Immaginate come dev'essere prendere tranquillamente il sole, giocare in piscina, allenarsi in palestra o conversare allegramente al bar, tutto questo su una lussuosa nave da crociera per cui avete pagato profumatamente, magari con sudore e lacrime, e la vostra meritata e tanto agognata vacanza venga interrotta dall'arrivo a bordo di un gruppo di migranti certamente non previsto e non segnalato nella brochure.
È quello che capita a bordo della Orizzonte in Unwanted - Ostaggi del mare (qui la nostra recensione), la nuova serie in onda ogni venerdì su Sky Atlantic e in streaming solo su NOW, nata da un'idea di Stefano Bises ispirandosi al libro-inchiesta Bilal del giornalista Fabrizio Gatti, che ha passato mesi sotto copertura lungo le rotte del Sahara. Abbiamo fatto una chiacchierata con i passeggeri della nave, Franco, Silvia e Nicola in quest'intervista a Francesco Acquaroli, Cecilia Dazzi e Marco Palvetti (che torna a Sky dopo Gomorra) e siamo partiti proprio da lì, dall'immedesimazione con questa storia.
Calarsi nei panni dei personaggi
Il responsabile di crociera (un ritrovato Massimo De Lorenzo) dice nel primo episodio: "I passeggeri sono qui per vivere un sogno, la realtà vogliono lasciarla a casa". Mentre si preparano per interpretare questi personaggi, era impossibile non chiedersi cosa avrebbero fatto al posto dei loro personaggi. Ma che risposta si saranno dati? Inizia Cecilia Dazzi, interprete di Silvia, una moglie oramai annoiata che si dimostra estremamente sensibile al tema dei migranti: "Io sono una persona che accoglierebbe, è impressionante vedere tutto quel mare e immaginare che qualcuno non abbia una protezione quindi condividerei, quasi come nella serie".
Risponde l'altra metà della coppia, Franco, estremamente aperto e curioso verso i 28 migranti, alias Francesco Acquaroli: "Chiedersi cosa avrei fatto io fa parte dello studio di questa sceneggiatura. Credo sia uno degli scopi di questa serie portare gli spettatori a porsi questo tipo di domande. Per fortuna in questo caso ho interpretato un personaggio che la pensa abbastanza come me. Bisogna fare qualcosa per affrontare il problema, non per avere delle risposte semplici che sono ovviamente insufficienti. Bisogna avere un atteggiamento di un altro tipo e a me sembra che questo personaggio sia abbastanza in linea con quello che penso io, per una volta sono stato fortunato (ride)".
Tocca infine a Marco Palvetti prendere la parola, che è Nicola, un carabiniere casertano sposato con la giovane parrucchiera Diletta (Danise Capezza), ritrovata da Gomorra. I due provano disperatamente ad avere un figlio ma non ci riescono e, mentre lei si avvicina istintivamente ad una migrante neomamma, lui è più restio: "Nicola era abbastanza distante da quello che poteva essere il mio pensiero, almeno nella prima parte, poi la linea del personaggio andrà in un'altra direzione, quindi sicuramente io avrei accolto. Poi è chiaro che alla base del lavoro attoriale bisogna calibrare, mettere all'interno del lavoro che si sta facendo ciò che riguarda se stessi, ed è questo che rende poi il personaggio reale".
Universo alternativo
I personaggi rimangono sempre un po' dentro gli interpreti, soprattutto se iconici. Che cosa avrebbero detto rispettivamente Samurai (da Suburra - La Serie), Suor Luminosa (da Dio vede e provvede) e Salvatore Conte (da Gomorra - La Serie) a Franco, Silvia e Nicola nella situazione raccontata in Unwanted? Deciso Palvetti: "Sti cazzi, nigr". Ribatte Acquaroli: "Grande sintesi. Probabilmente Samurai avrebbe cercato un modo per lucrarci su, avrebbe messo in piedi un sistema per farci dei soldi". Chiude Dazzi: "La suora novizia non può che accogliere con dei manicaretti preparati in cucina".
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Essere carabinieri
Si torna seri nell'intervista a partire da una frase del personaggio di Nicola che sembra un nuovo mantra: "Io non sono razzista, sono carabiniere". Abbiamo la tendenza come umanità, lo abbiamo visto anche con la pandemia, a non avere empatia verso il prossimo. Come si fa a non essere carabinieri oggi? Inizia giustamente l'interprete di Nicola, Palvetti: "Chiaramente tutti possiamo vivere la strada in modo diverso. Principalmente però è vissuta da chi fa la legge e da chi va contro la legge. In questo caso abbiamo a che fare con un carabiniere e io in questo non vedo una forma di razzismo totale ma un punto di vista iper protettivo perché lui sa cosa avviene nella strada. Gli manca il punto di vista di chi non la live, quello umano di chi subisce grandi difficoltà che probabilmente lo porteranno alla strada, che lui vede come uno sbocco verso la criminalità. Si chiede perché queste persone dovrebbero venire da noi? Come fare per attutire quest'idea? Andando a monte, comprendendo cosa significa fare un viaggio del genere - Fabrizio Gatti lo ha fatto - anche se ovviamente non potremmo chiedere a tutti di prendere un sacco e andare a percorrere tutti quei chilometri".
È il turno di Acquaroli: "Noi prima di essere una nazione attrattiva, abbiamo prodotto migranti per secoli. Illudersi che prima non ci fossero problemi di sicurezza ci porta sempre a guardare le cose nella direzione sbagliata. I delinquenti esistono dappertutto, tutte le società in questo si somigliano, quindi quando arrivano delle popolazioni nuove non arrivano solo brave persone. Il carabiniere in questo caso è colui che per la natura del suo lavoro si ritrova ad avere a che fare spesso con i malintenzionati per strada, ha quella percezione e cade in questo tranello. Ma magari fosse così, Paradiso perduto non c'è mai stato".
Conclude il discorso con tatto e candore Dazzi: "Non si può dire che gli uomini siano fatti in un modo e le donne in un altro, ci sono sempre sfaccettature e vie di mezzo. Ma ho l'impressione che la donna sia più esposta, forse per via della maternità, all'immedesimazione con l'altro e all'empatia verso il prossimo rispetto ad una capacità di difesa, combattimento e diffidenza che ha l'uomo. È chiaro che tutto ciò che è diverso ci spaventa, però veramente quando giravamo di notte, andare sul nostro balconcino della nave e guardare il vasto immenso mare nero ci metteva nella posizione di chiederci 'Se fossi io lì, come farei a sopravvivere', alla paura più che a tutto il resto. Probabilmente il carabiniere c'è nel momento in cui senti il pericolo ma c'è anche tanta visione dell'altro".