Shakira lo ha detto a tempo di musica: "Las mujeres ya no lloran, las mujeres facturan". Ovvero: "le donne non piangono, le donne fatturano", verso della canzone Music Sessions Vol. 53, composta dopo la scoperta del tradimento del marito, l'ex calciatore Gerard Piqué. Taylor Swift ha impostato parte della sua carriera sui brani che parlano dei suoi ex. Beyoncé, in quanto Queen B, ha addirittura realizzato un intero album concettuale, Lemonade, sui tradimenti del marito Jay-Z. Insomma, se a tutti capita di soffrire per amore, che almeno ci si guadagni. Per le donne dello spettacolo - sempre doppiamente criticate quando si parla di soldi rispetto ai colleghi uomini - può essere anche una rivendicazione femminista. Come dicono in America, una cosa "empowerment" e "inspirational". Non siamo però sicuri che questo valga anche per il docufilm su Ilary Blasi di Netflix. La recensione di Unica non può che partire da una domanda, ovvero: che cosa stiamo davvero guardando?
In streaming dal 24 novembre sulla piattaforma, Unica (titolo geniale, che rimanda alla famosa maglietta "6 Unica", indossata da Francesco Totti sotto quella della Roma e mostrata a tutti, dopo aver fatto goal, per dimostrarle il suo amore, ormai 20 anni fa) è prima di tutto un'intelligente operazione di marketing. Il "docufilm", diretto da Tommaso Deboni, è infatti un lungo monologo, senza contraddittorio, in cui Ilary Blasi dà alle telecamere una versione smagliante di se stessa. Uno spot di 80 minuti insomma. Di cinema non c'è traccia, di informazione nemmeno. La confezione è però accattivante: quello che sostanzialmente è un lungo racconto di gossip viene montato come fosse un thriller, il cui culmine è la caccia alle scarpe e borse nascoste in casa (!) da Totti, come ripicca per la sparizione degli ormai proverbiali Rolex, presi da Blasi.
Esattamente come le colleghe internazionali, Ilary Blasi più che a vendicarsi, ha pensato a come ricavare il più possibile da tutto il polverone mediatico creatosi attorno al suo divorzio. Mentre Totti, in un anno e mezzo, ha detto tanto, spesso facendo una figura misera (l'intervista di Aldo Cazzullo al Corriere ne è l'esempio più lampante), Blasi ha mantenuto il silenzio, molto probabilmente decidendo di romperlo in base all'offerta economica maggiore. È stata sicuramente una scelta intelligente per quanto riguarda il personal branding, ormai unica vera stella polare di questi anni 2000, che, come dice il termine, riguarda la persona singola, ma che, se vogliamo inquadrarla in un contesto più ampio, ci porta a fare diverse considerazioni.
Unica: non per vendetta, ma per soldi
Impostato come una chiacchiera tra amiche, Unica è un racconto tra donne: oltre a Ilary Blasi ci sono infatti le sue amiche, le sorelle, la madre. È qui che scatta la connessione con il pubblico femminile, anche perché, come viene più volte ribadito, gli uomini, in particolare se di Roma e tifosi della Roma, non possono che per parteggiare per Francesco Totti. Lo dimostrano due testimonianze: quella di un autista che la accusa di "aver tradito lei per prima", esattamente le parole usate da Totti nell'intervista al Corriere, e quella di un uomo che dice: "A Roma sanno tutti che a Totti piacciono i maritozzi con la panna e le donne". Insomma, il sottotesto è: Ilary Blasi non sarebbe nessuno senza Francesco Totti, finché le è convenuto, le corna se le è fatte andare bene.
Se anche fosse, se la mentalità italiana è questa, a maggior ragione Blasi ha fatto bene a capitalizzare sulla vicenda. Vera e propria "Royal Couple" romana, molto prima dei Ferragnez a Milano, Francesco Totti e Ilary Blasi sono diventati un simbolo. Un brand, come i Beckahm in Grań Bretagna. Mentre però David e Victoria Beckham, come mostrano nella docuserie Beckham (prodotta sempre da Netflix, che, dopo il true crime ha trovato un nuovo filone d'oro), sono riusciti a superare tradimenti e incomprensioni mantenendo sempre viva, almeno per le telecamere, una coppia che vale milioni, Blasi e Totti non sono riusciti a trovare un accordo.
