardi del film è magnetico: l'occhio di Agnès, che non vede a fuoco ma sa guardare lontano, si riflette in quello di JR, costantemente coperto dagli occhiali da sole, entrambi danno risalto a quello meravigliato delle persone che si fanno ritrarre, e si arriva anche a quello negato di Jean-Luc Godard. Il celebre regista francese, amico di vecchia data di Varda, inizialmente acconsente di partecipare al documentario, per poi non farsi trovare, lasciando una frase sull'uscio di casa che fa piangere la regista. Dapprima arrabbiata (tanto da arrivare a definire Godard un "ratto di fogna"), Varda gli lascia sulla porta dei cornetti: l'arte che perseguono i due protagonisti non è inaccessibile, lontana o presuntuosa, ma accogliente, semplice, manifesta a tutti e gioiosa. Un film che rimette in pace con il mondo e con la figura dell'artista.