Come vedremo in questa recensione della seconda parte di Vikings 6, del finale di stagione ma anche della serie creata da Michael Hirst, quella di Ragnar Lothbrok è una presenza che non ci ha mai abbandonato. Pur essendo uscito di scena ben due stagioni fa, il personaggio di Travis Fimmel svolge ancora un ruolo fondamentale nella narrazione, guidando in qualche modo le azioni e le scelte dei personaggi che gli sono sopravvissuti, in particolar modo i suoi figli, che portano dentro di sé qualcosa di lui e vivono nella sua memoria.
Al centro di questa stagione, che arriva in prima visione assoluta su Timvision, ci sono infatti ancora loro: Ivar (Alex Høgh Andersen), che dal padre ha preso la sete di potere e la follia, Bjorn (Alexander Ludwig), che ne incarna la leggenda ed il profondo eroismo, Ubbe (Jordan Patrick Smith), che ne porta avanti lo spirito di avventura e di scoperta, ed, infine, Hvitserk (Marco Ilsø), con i suoi stessi dubbi, frustrazioni e spirito autodistruttivo. La seconda parte della sesta stagione di Vikings chiude l'epica saga inaugurata da Ragnar Lothbrok, celebrando la sua memoria e - come vedremo - realizzando finalmente il suo sogno e la sua visione.
La conclusione della saga
L'era dei grandi eroi è finita.
Questo è ciò che afferma Gunnhild (Ragga Ragnars) in uno dei primi episodi, anticipando la fine della saga iniziata con Ragnar - che da guerriero/contadino, divenne conte, poi re ed infine leggenda - e portata avanti dai suoi figli, da una parte influenzati da una figura paterna così ingombrante e dall'altra alla costante ricerca del loro posto nel mondo. Ognuna delle diverse storyline a loro legate verrà chiusa - in certi casi in maniera estremamente soddisfacente, in altri meno - nel corso di questi ultimi dieci episodi, lasciandoci la sensazione che non solo la storia di questi personaggi, ma anche quella del mondo in cui vivono, sia in qualche modo arrivata ad un'inevitabile conclusione e si debba far spazio a qualcosa di nuovo (anche in questo caso la lotta tra paganesimo e cristianesimo e quella tra vecchie e nuove tradizioni sono tra i temi portanti della narrazione).
La storia si apre con un Bjorn gravemente ferito - ma non sconfitto - dalla violenta incursione dei Rus di Oleg (Danila Koslovsky), tra le cui fila troviamo anche Ivar e Hvitserk: il primogenito di Ragnar è disposto a tutto, anche nelle sue precarie condizioni, pur di difendere Kattegat dall'invasione nemica. Molto lontano, in Islanda, Ubbe e Torvi (Georgia Hirst) si preparano a partire ancora una volta verso Ovest, alla ricerca di nuove terre. Questa stagione - nel corso della quale si viaggerà parecchio, da Kattegat ci spostiamo infatti di nuovo in Russia ed Inghilterra, fino in Groenlandia e anche in altri (inaspettati) territori - si prende il suo tempo inizialmente per definire le diverse storyline legate ai numerosi personaggi, questo fa sì che ai primi episodi più accesi e movimentati (in cui si conclude ciò che era stato iniziato nella prima metà della sesta stagione) ne seguano altri decisamente più lenti, che lasciano con l'impressione che la serie si trascini e giri un pò a vuoto (in particolare per quanto riguarda quanto accade a Kattegat). Come se ci fosse un po' troppo da raccontare e non sempre le idee chiare sul come farlo. È possibile, però, che la relativa lentezza degli episodi centrali - soprattutto se a confronto con la potenza di quelli iniziali e di quelli conclusivi - sia voluta, al fine di evidenziare il momento di stasi e di confusione vissuto dai personaggi. Fortunatamente, sul finale Vikings 6 recupera la giusta andatura e tira le fila delle varie sottotrame nel migliore dei modi, soprattutto quella di Ubbe e Ivar.