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A differenza di Beckham, che evidentemente non si sente minacciato dal successo della moglie, Totti, secondo quanto dice Blasi, le avrebbe chiesto, per tornare insieme, di rinunciare alla carriera, ai social, all'amica Alessia Solidani, sua parrucchiera, con cui è andata a prendere il famoso "caffè a Milano" con un personal trainer, che avrebbe innescato la reazione a catena che ha portato alla fine del loro rapporto. Ne esce una figura patriarcale e retrograda di Totti, che non rispecchia la gloria dello sportivo.
Se il confronto deve essere questo, allora la miglior "vendetta" che Blasi potesse mettere in atto è proprio questa: non tanto parlare delle loro vicende private, che ormai, come dice lei stessa, sapevano tutti da tempo, ma guadagnarci sopra. È un dato di fatto: in ogni campo le distanze si accorciano con i soldi. Più potere economico si ha, più si viene legittimati. Quindi, paradossalmente, fare soldi su questo è la cosa più femminista che Blasi potesse fare, in un mondo capitalista come il nostro.
Oltre ai Rolex c'è di più?
Shakira, Taylor Swift, Beyoncé e ora anche Ilary Blasi hanno seguito l'esempio di pioniere come Madonna e Cher, la quale, rispondendo alla madre che le chiedeva quando avrebbe sposato un uomo ricco, disse: "Mamma, sono io l'uomo ricco". Per questo non si può che dire loro: brave. Alla fine di 80 minuti di Unica però, non si può non domandarsi se oltre ai Rolex ci sia di più.
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Sia Totti che Blasi si stanno facendo una guerra mediatica a colpi di ostentazione di ricchezza. "Tu mi hai preso i Rolex, io ti prendo le borse". Eppure entrambi sono molto di più: lui uno sportivo entrato nella storia del calcio, lei una delle conduttrici televisive più famose in Italia. Eppure si comportano come ragazzini delle medie. E non sono i soli: Chiara Ferragni, nel mostrare la sua nuova casa a Milano, in questi giorni non fa che bombardare i social di scaffali lucidissimi pieni di borse, scarpe e, ancora, Rolex. Per carità, anche qui massimo rispetto per aver costruito un impero economico. Ma aspirare tutti a diventare, almeno nel mondo Occidentale, "l'uomo ricco", in cosa ci sta trasformando? Alla fine tra i Rolex del padre e le scarpe della madre, ci sono di mezzo tre figli, di cui entrambi dicono di volere il bene, ma, stando a quanto vediamo, sembrano in secondo piano rispetto a degli oggetti di valore. Unica sarà anche un guilty pleasure, qualcosa che si guarda per parlarne con gli amici davanti a un caffè, sempre lui, ma alla fine resta un senso di vuoto. Citando lo Zoolander di Ben Stiller, viene da chiedersi: "Chi sono mai?" La coppia Blasi-Totti ci spinge a dire: Rolex, ergo sum.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Unica, la docuserie Netflix non è cinema e non è informazione: siamo di fronte a uno spot di 80 minuti, in cui Ilary Blasi capitalizza su se stessa. Una scelta comprensibile, che mette in piedi un'operazione di marketing perfetta. Se vogliamo analizzarla in un contesto più ampio dal puro gossip, l'intervista ci fa capire come gli anni 2000 siano segnati dal personal branding selvaggio. La genialità del titolo "Unica". La sicurezza e l'arroganza di Ilary Blasi. L'aver scelto di capitalizzare su se stessa, in un mondo in cui gli uomini lo fanno da sempre senza essere criticati allo stesso modo.
Perché ci piace
- La genialità del titolo "Unica".
- La sicurezza e l'arroganza di Ilary Blasi.
- L'aver scelto di capitalizzare su se stessa, in un mondo in cui gli uomini lo fanno da sempre senza essere criticati allo stesso modo.
Cosa non va
- Unica non è cinema.
- Non è nemmeno informazione.
- Se vi interessa altro oltre al gossip, questo non è un titolo che fa per voi.