Pardo d'Oro con la sua opera prima Private a Locarno nel 2004, partecipazione in concorso alla Berlinale nel 2007 con In memoria di me, un primo contatto con Venezia e i suoi rituali nel 2010 con La solitudine dei numeri primi. Ha diretto pochi film Saverio Costanzo, ma ha saputo ritagliarsi negli anni uno spazio ben preciso nel panorama italiano. Al di là del gusto personale e dell'effettiva riuscita finale, le sue sono opere che fanno discutere. Ecco perché era alta la curiosità attorno alla nuova creatura, Hungry Hearts, presentato in concorso alla 71.ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. A quattro anni dalla sua ultima partecipazione al Festival, l'autore capitolino propone un lavoro dal respiro internazionale, liberamente tratto dal romanzo di Marco Franzoso, Il bambino indaco.
I due protagonisti, Jude e Mina, sono una coppia felice. Americano lui, italiana lei, si incontrano in una circostanza particolare, ma il sentimento che li unisce sembra vero e profondo. Quando Mina resta incinta, si sposano. Qualcosa, però, scatta nella mente della ragazza che decide di voler preservare la purezza di quel figlio che lei crede speciale. Un figlio che però è in pericolo di vita. Ne abbiamo parlato con i diretti interessati, Saverio Costanzo e i due protagonisti, Alba Rohrwacher e Adam Driver.
Dal libro di Franzoso a Hungry Hearts
Un film che adatta un romanzo provoca sempre molte domande relative all'adattamento. "Non riesco ad essere preciso sulla motivazione che mi ha spinto a realizzare un film dal romanzo di Franzoso, perché non ho le idee chiare sull'argomento - ha rivelato -. Ho letto il libro con grande difficoltà, visto che attraeva e respingeva. Eppure sentivo che c'era una drammaturgia molto forte; sapevo che la morbosità sarebbe stato il pericolo più grosso da evitare, qualora avessi deciso di adattarlo, per questo ho accantonato il progetto. Un anno e mezzo dopo questo primo approccio, mi sono messo a scrivere la sceneggiatura ed è venuto fuori questo film". Una storia che parla di maternità e malattia psichica, di amore e disagio. "Volevo guardare a questi tre personaggi con dolcezza e tenerezza e riuscire a guardare me stesso, nel ruolo di padre, in maniera meno giudicante e con passione. Non credo che Mina sia pazza, io partecipo al suo dolore, non la giudico. Devo dire che questo lavoro mi è stato utile, quasi catartico".
A differenza del romanzo, ambientato in Italia, Hungry Hearts si svolge a New York, una scelta che Costanzo ha motivato essenzialmente da un punto di vista drammaturgico. "Per parlare dell'isolamento di Mina avevo bisogno di una città violenta come New York - ha detto -. Ho abitato lì e anche io mi sentivo come Mina. Lei doveva fare una guerra contro qualcosa di forte e New York non si fa mai dimenticare, è lì anche se sei dentro casa. E' una città in cui se hai i mezzi puoi fare tutto, altrimenti è molto complicato viverci. In questo senso Roma sarebbe stata meno credibile. E' stata una decisione molto naturale, non c'era niente di ammiccante".
Storia di un padre e di una madre
Il film accende i riflettori su una madre problematica, che pur volendo il bene del figlio, agisce in maniera distruttiva. Al contrario, la figura paterna sembra essere più luminosa e pacificata, nonostante le difficoltà incontrate dal personaggio di Jude. "E' un padre che collabora alla vita familiare, esistono, oggi non ci sono più ruoli così distinti - ha detto -. Noi raccontiamo questi personaggi nello spazio in cui diventano qualcosa. Mina diventa madre, ed è un passaggio difficilissimo, una mutazione profonda, affatto naturale. Anche Jude diventa padre e vive sulla sua pelle la difficoltà di diventare genitori. Non sempre questo passaggio deve essere tragico, ovvio. Eppure, non ho mai pensato che Mina potesse fare del male al bambino, avevamo il dovere di seguirla fino in fondo. La dolcezza che ho avuto nel guardarli ha fatto bene anche a me".
"Questa donna che si trova a confrontarsi con la nascita del primo figlio - ha detto la Rohrwacher - è spinta da un amore assoluto,ma arriva a sbagliare. Anche se alla fine si intravede una luce nel suo cuore, un cambiamento e sono curiosa di sapere cosa ne sarebbe stato di lei". Ancora una volta alle prese con un personaggio di madre, dopo Le meraviglie, diretto dalla sorella Alice, l'attrice toscana ha sottolineato comunque le differenze profonde tra i ruoli. "Sono due film molto diversi, due figure di donne diverse, il filo che le lega è un amore assoluto verso i figli - ha spiegato -. In questo caso l'amore che la anima diventa un'arma a doppio taglio. Il romanzo ha disturbato anche me all'inizio, ma alla lettura della sceneggiatura ho scoperto quanto potesse essere avventuroso".
L'incontro con Adam
Vero cuore pulsante del film, Adam Driver, piombato a Venezia dal set inglese di Star Wars, ha abbracciato il progetto in maniera del tutto fortuita. "Era il volto che cercavo - ha rivelato Costanzo -, ma in un primo momento era impegnato e non poteva recitare per noi. Fortunatamente si è liberato per le quattro settimane di riprese, accettando senza problemi". "Con Adam il lavoro è stato molto facile - ha aggiunto Alba -, abbiamo fatto due letture e poi si è buttato assieme a noi in questa avventura breve e intensa, attraversando tante difficoltà che ci hanno rafforzato. Di lui mi resta una sensazione di una conoscenza profonda che ho provato da subito, anche se in realtà non ci eravamo mai visti prima". "La prima cosa a cui ho pensato è stata la coppia - ha spiegato Driver -, il loro conflitto sembrava reale, una vera sfida, abbiamo lavorato sui primi impulsi che sentivamo".
Stile indie, cuore libero
Girato in 16 mm, con un budget limitato, Hungry Hearts è stata una vera sfida per Costanzo. "I pochi soldi ci hanno consentito un'elasticità maggiore, una libertà totale, con un approccio alla Cassavetes - ha raccontato -. E sono molto felice di aver girato in pellicola, perché esiste ancora questo tipo di ricerca sull'immagine, che ci impedisce di somigliarci o plastificarci. Non mi sentirete mai inveire contro un altro autore, non è il mio stile, ma a volte in Italia non si rischia abbastanza. Fare un cinema libero è un privilegio di pochi, ma si ha l'obbligo di prendersi delle responsabilità e non si fa. Continuo a seguire dieci autori italiani, e credetemi sono tantissimi in tempi di crisi. Anzi, credo che la crisi abbia permesso una giusta selezione".