Uno, nessuno, centomila
Il bianco.
Bianco colore della pace, della speranza. Il colore rassicurante dei panni dei bambini. Il bianco che nella simbologia comune è il colore per eccellenza del bene, della bontà. L'antidoto al nero che inquieta, una luce nel buio.
Il film di Emanuele Crialese è bianco. Un bianco fotografato seccamente, senza ammorbidimenti di sorta. Un bianco, che viene sublimato, grazie anche a una terra, quella di Lampedusa, dai sapori siciliani, che si offre in tutto il suo splendore di mare e di sassi. Una sublimazione che porta il vivido colore del film ad essere insieme pacificante e fastidiosamente abbacinante, emblema di una terra fatta di gente semplice, pulita, bianca, eppur così troppo semplice dal rifiutare la più piccola diversità in nome di una impossibilità a relazionarsi con qualcosa che vada al di là dei propri, elementari, schemi.
Crialese dipinge un film in bilico tra il più sano realismo di scuola italiana, e il metaforismo ricco della sua terra e dei suoi personaggi.
La storia che il regista, tutto pieno di un solido orgoglio siciliano, racconta è attuale, figlia dei nostri tempi, ma affonda le proprie radici in dinamiche antiche, nei sapori millenari della propria isola.
Grazia, una giovane madre di famiglia, viene considerata da tutta l'isola, e dai propri familiari, una pazza. E' la sua gioia di vivere, la sua voglia di andare al di là di quella vita minimalista che la sua piccola realtà può offrire, che la fa mettere all'indice dalla comunità familiare e paesana. Una novella lettera scarlatta, rifiutata per un semplice porsi al di fuori degli schemi, andare al di là di quel che è abituale.
Crialese racconta una storia di incomunicabilità, di emarginazione, stringendo l'inquadratura su un microcosmo, ma restituendole un senso globale grazie al luogo scelto, Lampedusa, l'isola delle migliaia di sbarchi clandestini l'anno, l'isola emblema del diverso, del rifiutato. La realtà descritta è consona alle strettezze di vita in cui Grazia è costretta, ma i rimandi e le metafore che vi si applicano rimandano a qualcos'altro, allargandone l'orizzonte.
La forma del film, dunque, si mantiene in bilico tra una descrizione rosselliniana degli spazi e della scena, e il tentativo di riportare sullo schermo quella carica metaforica di cui la protagonista si fa carico.
E' forse questa la parte meno riuscita della pellicola, che sporca quella sua rigida costruzione formale con qualche inserto di montaggio poco riuscito. Bastava una splendida interpretazione di Valeria Golino, forse, per restituirci quella carica di ribellione di cui il film si fa portatore.
Ma d'altronde, Crialese sembra percorrere una lettura più conservatrice, non lasciando intendere se sposandola o meno. Quella di una comunità i cui vincoli di sangue e di tradizione riescono a combattere qualsiasi fonte di disgregazione, anche se proveniente dal proprio seno, pur rilanciando tutto il senso del film nelle mani dello spettatore con un finale che sconvolge qualunque delle letture possibili costruite precedentemente.
Il progetto di Crialese è ambizioso e rischioso, mescolando sensazioni e toni lontanissimi fra loro, innestandoli su un impianto solidamente realista che, qua e là, va a scontrarsi con la verve creativa del regista. Respiro è un film che, pur impuro e imperfetto, si discosta mirabilmente dall'andamento generale del recente cinema italiano, ambendo alla costruzione di simboli e sottotesti all'interno di un impianto logico e progettuale, ambizione che oggi, in Italia, non viene nemmeno sfiorata.