Per ogni cinefilo che si rispetti il Festival di Cannes e la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia sono un sogno, un'oasi da esplorare almeno una volta nella vita. Indiscutibilmente, se amate il cinema, è un'esperienza che prima o poi va fatta. Se poi siete degli addetti ai lavori e in particolare dei giornalisti che scrivono principalmente di film, attori, registi, serie tv e tutto il carrozzone luccicante, sono appuntamenti imprescindibili: per queste due manifestazioni passa la maggior parte dei film di pregio prodotti ogni anno, che molto spesso si ritrovano poi nominati anche agli Oscar, i premi cinematografici più famosi.
Oltre alle anteprime mondiali, agli applausi che durano anche dieci minuti (un giorno sarebbe bello poter parlare con chi, cronometro alla mano, sta lì a misurare il tempo esatto), alle feste con le celebrità e i red carpet sfarzosi c'è però un lato oscuro poco raccontato, sicuramente meno attraente, ma vero e pulsante. Quello della vita quotidiana al Lido.
Si perché la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, nonostante il nome, non si svolge nella capoluogo del Veneto, ma al Lido di Venezia. Che è tutta un'altra cosa. Un luogo mistico a metà tra l'Isola che non c'è di Peter Pan (nei casi migliori) e l'isola di Lost. C'è perfino la sala Perla! Per chi non ha visto la serie creata da J.J. Abrams (molto male!): la stazione Perla in Lost è una delle basi del Progetto Dharma, organizzazione scientifica che conduce esperimenti sull'isola al centro della storia. Alla Mostra invece è una delle sale in cui si svolgono le proiezioni. Ma non è detto che non si facciano esperimenti anche lì: il freddo di quella sala è innaturale, così come la perenne e inspiegabile puzza di pesce surgelato che la permea ogni anno.
Per prepararci all'edizione numero 79 della Mostra, che quest'anno festeggia anche i suoi 90 anni, vi raccontiamo un po' il lato meno patinato del festival. Prima di cominciare però, un avvertimento: per comodità scriveremo "la Mostra" o semplicemente "Venezia 79", ma, se un giorno verrete al Lido, non ditelo mai a voce troppo ad alta: potrebbe capitarvi di essere rimproverati per strada da anziane signore che vi diranno: "Eh no, si deve dire bene: Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia!". È tutto vero, è tutto successo.
"Un accredito per domarli, un accredito per trovarli, un accredito per ghermirli e nel buio incatenarli"
Tutto comincia da una parola che sembra uguale a tante altre, ma in ambito festivaliero non lo è: accredito. A Venezia la situazione non è tragica come a Cannes, dove il colore del badge fa davvero la differenza tra file di ore e comodo ingresso a pochi minuti dall'inizio del film. Sì, in questo caso i francesi sono peggio (e più classisti) di noi. I colori sono anche di meno: per la stampa ci sono, al gradino più basso, i gialli, poi i blu e infine i rossi. I verdi sono i "cultural", ovvero studenti e appassionati. Poi ci sono i badge dei fotografi e altri addetti ai lavori, come distributori e uffici stampa.
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Dimmi che colore hai e ti dirò chi sei: a Venezia per fortuna (almeno negli ultimi dieci anni) il colore dell'accredito non porta quasi nessun giornalista a essere rimbalzato a una proiezione. Nei tre anni appena passati però, complice la pandemia, la selezione più feroce è stata messa in atto a monte: i gialli sono stati la categoria più colpita (spesso blogger o siti dai numeri più piccoli). A volte però i selezionatori, forse per la troppa mole di lavoro, prendono delle sviste: è capitato che siti neonati prendessero molti accrediti e realtà consolidate, con milioni di utenti singoli mensili, venissero invece tagliate, senza la possibilità di accreditare nemmeno una persona.
La minaccia fantasma: le prenotazioni on-line
La vera spada di Damocle di ogni accreditato a Venezia oggi è, da tre anni, la prenotazione on-line delle proiezioni. Diciamolo subito: di base è un cambiamento molto positivo. Addio file di ore, tempi di ingresso ridotti, posto già assegnato, certezza di entrare in sala. Ma c'è un ma. Sarebbe un cambiamento positivo se tutto funzionasse alla perfezione. Se. Purtroppo non è così: per i primi due anni la Mostra si è affidata al sito Boxol. Fin da subito il meccanismo si è inceppato: il primo anno il server non ha retto. Il secondo riuscivano a prenotare prima i rossi, poi i blu e gli altri, con scandalo generale e persone che, sui social, scrivevano: "Il nostro lavoro è uguale a quello degli altri colleghi!". Tutto giusto, magari espresso con eccessiva ansia, ma giusto. Il vero dramma era mettersi la sveglia in tempo, perché ogni proiezione andava prenotata due giorni prima rispetto all'effettivo orario, con conseguente dramma di dover accendere spesso il cellulare in sala, dove non c'era campo, o mentre si stava facendo un'intervista, con sveglie all'alba e l'angoscia di non poter vedere i film. Da fuori magari fa sorridere, ma per chi va al Lido per lavorare è un piccolo dramma.
