Ada, la recensione: gli abbracci che fanno male

La recensione di Ada: miglior film della sezione Un Certain Regard di Cannes, l'opera seconda di Kira Kovalenko dà vita a un dramma familiare teso e opprimente.

Unclenching The Fists
Locandina di Unclenching the Fists

Occhi talmente grandi da contenere tante cose. Dentro ci sono curiosità e paura, timidezza e desiderio. Lo sguardo contradditorio della giovane Ada è la prima cosa a cui pensiamo nella nostra recensione di Ada. E non è certo un caso che lo sguardo di questa ragazza piena di contrasti domini anche la locandina di un grandissimo film. I suoi occhi sono il faro che illumina tutta l'opera seconda di Kira Kovalenko, che conquista Cannes come miglior film della sezione Un Certain Regard. Una luce capace di splendere nella nebbia, soffocata di continuo da uomini ingombranti che non le vogliono lasciare spazio e respiro. Una sensazione opprimente che attraversa ogni singolo minuto e ogni singola inquadratura di Unclenching the Fists ("aprendo i pugni"), titolo perfetto per raccontare la tensione nervosa di un dramma familiare davvero opprimente.

Ada
Ada: una scena del film

Addosso ad Ada

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Ada: un'immagine del film

Felpa tirata su per coprire il viso. Solo gli occhi scoperti. Si apre così Unclenching the Fists (questo il titolo internazionale del film): con Ada sulla difensiva, alle prese con un corteggiamento goffo a cui è costretta a rispondere come sempre: "No, grazie". Adolescente di una grigia città mineraria nell'Ossenzia del Nord (regione della Russia), la ragazza non può aprirsi all'altro sesso, nemmeno per un innocente giro in macchina. Non può perché a casa la aspetta un padre-padrone possessivo e maniaco del controllo. Non può perché suo fratello minore la gira attorno tutto il tempo, avvinghiato a lei da un attaccamento morboso. Un contesto domestico claustrofobico dove all'improvviso Ada intravede uno spiraglio di luce: il ritorno a casa del fratello maggiore, apertura verso un mondo esterno da scoprire un passo per volta. È davvero incredibile quanto Unlclenching the Fists instauri un rapporto quasi epidermico con la sua protagonista. Kolvalenko la cerca tutto il tempo, ne carpisce ogni respiro, ne insegue ogni movimento con una regia invasiva (ma mai invadente come la famiglia di Ada) ed empatica. Un'empatia che Ada si guadagna subito. Merito di un accurato affresco familiare, in cui senza mai cadere nel pietismo, Kovalenko ci fa capire tutto dicendo poco. Bastano gesti, espressioni oppure dei panni stesi ad asciugare sui fornelli accesi per raccontare una casa squallida, dove l'affetto trova strani modi per manifestarsi.

Cannes 2021: a Unclenching the Fists di Kira Kovalenko il premio Un Certain Regard

Occhi che respirano

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Ada: Milana Aguzarova in una scena

Se il corpo di una vibrante Milana Aguzarova è perennemente costretto, i suoi occhi grandi sono l'unica fonte di ossigeno. Ada si guarda attorno, si guarda dentro, e ci prende per mano lungo il suo tentativo di fuga. Come dentro un triste romanzo capace di creare un legame affettivo con la protagonista, Unclenching the Fists fa dimenticare l'artificio del cinema con un approccio autentico quasi documentaristico. Una naturalezza di dialoghi, situazioni e ambienti che rende il film un'esperienza in prima persona al fianco di Ada. A livello di approccio siamo dalle parti di Tesnota, folgorante esordio alla regia di Kantemir Bagalov, rievocato dallo stesso stile crudo e attento ai dettagli di Kovalenko. Autrice di un film intimo e sociale allo stesso tempo, capace di sbirciare nella vita di una persona e allo stesso tempo di allargare gli orizzonti su una realtà più grande e balorda. Un film che rimane addosso come gli abbracci stretti che perseguitano Ada. Non è un caso che Aguzarova ci abbia ricordato tanto Ellie di The Last Of Us. Perché con quei suoi occhi grandi e conflittuali ha dato vita a una splendida e indimenticabile sopravvissuta. Non resta che aprire i pugni e applaudire.

Conclusioni

Altro che pugni stretti. Nella nostra recensione di Unclenching the Fists abbiamo applaudito l'ispirata opera seconda di Kira Kovalenko, vincitrice a Cannes 2021 nella sezione Un Certain Regard. Un premio meritato per un dramma familiare soffocante e claustrofobico, in cui viviamo in prima persona la prigionia di una giovane donna ingabbiata da affetti malati.

Movieplayer.it
4.5/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • L'approccio quasi documentaristico dona al film un tocco autentico e coinvolgente.
  • La protagonista Milana Aguzarova è straordinaria nella sua naturalezza.
  • Il senso di oppressione che attraversa tutto il racconto.

Cosa non va

  • Chi non ama un certo tipo di cinema europeo, non apprezzerà i silenzi, i ritmi e la marea di "non detto" presente nel film.