Dopo l'accoglienza affettuosa da parte del pubblico e la buona ricezione della critica, Viggo Mortensen presenta alla stampa accreditata a Roma la seconda perllicola in cartellone che lo vede protagonista, Good di Vicente Amorim, in compagnia della produttrice Miriam Segal.
C'è una scena nel film che è particolarmente forte, quella in cui il suo personaggio indossa la divisa delle SS. Cosa ha significato per lei?
Viggo Mortensen: Il giorno in cui ho girato quella scena ero di cattivo umore, era una giornata calda e sentivo disagio fisico. Solo dopo mi sono reso conto che non dipendeva dal clima o da altro ma da quello che avevo addosso. In un certo senso i miei 'preconcetti' avevano avuto la meglio su di me. Ma c'è una cosa di cui mi sono reso con mentre viaggiavo per la Germania per prepararmi a questo ruolo: anche se l'avrei recitato in inglese, il mio personaggio era un tedesco. Non potevo e non dovevo commentare e giudicare le sue azioni.
Il film non è fatto con questo spirito; richiede lo sforzo di liberarsi dai pregiudizi sui tedeschi e sulla Germania di quegli anni. E' la storia di un uomo, della sua famiglia e dei suoi amici, non su Hitler o Goebbels o Eichmann, è un film su un uomo e il suo percorso. Ho cercato di riflettere sulle sue scelte e ho capito che le sue scelte sono le nostre, le stesse che facciamo noi ogni giorno della nostra vita, le stesse che facciamo oggi. Penso che questo film possa aver suscitato reazioni negative perché all'inizio ci si identifica molto facilmente con il protagonista e poi se ne è respinti: c'è un rifiuto perché forse non piace il modo in cui si fa sentire su noi stessi.
Nel film ha un certo ruolo il tema dell'eutanasia. Lei su questo argomento che posizione ha?
Viggo Mortensen: Si tratta di un problema etico molto attuale. Certo non è facile liquidarlo in due parole, per principio, però, credo che le persone e le famiglie dovrebbero avere il diritto di scegliere e credo che tutti, da giovani, negli anni in cui alla morte ancora non si pensa, dovremmo mettere per iscritto la nostra scelta in merito. Se non si vuole essere mantenuti in vita è giusto che si abbia il diritto di dirlo.
Qual è il messaggio di Good, se c'è un messaggio?
Viggo Mortensen: Mentre giravo il film pensavo ai generali in Brasile e in Argentina. Pensavo ai governi di Bush e Berlusconi. I governi, per natura, hanno un obiettivo primario: sopravvivere. Per sopravvivere il modo migliore è dividere e dominare e quindi rendere le persone deboli, insicure, paranoiche, per poterle meglio controllare, per mantenerle in una sorta di torpore intellettivo.
Questo film, per me, distrugge il solito ragionamento che ci vede additare i tedeschi per quello di cui si sono resi responsabili, perché la stessa cosa succede anccora, in ogni angolo del mondo.
Che paralleli vede tra Good e uno dei film che ha in uscita, The Road?
Viggo Mortensen: Sono due film che rappresentano un ammonimento a stare attenti a quello che può succedere. Il protagonista di The Road cerca di sopravvivere, e in un certo senso anche Halder cerca di sopravvivere, di salvare la sua carriera, di aiutare la sua famiglia, e per ottenere questo fa un compromesso dopo l'altro. Nella scena con la divisa davanti allo specchio capisce quello che così facendo è diventato, ma procrastina, si ripromette di pensarci dopo aver fatto quello che deve fare quella notte. Non bisogna procrastinare, è ora, non dopo; se non agisci ora possono accadere cose orribili.
Vedendo soltanto i primi e gli ultimi minuti di questo film si rischia di non capire come possa essere successo. Guardando alle presidenziali USA del 2000 e a quelle di questi mesi si rischia di non capire come possa essere successo. Eppure metà della nazione è tornata a votare per Bush, come qui è stato rieletto Berlusconi. A volte non c'è più una nuova elezione per sistemare le cose.