"Agì come un fantasma, nessuno sapeva chi fosse e da dove venisse". Ma quattro infarti e mezzo secolo dopo aver lavorato con sopraffine abilità di burattinaio e astute manovre politiche, Dick Cheney uscì dall'ombra nella quale aveva metodicamente agito per costruire la propria ascesa, diventando nel 2000 vicepresidente di George W. Bush. Non un ruolo simbolico entro il quale la carica alla vicepresidenza era stata sempre confinata fino a quel momento, ma un co-presidente a tutti gli effetti, con il pieno controllo nella gestione di burocrazia, esercito, energia e politica estera.
Un lavorio invisibile partito nel 1963 dal rurale Wyoming dove Cheney lavorava come operaio ai pali dell'elettricità, e che il regista de La grande scommessa Adam McKay decide di portare al cinema nel 2019: Vice - L'uomo nell'ombra è un film irrequieto e sovversivo, raccontato a colpi di cinismo e piccata ironia, con un Christian Bale protagonista nuovamente alle prese con un'incredibile trasformazione fisica.
Vice - L'uomo nell'ombra, in uscita in Italia il 3 di gennaio, conferma il talento di McKay nel saper piegare fino agli estremi il linguaggio cinematografico per renderlo funzionale alle esigenze della storia, cercando una narrazione basata su distorsioni e frenetici tagli di montaggio e abdicando al racconto biografico lineare e agiografico.
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La regia sovversiva di Adam McKay
Un film ardito nella forma quanto nella trama e nei contenuti: la descrizione del capolavoro politico messo in atto da Cheney diventa infatti lo strumento per una riflessione più ampia sul fascino del potere e per passare in rassegna gli intrighi di Washington DC, la politica americana degli ultimi decenni fino a quella contemporanea, l'America della paura e dell'incertezza post 11 settembre.
Dito puntato sul ruolo che l'amministrazione Bush ebbe nella nascita dell'Isis con la dichiarazione di guerra all'Iraq basata su dati falsi, nella normalizzazione della tortura sistematicamente adoperata nelle carceri di Guantanamo e nel concimare il terreno che poi avrebbe portato all'elezione di Trump.
Come ne La grande scommessa, la regia anarchica di Adam McKay media con umorismo spietato l'enorme quantità di informazioni che dialoghi serrati e ritmi concitati vomitano addosso allo spettatore, non perdendo occasione per creare cortocircuiti comici attraverso l'uso di un montaggio concettuale: bastino ad esempio le immagini della pesca con la mosca, sport di cui Cheney era appassionato e durante il quale probabilmente affinò la sua virtù principale, la pazienza, utilizzate nel film ogni volta che qualcuno abboccherà all'amo teso dal machiavellico protagonista.
Emblematica in questo senso la scena del pranzo in cui concorderà con George W. Bush la sua carica di vicepresidente.
Identica funzione svolge il giambico shakespeariano in bocca a Cheney e sua moglie Lynne, che per una manciata di minuti sdraiati tra cuscini di seta diventeranno una macbettiana rappresentazione della brama di potere.
A guidare il pubblico è la voce fuori campo di un uomo comune, i cui intermezzi riveleranno solo alla fine ciò che lo lega al protagonista.
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Christian Bale, Sam Rockwell, Steve Carell e Amy Adams: interpretazioni da Oscar
È con questi accorgimenti stilistici e con il ricorso frequente alla rottura della quarta parete che McKay restituisce l'immagine controversa, frammentata e dicotomica di Dick Cheney, che dal film emerge come entità oscura, silenziosa, diabolica ma nello stesso tempo premuroso padre di famiglia pronto a fare un passo indietro pur di proteggere l'omosessualità della figlia da sicuri attacchi mediatici. Complice l'interpretazione camaleontica di Christian Bale che va ben oltre l'essere ingrassato 20 chili. In Vice - L'uomo nell'ombra l'attore, che ci ha abituato nel tempo alle trasformazioni fisiche più spinte, sparirà lentamente nelle movenze e nella mente di Cheney, restituendocelo prima come rozzo operaio elettrico del Wyoming perso tra alcol e scazzottate che gli costeranno l'espulsione da Yale, poi come Capo di Gabinetto della Casa Bianca (il più giovane nella storia degli Stati Uniti) e infine come Segretario alla Difesa prima di approdare alla carica di vicepresidente.
Rigorosamente accompagnato dall'ambiziosa figura della fedelissima moglie, Lynne (Amy Adams), fidanzata del liceo. Fu lei a rimetterlo in carreggiata dandogli un aut aut dopo l'ennesimo arresto per guida in stato di ebbrezza nel lontano 1963; è lei la vera forza trainante, un'autentica stratega che attraverso il marito concretizzò molte delle ambizioni, che a una donna nell'America degli anni '60 non sarebbe stato mai consentito di realizzare. Lynne è il motore di questa scalata in tandem, che per molti versi ricorda quella di un'altra luciferina coppia dello schermo: Frank e Claire Underwood di House of Cards. Il cammino dell'uomo nell'ombra del titolo si compirà smontando e ricomponendo alleanze, l'ultima quella con George W.Bush, a cui Sam Rockwell regala tratti di inadeguatezza e goffaggine tali da farlo apparire persino buffo, o usando un manipolo di fedelissimi per poi disfarsene alla bisogna, come succederà al suo spavaldo mentore Donald Rumsfeld (Steve Carell).
Una corale prova di attori che non ci si stancherebbe mai di vedere sullo schermo e che McKay ha già dimostrato altrove di saper dirigere inondandoli di parole e ferocia, come soltanto lui e pochi altri possono permettersi di fare. Con il risultato finale di un film multidimensionale, che continua a lanciare strali anche dopo i titoli di coda: rimarranno una cattiveria e un'amarezza di fondo ampiamente preannunciate, dopo la prima mezz'ora di film, dalla fragorosa risata con cui Rumsfeld risponde alla domanda di un giovanissimo Cheney fresco di Yale: "In cosa crediamo?".
Movieplayer.it
4.0/5