Cinquantotto anni - assai ben portati - che festeggerà proprio questo giovedì, look casual (camicia e jeans), un'umiltà che potrebbe essere quasi scambiata per timidezza e una grande passione per la settima arte. Newyorkese di nascita ma con sangue danese da parte di padre, Viggo Mortensen è l'antidivo per eccellenza di Hollywood: un attore che si è accostato al mondo del cinema senza particolari ambizioni di celebrità, fino a quando, nel 2001, non è stato travolto dalla fama planetaria grazie al ruolo del prode Aragorn, sovrano di Gondor, nella trilogia fantasy de Il Signore degli Anelli.
Da allora - sono passati ormai quindici anni dalla sua prima apparizione nella Terra di Mezzo - Mortensen è diventato uno degli attori feticcio di David Cronenberg e un habitué dei festival, mentre nel 2007 si è meritato una nomination all'Oscar per La promessa dell'assassino. E non è detto che a breve non possa tornare addirittura in competizione agli Academy Award: il veicolo adatto, infatti, potrebbe fornirglielo Captain Fantastic, dramedy diretto da Matt Ross che lo vede mattatore assoluto.
Già applauditissimo al Festival di Cannes, dove è stato presentato nella sezione Un Certain Regard, e accolto da un discreto successo in patria (quasi sei milioni di dollari), Captain Fantastic è uno dei titoli nel programma della Festa del Cinema di Roma, in attesa della sua uscita nelle sale il 7 dicembre, per la 'scuderia' di Good Films. La proiezione di questo piccolo crowdpleaser molto amato dalla critica è stata accompagnata da un incontro fra Viggo Mortensen e il pubblico del Festival, nel corso del quale l'attore americano ha parlato di alcuni tra i suoi film più e meno noti e del suo approccio alla recitazione...
Il mestiere dell'attore e la passione per il cinema
In Appaloosa sei stato diretto da Ed Harris: cosa significa farsi dirigere da un attore?
Non è necessarismente un fatto positivo. Ma nel caso di Ed Harris o di Matt Ross, loro sono attori con un sincero interesse per questo processo lavorativo, sono molto preparati e capiscono quali sono le basi di una buona recitazione. Se alla regia ci sono attori che si preparano di fronte a uno specchio, senza alcun interesse per cosa fanno gli altri attori, allora in questo caso potrebbe dimostrarsi inflessibili come registi, e non è una buona cosa. Ma non è stato il caso di Ed, che è un collega fantastico con il quale mi piacerebbe tornare a collaborare.
Hai mai pensato di dirigere?
Il modo in cui Matt Ross o David Cronenberg lavorano è molto accurato. Penso che un bravo regista debba essere come un mago: deve credere nell'illusione che stanno creando, perché la riuscita di questa illusione dipende da loro, e devono curare tutti i dettagli, mettendo gli attori nelle migliori condizioni per lavorare. Ho scritto alcune sceneggiature e una sono quasi riuscito a portarla al cinema: mi piacerebbe fare il regista ma produrre un film richiede molti soldi, e io non ho tutti questi soldi. Sono sceneggiature molto diverse, quelle che ho scritto, e magari mi piacerebbe che a realizzarle fosse un regista di cui mi fido.
Quando e perché hai deciso di fare l'attore?
Andavo spesso al cinema con mia madre, da bambino, e mi piaceva: lei mi portava a vedere film molto 'audaci' per un bambino, ma amavo passare del tempo con lei. Ma da adolescente non ho mai considerato di diventare un attore, o perlomeno non ricordo di averci pensato granché; fra l'altro ero molto timido e non mi sentivo a mio agio a parlare di fronte a tante persone... pensavo a me stesso più come a un esploratore o un giocatore di football. Ma quando avevo ventuno, ventidue anni, guardando film, ho eseguito una transizione dalla condizione di semplice spettatore e quella di una persona che si interrogava sulle qualità del film: come fanno i film a toccarci e a commuoverci? È stata questa curiosità a spingermi ad entrare nel mondo del cinema. In compenso, non credo che esista una vera separazione fra artisti e non artisti, specialmente quando siamo bambini: tutti i bambini recitano, come se fossero sempre a teatro, poi invece crescono e iniziano a giudicare l'arte. Spesso mi hanno offerto di far parte di giurie, anche prestigiose, ma ho sempre rifiutato, pur riconoscendo l'enorme valore dei festival, soprattutto per il cinema indipendente: ho difficoltà a giudicare l'arte. Tutti in qualche modo sono artisti: basta essere attenti alla realtà che ci circonda, prestare attenzione e ricordare. L'arte risiede tutta nella capacità di ricordare, e per ricordare bisogna essere presenti e aperti rispetto alla realtà.
Ti ricordi il primo film che hai visto?
Non ricordo se sia stato il primo, ma ricordo chiaramente di aver visto da piccolo, insieme a mia madre, Lawrence d'Arabia, e dopo anche Il dottor Zivago: lei amava molto questi film. Poi con i miei fratelli andavo a vedere anche film per ragazzi, come Fantasia, e poi ricordo di essere rimasto molto colpito da Un uomo per tutte le stagioni e Ben Hur, e da Martin Fierro, un film argentino.
Da The Road a David Cronenberg...
Come ti sei preparato a recitare nel film The Road?
