"Sui miei fidanzati sbagliati si potrebbe fare una serie su Netflix", dice scherzando Vera Gemma che in un film con la sua vita ci è finita davvero. Si chiama Vera, lo dirigono due grandi osservatori del reale, Tizza Covi e Rainer Frimmel, e per lei, figlia d'arte, in perenne lotta con un papà ingombrante come Giuliano Gemma, è stato un vero riscatto, l'occasione per dimostrare di valere qualcosa a dispetto di quanti non l'hanno fatta sentire "mai abbastanza" all'altezza del padre. Missione compiuta, visto che il film presentato nella sezione Orizzonti della 79ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia le è valso un premio per la migliore interpretazione femminile, oltre ad aggiudicarsi la miglior regia.
Essere Vera, tra realtà e finzione
"L'artista se non vive, non ha niente da raccontare", dice in una battuta del film. Quanto c'è di lei in questa affermazione? Si riconosce nella Vera del film?
Sì, purtroppo sì. Chiarisco: intanto questo è un film e non un documentario, quindi ho fatto un vero e proprio lavoro di attrice, con una sceneggiatura e delle battute. Quel personaggio sono io al cento per cento e prende ispirazione da un episodio realmente accaduto nella mia vita che avevo raccontato a Tizza. Sono io con tutte le mie debolezze, le mie fragilità e la mia forza; ho interpretato il ruolo di me stessa, che banalmente può sembrare molto facile, ma non lo è affatto perché in questi casi si tende a voler dare un'idea migliore di sé, per apparire un po' più bravi, un po' più carini. Con questo film per la prima volta mi sono sentita veramente libera, mi sono liberata di me stessa e dell'ossessione di voler apparire bella a tutti i costi, magra a tutti i costi, truccata bene. Ho cercato di essere onesta, poi quando mi rivedo non è che mi piaccia tantissimo, parte subito un giudizio feroce e penso: "Mamma mia che brutta, e scappo". Ho qualche problema ad accettarmi.
All'inizio non era molto decisa, poi cosa l'ha convinta a fare questo film?
Sono da sempre una fan di Tizza Covi e Rainer Frimmel, ero innamorata del loro film Non è ancora domani - La pivellina, e mi sono sentita onorata dalla proposta, ma non essendo mai stata valorizzata come attrice, non capivo perché proprio loro lo chiedessero a me. Quindi la prima reazione è stata: "Non ho una lira per fare questo film", ma poi mi hanno assicurato che non solo non volevamo soldi da me, ma mi avrebbero anche pagata per farlo! In quel momento ho capito che forse erano veramente interessati a me e mi sono data con tutta me stessa, sarebbe stato folle non farlo. Mi sono sentita come quelle persone a cui è stata tappata la bocca per tutta la vita, e poi improvvisamente gli tolgono il nastro e gli dicono: "Puoi parlare". Ho cercato di dimostrare che anch'io forse potevo fare qualcosa come attrice.
Avete concordato che qualcosa della sua vita non sarebbe entrato nel film?
No, semmai ho il problema opposto: dico più verità di quelle richieste. Quindi non ho pudori di nessun tipo, sono sempre stata un libro aperto. Un esempio? In un'intervista a Belve in televisione, ho raccontato di essere stata arrestata a Las Vegas, e la metà della gente che conosco non ha fatto altro che dirmi: "Certe verità le potresti anche evitare".
Essere "figlia di": la guerra contro i padri e l'ossessione della bellezza
Davanti alla tomba di Goethe lei e Asia Argento discutete dell'importanza di emanciparsi dall'essere "figlio di". Lei ce l'ha fatta?
Il problema per me non è stato tanto l'emancipazione, che poi ti devi meritare ed è un lavoro che devi dimostrare perché non ci si distacca da un nome così importante a priori, ci si distacca facendo vedere che hai un talento. La crudeltà nei miei confronti è stato il paragone continuo con la bellezza di mio padre, che mi ha fatto soffrire molto, per tutta la vita mi sono sentita in colpa per non essere bella come mio padre. La prima reazione quando mi dicevano con delicatezza rara "Sei la figlia di Giuliano Gemma? Certo che non gli somigli proprio!", era quella di volergli somigliare, perché mio padre per me era bello, era un mito, ero innamorata di lui come lo era il pubblico. Quindi non sentirmi mai all'altezza o abbastanza bella, è stata una crudeltà che ho subito e che continuo a subire. Staccarmi da questa cattiveria, accettarmi e volermi bene è stato ed è un lavoro giornaliero, che credo ogni donna faccia indipendentemente dall'essere "figlia di Giuliano Gemma". Tutte ci dobbiamo sentire sempre all'altezza di un modello che magari non ci appartiene e credo che poi la bellezza alla fine ho imparato nel tempo a capire che la bellezza è fatta di tante cose.
Nel film si rivolge al piccolo Manuel dicendo "mai dipendere dal giudizio della gente". Lei è riuscita a distaccarsene?
Non lo so, non sono pronta a rispondere a questa domanda. Ci lavoro ogni giorno, ho imparato a volermi un po' più bene di prima e ultimamente mi vedo anche abbastanza bella, che per me è una cosa veramente incredibile, e piaccio abbastanza agli uomini, il che aiuta molto la mia autostima. Però vivo ancora la brama di conquista, alla fine è tutto un voler conquistare l'approvazione degli altri anche nei rapporti d'amore; penso ad esempio che se qualcuno si innamora di me, allora vuol dire che mi ha accettato, che sono bella, che sono degna. Ma quasi sempre quando loro si scoprono innamorati, non lo sono più io. È una cosa assolutamente malata, da cui non se ne esce più.
