Annunciato all'improvviso a pochi giorni dalla messa in onda, dopo essere stato girato in gran segreto in estate. Unica di Tommaso Deboni ha fatto sorgere dal niente la docuintervista, nuovo genere televisivo inaugurato da Ilary Blasi, da giorni in vetta alle classifiche Netflix come film più visto d'Italia e sesto al mondo tra i film in lingua non inglese con 2.600.000 ore e 1.900.000 spettatori in 48 ore. Dopo tantissimi articoli di giornale, dichiarazioni, smentite e comunicati stampa sulla chiacchieratissima e clamorosa rottura con Francesco Totti, Blasi ha raccontato per la prima volta la fine della sua storia d'amore (qui la nostra recensione del docufilm).
Non in Rai o a Mediaset, dinanzi ad un conduttore/giornalista, con inevitabile e immediato contraddittorio ed eventuale diretta, ma su un set, al cospetto di un'impacchettatura ammaliante, perfettamente costruita, scritta da due autori come Peppi Nocera e Romina Ronchi, poi chiaramente montata e probabilmente "certificata" dalla diretta interessata.
Dai limiti della generalista a Netflix
Un anno e mezzo fa, era l'aprile del 2022, Ilary Blasi si era concessa una lunga intervista alla "Belva" Francesca Fagnani, negando con forza le illazioni sempre più pressanti su una presunta rottura con Francesco Totti, un tempo ancora suo marito. Un anno dopo, siamo ad aprile del 2023, Ilary torna a Verissimo dall'amica Silvia Toffanin, mantenendo assoluta riservatezza sulla sua separazione dall'ex Capitano della Roma, da tempo ufficializzata. Questo perché pochi mesi dopo, ma l'abbiamo scoperto soltanto la scorsa settimana, Blasi vuota il sacco in esclusiva per Netflix, a chissà quali astronomiche e semplicemente impensabili cifre per la tv generalista, raccontando una verità. La sua verità, che in un doc di 80 minuti con mesi di lavorazione alle spalle si fa quasi vendetta privata, analisi di una caduta, alla quale non poter in alcun modo controbattere, provando a far emergere contraddizioni eventuali, cercando chiarimenti ulteriori.
L'agiografica operazione Netflix, confezionata splendidamente, non conosce possibilità di intervento. Prendere o lasciare. Il pranzo è servito. Il tradizionale faccia a faccia televisivo, in cui il bravo intervistatore prova a scavare tra una risposta e l'altra rimarcando possibili incongruenze, senza che l'intervistato possa avere l'opportunità di prendersi una pausa, tornare il giorno dopo, pensare all'eventuale risposta, lasciarsi accompagnare dal cameraman giorno e notte tra Roma, Milano e Londra, affidandosi alla rete di protezione del montaggio documentaristico, viene qui cancellato con un ricco colpo di spugna, che potrebbe aver lanciato un nuovo genere televisivo.
Da Wanna a Unica
La docu-intervista, per l'appunto. Unica è a tutti gli effetti l'evoluzione di Wanna, docuserie crime che poco più di un anno fa esplorò sempre su Netflix i lati meno noti della storia di Wanna Marchi e sua figlia Stefania Nobile. Il progetto firmato Romina Ronchi e Peppi Nocera, storica penna di Non è la Rai, Stranamore, Matricole e del più recente The Ferragnez, non è infatti interessato a ripercorrere la carriera di Ilary, concentrandosi quasi unicamente su un solo capitolo della sua esistenza: la rottura con Francesco Totti. I passaggi che hanno portato alla separazione, la sua gestione privata e mediatica.
Ciò che fino ad oggi è sempre stato espletato sulla tv generalista, saltando da un qualsivoglia programma all'altro, ha ora intrapreso la strada dello streaming, che molto probabilmente dovrà dare garanzie non solo economiche ma anche qualitative e contenutistiche agli eventuali diretti interessati. Non a caso in Unica la controparte, ovvero Totti e la sua famiglia, non vengono mai in alcun modo ascoltati. Non esiste altra versione se non quella di Ilary e del suo 'clan', tra sorelle, madre e amici. Blasi sorride soddisfatta a fine operazione, sorseggiando un caffè perché evidentemente certa di aver fatto centro, di aver preso parte ad una prima volta che potrebbe fare scuola, diventare precedente, svuotando di utilità e significato ciò che fino ad oggi era sempre stata la norma. La tradizionale intervista televisiva.
Wanna: perché la docuserie Netflix è l'origin story di una villain, Wanna Marchi
È nato un precedente?
Quanti altri personaggi di spicco, da oggi in poi, vorranno seguirne le orme, prima di raccontarsi e raccontare un determinato aneddoto della loro vita? Perché dover andare da Mara Venier a Domenica In, in diretta televisiva, o a Belve, registrati ma braccati dalla sua conduttrice, quando potrebbe esistere una lauta alternativa chiamata docu-intervista, segnata da mesi di scrittura, riprese e montaggio? Perché non cedere al fascino della piattaforma streaming, che ad oggi consente di esporre la propria confutabile verità a decine di milioni di abbonati in tutto il mondo?
Perché non spettacolarizzare al massimo un punto di vista, che in qualunque altro modo ne uscirebbe chiaramente depotenziato? Unica ha squarciato un velo fino ad oggi mai neanche lontanamente sfiorato, con tutta la sua forza espressiva e le ipotizzabili ripercussioni del caso. Perché siamo proprio così sicuri che questa strada, così seduttiva da un punto di vista narrativo e produttivo, non rischi di diventare punto di non ritorno per un giornalismo già di suo dai più considerato sempre meno credibile, professionale e veritiero?