Ivar, Hvitserk e tutti gli altri
Per quanto riguarda Ivar, oltre alla folle malvagità a cui eravamo abituati, in questa stagione ci viene mostrato il suo lato più umano, sia grazie al rapporto con il giovane Igor (Oran Glynn O'Donovan) che a quello con il fratello Hvitserk. Alex Høgh Andersen riesce a trasmettere al meglio la sua duplicità, rendendo il suo personaggio - anche nei suoi momenti peggiori - affascinante e attraente: vi possiamo anticipare, senza fare spoiler, che sarà proprio la conclusione dell'arco narrativo di Ivar ed Hvitserk a coinvolgere e toccare di più lo spettatore. Hvitserk, poi, che è sempre stato quello meno approfondito e caratterizzato tra i figli di Ragnar, in questa stagione conclusiva si prende finalmente il giusto spazio: il rapporto che lo lega al fratello acquista un senso completamente diverso, giocando un ruolo fondamentale nel finale. È vero, la mancanza di personaggi così larger-than-life come Ragnar e Lagertha si sente, ma Bjorn, Ubbe, Ivar e Hvitserk riescono a reggere molto bene sulle loro spalle l'ultima porzione dello show, trascinando lo spettatore nelle vicende che li hanno come protagonisti.
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La giusta conclusione per la serie?
Tra tutte le storyline di questa seconda metà di stagione, una di quelle che ci hanno senza dubbio attratto di più è quella incentrata su Ubbe e sul suo viaggio ad Ovest. Come dicevamo il personaggio interpretato da Jordan Patrick Smith incarna lo spirito di avventura e di scoperta del padre Ragnar, e sarà proprio lui ha portare a termine quel sogno che lo aveva accompagnato durante tutta la sua vita: spingersi sempre più avanti e trovare nuove e floride terre al di là dell'Oceano. La perfetta conclusione per la serie non può quindi che essere l'arrivo per Ubbe ed i suoi in un paradiso inesplorato ricco di risorse, dove però incontreranno anche numerose difficoltà nel relazionarsi con chi si trovava lì prima di loro. Quanto delle tradizioni e delle leggi che li hanno sempre guidati nella loro vecchia vita può servirgli in questo nuovo mondo? Se l'era dei grandi eroi è giunta alla fine, ciò che più caratterizza l'essere vichinghi - ossia l'incapacità di fermarsi, di vivere una vita "ordinaria", e la spinta costante vero nuove scoperte e conquiste (come ci spiega re Harald in un momento molto importante della stagione) - è qualcosa che non potrà mai esaurirsi, e sopravvive nel personaggio di Ubbe, che è quello tra i figli di Ragnar ad assomigliargli di più e che riesce, al contrario dei suoi fratelli, a trovare il giusto equilibrio tra vecchie e nuove tradizioni.
Non possiamo che concludere sottolineando quanto il nostro viaggio con Vikings - durato ben sette anni - sia stato altalenante: dopo la scomparsa di Ragnar e poi di Lagertha (Katheryn Winnick) ci eravamo chiesti se valesse davvero la pena di continuare con una serie le cui ultime stagioni non ci avevano coinvolto quanto le precedenti. Il finale, però, è riuscito a colpirci molto di più di quanto ci saremmo mai immaginati: Vikings 6 non è una stagione priva di difetti ma, a nostro parere, è davvero la conclusione perfetta per la saga di Ragnar Lothbork.
Conclusioni
In questa recensione della seconda parte di Vikings 6, la porzione finale della serie creata da Michael Hirst, abbiamo visto pregi e difetti di una stagione che riesce a dare la giusta conclusione alla saga inaugurata nel 2013. Il ritmo altalenante degli episodi centrali potrebbe forse scoraggiare gli spettatori, ma vale la pena tenere duro in vista dell’epica conclusione. La mancanza di personaggi come Ragnar e Lagertha continua a farsi sentire, ma Bjorn, Ubbe, Ivar e Hvitserk riescono a reggere molto bene sulle loro spalle lo show, trascinando lo spettatore nelle vicende che li hanno come protagonisti.
Perché ci piace
- I figli di Ragnar reggono bene sulle loro spalle la porzione finale dello show: tra le varie storyline è molto ben sviluppata quella che ha come protagonisti Ivar e Hvitserk.
- L’epico finale, in cui si tirano le fila delle diverse sottotrame…
Cosa non va
- ..non sempre però in maniera soddisfacente: la parte ambientata a Kattegat, soprattutto, non ci è sembrata sviluppata al meglio.
- Gli episodi centrali dal ritmo altalenante, che lasciano con l’impressione che la serie si trascini e giri un pò a vuoto.