Ritiene suo padre colpevole di qualcosa? Ad esempio di quanto abbia dovuto faticare a cercare se stessa?
Mio padre non era colpevole di niente, era il primo a soffrire di questi paragoni, era annoiatissimo, anzi spesso mi esortava a parlare di me durante le interviste: "Ma perché ti fanno sempre domande su di me e non ti fanno parlare di te? Parla di te!". Era il primo a credere che avessi qualcosa da dire, quindi in qualche modo anche lui viveva questa mia frustrazione. Non attribuisco alla mia famiglia nessuna colpa, se non quella dell'ossessione della bellezza e l'aver obbligato me e mia sorella da piccole a rifarci il naso. A casa mia ingrassare era più grave che essere dipendenti dall'eroina, sia io che mia sorella abbiamo sofferto molto questa ossessione.
Anche suo padre ne soffriva?
Entrambi, sia mia madre che mio padre. Inizialmente era diventato famoso grazie al suo aspetto fisico, poi nel tempo ha dimostrato di essere un bravissimo attore, ma era molto riconoscente alla sua bellezza, curava tanto il fisico, faceva sport ogni giorno, quindi in buona fede tendeva a insegnare anche a noi a non ingrassare, a essere sportivi e andare in palestra. Mia madre era ancora più ossessionata perché le figlie dovevano essere all'altezza della bellezza di papà, era un continuo "Dovete accompagnare papà", "Come vi vestite?", "Siete ingrassate?". Forse avrebbero potuto incoraggiarmi di più a essere me stessa invece che a raggiungere un modello di bellezza che in fondo non è così importante.
In una scena a cena con il suo compagno dell'epoca, Gennaro, dice: "Mi mette l'ansia essere giudicata e poi non ho mai avuto questo sogno così grande di fare l'attrice". Quali sono i sogni di Vera oggi?
Quelle parole ovviamente sono una difesa: a un certo punto, quando non te lo fanno più fare, inizi a credere che non sia più un tuo sogno, e subentra una forma di rassegnazione anche se nel profondo di te stessa continua ad esserlo. C'è una differenza fondamentale tra la lotta e l'accanimento: non ho mai smesso di lottare, ma non mi sono neanche accanita. Non ho mai rinunciato a essere un'artista, ma ho trovato altri modi di esserlo facendo la domatrice di tigri e leoni al circo, la spogliarellista a Los Angeles o scrivendo libri. Ho fatto veramente di tutto e ho trovato sempre il mio modo di esprimermi, di certo non avevo bisogno del permesso dei registi per farlo. Il mio sogno oggi è vivere la vita, continuare a essere me stessa, a essere onesta, lasciare una casa a mio figlio, possibilmente riuscire a non mangiarmi anche quella, sono sogni molto concreti, semplici. Con questo film ho realizzato un grandissimo sogno: dimostrare che forse anch'io valevo qualcosa come attrice e anche se dovesse finire qua, ne sarò felice. Ma troverò sempre il mio modo di essere artista sullo schermo e nella vita.
Tra cinema e televisione: storia di un riscatto
Lei è cresciuta sui set con suo padre, Vera è anche un film sul cinema. Ha mai pensato di condurre un programma in cui parla di cinema rendendo il pubblico più consapevole del mondo che gli sta dietro?
Sarebbe bellissimo, ma non me lo faranno fare mai. Non credo ci sia tutto questo spazio per Vera Gemma che ci racconta il grande cinema, o che gliene possa importare qualcosa. Ho trovato diversi modi per declinare la mia passione per il cinema, facendo per esempio un documentario da regista su mio padre che ha aperto il Festival di Roma, che ha vinto diversi premi ed è stato bellissimo stare dall'altra parte.
Cosa vuol dire essere veri al giorno d'oggi?
Essere se stessi oggi è una grande rivoluzione, nessuno è veramente se stesso. C'è un'ipocrisia perbenista e piccolo borghese del voler apparire per bene o del voler sempre sembrare meglio di quello che si è; poche persone sono vere al cento per cento e hanno il coraggio di essere quello che sono.
Ha partecipato a diversi reality. Quanto si è sentita libera in quel tipo di televisione?
Nella vita mi sono sempre presa la libertà di fare quello che mi pareva, quando ho accettato di fare L'isola dei famosi mi hanno detto: "Sii consapevole però del fatto che non farai mai più il cinema". Dopo meno di un anno ho vinto il Leone d'oro a Venezia, quindi sono anche la prova che questi luoghi comuni lasciano il tempo che trovano, perché ognuno è un discorso a sé, dipende da come le fai le cose. A me, per esempio, L'isola dei famosi è servita per dimostrare quanto fossi coraggiosa e quanto non fossi una persona viziata. Gli stessi autori del programma ancora oggi riconoscono che non mi sono mai lamentata per settantanove giorni di fame; ho perso dodici chili a testa alta, senza lamentarmi mai. Quel programma è stato fondamentale per far vedere che ero capace di sopravvivere ovunque: nel lusso, nella strada e nella fame. Gli altri erano completamente andati fuori di testa per la fame, io mi concentravo su quanto fossi fortunata a stare lì: "Stai lavorando, stai guadagnando, hai fame, ma sta per finire. Esiste la fame vera nel mondo, tu sei una privilegiata", me lo sono ripetuta ogni giorno e ne sono uscita a testa alta.