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Quest'anno il cambiamento: non più Boxol ma VivaTicket. Pensavamo che finalmente tutto sarebbe filato liscio. E invece. E invece! Praticamente è come in Alien vs Predator: chiunque vinca noi accreditati perdiamo. Ora si possono prenotare tutte le proiezioni dei film di quel giorno nello stesso momento (finalmente!) con 48 ore di anticipo a partire dalle 7 di mattina, ma il server continua a non reggere. All'apertura delle prenotazioni VivaTicket è crashato, con file virtuali di ore. L'ormai odioso omino del countdown praticamente sbeffeggia i giornalisti e il tempo di attesa, come in un film di Christopher Nolan, invece di diminuire aumenta. Quando non si blocca del tutto. Una volta entrati il sistema ti butta fuori dopo aver preso solo due biglietti. E ricomincia la fila. Per non parlare delle proiezioni che non ci sono, spariscono, riappaiono. Un po' come le scale di Harry Potter a Hogwarts: alle proiezioni veneziane piace cambiare. Su questo i francesi hanno fatto molto meglio di noi. Un suggerimento: create un'app apposita di più facile utilizzo e attivate più server. Anche se, va detto, i meme che ogni anno spuntano fuori dopo che la stampa di mezzo mondo si fa prendere da una crisi isterica sono notevolissimi.
Il Lido ti odia
Quando non sono le prenotazioni virtuali e i capricci di attori (duole dirlo, soprattutto di quelli italiani), che si stufano alla seconda intervista, a mettere in difficoltà giornalisti e uffici stampa, arriva la popolazione locale a sbancare la quota disagio. Diciamo che gli abitanti del Lido non vedono di buon occhio questa "invasione" estiva. Invece di pensare che per quei quindici giorni sono sotto gli occhi delle telecamere di mezzo mondo e che i guadagni aumentano per alberghi e ristoranti, passano il tempo della Mostra a guardare in cagnesco i giornalisti. Se non proprio a prenderli a male parole, urlando per strada, su autobus e traghetti: "Quando ve ne andate?!". Anche queste sono storie di vita vissuta: abbiamo visto perfino i più calmi e pazienti di noi trasformarsi in demoni rabbiosi all'ennesima dimostrazione di disprezzo e insofferenza.
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Altro tasto dolentissimo: il cibo. Mangiare al Lido di Venezia è un dramma. E purtroppo, come succede invece a Hugo in Lost, è difficilissimo trovare la scorta segreta di provviste. Tempo per cucinare in casa spesso non c'è e ci si arrangia con quello che si trova. I bar sono pochi e intasatissimi, i ristoranti, nella maggior parte dei casi, cari e pessimi. Una delle soluzioni più diffuse è andare dagli alimentari. Attori e registi vanno ai pochi ristoranti di buon livello, come La Favorita e Valentino. Per gli altri ogni pasto decente è una conquista. Un miraggio l'ormai consolidato spazio Campari: per chi ha la fortuna di avere l'accredito per accedervi spesso diventa una fonte di calorie impreviste e preziose. Certo, dopo il secondo Americano o Negroni (o Red Carpet, drink inventato apposta per la Mostra) magari le recensioni saranno un po' più entusiaste, ma è la sopravvivenza bellezza, oltre che la stampa.
Ecco perché, negli ultimi anni, soprattutto tra la stampa romana, si è diffuso il detto "il Lido ti odia": se c'è la possibilità, il Lido complicherà certamente la tua giornata.
Le feste di Venezia
Un miraggio nel miraggio sono le feste di Venezia. Spesso i giornalisti che partecipano alle interviste ricevono un invito per quella del film di cui scriveranno. Negli ultimi tre anni però, complice ancora una volta la pandemia, sono diventate sempre più rare, o comunque riservate soltanto al cast e a chi ha lavorato alla pellicola. La ricerca spasmodica di un invito diventa come la caccia al biglietto d'oro per la Fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. I colleghi più affiatati si dividono l'invito portando l'altro come più uno, quelli che non vengono invitati nel migliore dei casi la prendono con sportività, nel peggiore partono mail e telefonate piccate.
In ogni caso le feste ai festival sono un'indice di giovinezza: più si hanno energie e meno proiezioni sotto la cintura, più si ha voglia di farle. Più aumentano lavoro e responsabilità, più ci si trascina come zombie a questi party che spesso finiscono tardissimo, con la sveglia all'alba, per la proiezione delle otto di mattina, che invece rimane sempre lì, inesorabile.
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C'è poi chi invece snobba le feste per partito preso: meglio lavorare, meglio vedere la proiezione di mezzanotte spremendo l'ultimo neurone, come la "cura Ludovico" di Arancia meccanica. Spesso l'ubriacatura è la stessa, che sia provocata da alcol o da immagini.
Che si vedano molti film o facciano più interviste, che si abbia la forza, dopo 12 ore di festival, di scatenarsi in pista o meno, la parte più bella del festival resta comunque la possibilità di vedere tanti film d'autore, provenienti da ogni parte del mondo, su grande schermo. E, se siete fortunati, di discuterne civilmente e con entusiasmo con altri appassionati come voi, davanti a diversi spritz. Per tutto il resto, come situazioni alla Woody Allen, in cui, per caso, sentite pareri che vi fanno venire i brividi, per fortuna ci sono le cuffiette: mettetele su e fate finta di non aver sentito. O cambiate compagnia.