Per il personaggio dell'uomo, chiamato semplicemente così nel film, mi sono chiesto cosa gli fosse accaduto prima della pagina uno. In questa storia, infatti, mancano informazioni riguardanti il suo passato più lontano, e potresti passare tutta la vita a interrogarti sul passato di questo personaggio. Ho cercato di abbracciare incondizionatamente il suo punto di vista, e di prendere il più possibile dai miei collaboratori e dal piccolo Kodi Smit-McPhee, che interpretava mio figlio nel film e con il quale ho trascorso molto tempo. Abbiamo anche elaborato insieme qualche idea da proporre al regista, che ha accettato. Ricordo inoltre che, insieme a Kodi, abbiamo visitato una chiesa cattolica polacca: gli ho illustrato i vari aspetti della chiesa, un po' come se fossimo a scuola, e in quella chiesa lui è rimasto molto colpito da un grande libro con un elenco di soldati caduti vittime delle guerre in Iraq e Afghanistan. Sembra un tipo bizzarro di preparazione, ma ci ha aiutato a stabilire un rapporto che è risultato funzionale alle riprese.
La lavorazione è stata molto difficile, faceva freddissimo: in una scena sciacquavo la testa a Kodi con l'acqua fredda, e lui ha iniziato a piangere sul serio. Il regista ha continuato a girare, e quella scena è finita nel film: quell'esperienza, nella sua difficoltà, ci ha unito molto. Cormac McCarthy ci ha raggiunto sul set verso la fine delle riprese, in compagnia di suo figlio John, che aveva quasi la stessa età di Kodi: hanno guardato un po' le riprese e poi siamo andati a cena insieme in un piccolo locale. Cormac mi ha detto che secondo lui un film è una cosa molto differente da un romanzo, ed era curioso di vedere il risultato; è stato un vero onore passare del tempo con lui.
Cosa hai imparato lavorando con David Cronenberg?
A credere che la cinepresa vede e sente ogni cosa. Purtroppo in questo mondo abbiamo pochissimi David Cronenberg, e pochi attori che si fidano ciecamente della cinepresa: molti non osservano i dettagli, specialmente i dettagli non verbali. Ma se come attore ti trovi nelle mani di Cronenberg, ti senti al sicuro. Penso che i grandi film, o semplicemente i buoni film, si realizzino soltanto grazie a un gioco di squadra, e i suoi film si sviluppano proprio in questo modo: tutti sul set possono offrire i loro suggerimenti, anche se è lui poi a decidere se accettarli o no, ed è uno splendido modo di lavorare.
...Ricordando la Terra di Mezzo
Preferisci interpretare l'eroe o l'antieroe?
Non ho preferenze, e non saprei nemmeno dirvi qual è il mio personaggio preferito: il mio lavoro è di innamorarmi del personaggio che devo interpretare e adottare il suo punto di vista incondizionatamente. Alcuni film sono riusciti meglio di altri, ma non ci sono pesonaggi che preferisco; perfino i personaggi pericolosi o sgradevoli, li amo allo stesso modo. Quando ho fatto il provino per Carlito's Way mi ero proposto per un altro ruolo, e poco prima di Natale ho dovuto interrompere le vacanze con mio figlio piccolo e tornare a Los Angeles perché mi avevano riconvocato dalla produzione: ma c'era stato un errore, e quella parte in realtà era già stata assegnata. Era la vigilia di Natale e non volevo sprecare quell'occasione, così ho chiesto quali ruoli fossero ancora liberi, ho imparato qualche parola di spagnolo e alla fine ho ottenuto la parte di Lalin, un malavitoso ispanico che prova a tradire Al Pacino. Non esistono piccoli ruoli in termini di preparazione: ho passato molto tempo a fare ricerche per il film, studiando tutti i dettagli del personaggio... sono arrivato perfino ad ascoltare i dischi di salsa e a spostarmi in una carrozzina, e mi sono chiesto quale fosse il passato di Lalin. Lalin è un fallito, e lo sa, ma prova a fare di tutto pur di sopravvivere. E Al Pacino sul set si è rivelato una persona gentilissima.
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È vero che è stato tuo figlio a convincerti ad accettare il ruolo di Aragorn?
Sì, più o meno. Lui all'epoca aveva undici anni. Non avevo letto il libro, e non volevo impegnarmi in un progetto così lungo che mi costringesse a stare lontano troppo tempo dalla mia famiglia; ma quando mio figlio ha scoperto che mi avevano offerto Il Signore degli Anelli, mi ha detto che sarei stato un pazzo a rifiutare. A un certo punto ho pensato che sarebbe stata una bella sfida, e inoltre sarei stato felice del fatto che avrei potuto recitare in un film che avrebbe visto anche mio figlio. Però ci sono momenti, durante le riprese di un film del genere, in cui come attore devi superare un certo imbarazzo, perché devi pronunciare alcune battute altisonanti di fronte a nulla, assolutamente nulla, come nella scena in cui parliamo al cospetto dei fantasmi! A volte pronunciavo le mie battute guardando verso un punto vuoto, ma poi Peter Jackson mi diceva: "Attento, non stai guardando il Re dei Morti!"; e io gli rispondevo: "Ah sì? E dove sta?"... in quei momenti ti senti un vero idiota!
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