Vedo gente
Inizia il riflusso: "Vedo gente, faccio cose" diventa la parola d'ordine della generazione post-sessantottina. Ecce bombo sembra essere un excursus attraverso il mondo giovanile degli orfani del Sessantotto tra impegno politico, radio libere, esami da preparare e autocoscienza. Nanni Moretti esplora i tic, le dissociazioni di una generazione ridotta già a "roba vecchia" e che prova essa stessa la fatica di vivere essendosi liberata dal peso della politica attiva, della memoria e dell'identità; già cosciente di non riuscire a lasciare nessun segno tangibile nella storia. Dissociazioni e lapsus verbali e pantomimici: la stessa ripetitività ossessiva dei gesti e dei comportamenti si fa per forza di cose anafora rivelatrice di un mondo che si è definitivamente svelato nella sua immutabilità.
La consapevolezza di Moretti di essere sia figlio di un'intera generazione sia di essere Uno e solo - fautore di un'autarchia artistica pressoché totale - lo spinge già dall'esordio professionistico quale è Ecce bombo nell'impresa demiurgica della creazione di un proprio linguaggio "spettacolare" (recitativo, ma anche di messa in scena e narrativo) dichiarando l'estraneità del proprio cinema a qualsiasi tradizione, dicendosi senza padri né maestri. All'opposto è divenuto celeberrimo l'incontro televisivo tra lo stesso Moretti e Mario Monicelli nel quale il regista viareggino mostrava allo sguardo compiaciuto del giovane collega tutta la sua perplessità, ma anche la sua ammirazione e curiosità da professionista del mestiere nei confronti di quella nuova ondata di registi italiani che egli stesso definiva "nouvelle vague", sostenendo in modo forse provocatorio una certa linea di continuità tra questo nuovo cinema e quello - in sostanza - della commedia all'italiana.
Tutte le opere cinematografiche di Moretti vivono infatti un paradosso: sono certamente film sull'Ego, ma fanno parte di un cinema che si presenta come più intertestuale possibile: Moretti si confronta continuamente con il rischio della cultura. Frammentata come la cultura che la contiene (frammentata come la stessa struttura di Ecce bombo, composta da una catena di strisce), anche la figura di Moretti si fa di difficile definizione: egli è personaggio, autore, narratore e narratore di sé stesso e del proprio personaggio, entità in grado di compiere un continuo lavoro di messa in crisi della finzione.
Come sostiene anche lo storico del cinema Brunetta (Brunetta, 2001), Moretti sceglie di "usare cinepresa e schermo come registratore e lettino di uno psicanalista su cui registrare ed esplorare l'inconscio di una generazione". Rigettata deve essere invece la "convinzione" che vede una certa semplicità nelle scelte registiche (accostiamo pure questi due ultimi termini consapevoli di entrare noi stessi nel rischio di un possibile paradosso), nell'uso che Moretti fa della macchina da presa.
Ecce bombo è il secondo capitolo (dopo Io sono un autarchico) di un cinema che si presenta certo come diaristico: la costruzione di sequenze di piccole scene e l'apparente semplicità di alcune scelte registiche lasciano l'impressione di una scrittura che viva di totale libertà o di una struttura cinematografica piuttosto improvvisata. In realtà si dà una consapevolezza del mezzo rappresentativo cinematografico molto alta: curato all'inverosimile è per esempio il rapporto tra in e off, soprattutto per quel che concerne le conseguenze dell'impiego del sonoro (delle voci e dei rumori, in particolare). Consapevolezza che finisce poi per oscillare tra due polarità: se da un lato Moretti rifiuta la fissità della macchina da presa, dall'altro si può dire che il suo cinema si trovi quasi agli antipodi della spettacolarità e che il suo linguaggio paia essere composto da scelte più che altro neutre.