Il vampirismo dello scrittore, o piuttosto della scrittura stessa: la finzione creativa non tanto e non solo come uno "specchio della vita", ma come un'entità che di quella vita se ne ciba e la fagocita, in una sorta di terribile patto faustiano che vede l'artista sacrificare la propria anima - o peggio la felicità di qualcun altro - sull'altare del successo e della grandezza letteraria. Un tema complesso e inquietante, già esplorato mirabilmente oltre un decennio fa in un altro film biografico incentrato su un famoso scrittore, il Truman Capote diretto da Bennett Miller.
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Potrebbe sembrare quantomeno bizzarro instaurare una connessione fra il Capote di A sangue freddo e uno dei personaggi più amati della narrativa per l'infanzia, l'orsetto Winnie the Pooh, creato nel 1926 dall'autore inglese A.A. Milne e dall'illustratore E.H. Shepard; eppure il nucleo tematico di Vi presento Christopher Robin non è così lontano da quello del dramma sulla parabola di Truman Capote, per il quale il massimo trionfo artistico e professionale sancirà anche un'ineluttabile 'dannazione' dal punto di vista privato. Qualcosa di molto simile a quanto accaduto a Milne e a suo figlio Christopher Robin, il cui nome è universalmente noto come quello del bambino compagno di giochi di Winnie the Pooh.
Winnie the Pooh: le origini di un fenomeno senza età
Se dunque la figura del vivace orsetto del Bosco dei Cento Acri è indissolubilmente legata a un immaginario lieto e giocoso, a un'atmosfera di divertimento, di dolcezza e di serenità bucolica, il soggetto di Vi presento Christopher Robin cela al contrario aspetti ben più insidiosi e problematici. L'approccio del film sceneggiato da Frank Cottrell-Boyce e Simon Vaughan, insomma, si discosta per più di un motivo da quello adottato da un'altra, fortunata pellicola dedicata alla nascita di un altro idolo dei lettori giovani e giovanissimi, il Peter Pan creato da James M. Barrie in Neverland - Un sogno per la vita; e proprio in tale approccio sono rintracciabili le ragioni d'interesse di una vicenda non molto nota, una vicenda che sarebbe stata in grado di suscitare importanti riflessioni sulla dicotomia fra la vita reale e la sua rielaborazione in forma letteraria.
Aperto da un breve flashforward ambientato nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, il film di Simon Curtis ci riporta subito a un altro conflitto epocale: siamo nella Francia del 1916 e A.A. Milne, che ha il volto di Domhnall Gleeson, è un giovane soldato dell'esercito britannico nella battaglia della Somme. Traumatizzato dall'esperienza bellica e incapace di recuperare una piena stabilità emotiva dopo il ritorno dal fronte, Milne, soprannominato Blue, ha un figlio dalla moglie Daphne (Margot Robbie): è Christopher Robin, a cui però tutti si riferiscono con il nome di Billy Moon. Alcuni anni più tardi, nel solitario idillio della campagna inglese, Blue è in preda a un blocco creativo; Daphne, donna cinica e madre anaffettiva, è sempre più insofferente verso l'ambiente familiare, mentre il piccolo Billy Moon (Will Tilston), poco considerato dai genitori, è affidato alle cure e all'affetto della governante Olive (Kelly Macdonald). Ma la partenza di Daphne per Londra e la temporanea assenza di Olive porteranno padre e figlio a trascorrere alcune giornate fianco a fianco: un momento particolarmente felice nel loro rapporto, ma anche la svolta clamorosa per la carriera di Blue.
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L'oscurità nel Bosco dei Cento Acri
Da qui in poi, l'intreccio di Vi presento Christopher Robin si dipana lungo un doppio binario parallelo: da un lato l'enorme successo dei libri su Winnie the Pooh e la diffusione di un fenomeno di massa paragonabile al nostro Harry Potter; dall'altro la rinuncia coatta a un'esistenza 'normale' per Billy Moon, prigioniero suo malgrado del bambino immaginario a cui lui stesso ha dato sembianze e nome, e che ha consegnato al mondo intero i giochi e i segreti dell'infanzia di Billy. Dalla presunta apologia del potere dell'immaginazione al suo nefasto rovescio, insomma: perché Vi presento Christopher Robin è innanzitutto un film sul lato oscuro della celebrità, e - elemento ancor più doloroso - sull'opportunismo vampiristico di un genitore che finisce per trasformare il proprio figlio nel feticcio di un'adorazione collettiva, inconsapevole della sorte a cui lo sta condannando.
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In questi termini, Vi presento Christopher Robin potrebbe apparire come un'opera densa, sorprendente e perfino cupa, e in effetti la storia in questione ne avrebbe avuto tutti gli ingredienti; purtroppo, invece, il "film in potenza" corrisponde ben poco a quello effettivamente realizzato. Anche perché Simon Curtis, dopo il pregevole ma esile Marilyn e l'ancor più convenzionale e mediocre Woman in Gold, conferma qui tutti i propri limiti di regista: sia per la confezione eccessivamente patinata della messa in scena, sia per l'impostazione superficiale di una narrazione che indugia nei cliché e nel sentimentalismo. La Daphne di Margot Robbie, ad esempio, risulta un personaggio monodimensionale e stereotipato, mentre tutta la sezione finale, a partire dalla 'frattura' fra Billy Moon e la propria famiglia per arrivare all'epoca della guerra, è condotta nella maniera più didascalica possibile. Il film, in sostanza, non ripone abbastanza fiducia nel potere del puro racconto e si affanna a spiegare concetti ed emozioni, quando avrebbe fatto meglio a trasmetterli in maniera spontanea attraverso questo dramma - travestito da favola - su un'infanzia perduta... per colpa di un orsetto di pezza.
Movieplayer.it
2.5/5