"Che cosa fai?" "Scavo una tomba per le lucciole. Anche la nostra mamma adesso è dentro una tomba, vero?"
Parte dalla fine, Una tomba per le lucciole, introducendo un senso di fatalità che incombe su tutti i novanta minuti del film di Isao Takahata. Parte dal breve annuncio del protagonista, il quattordicenne Seita Yokokawa, un annuncio ineluttabile nella sua natura paradossale: "La sera del 21 settembre 1945, io morii". Accasciato su una colonna della stazione ferroviaria di Sannomiya, il fragile corpo di Seita, divorato dall'inedia, a malapena attira l'attenzione dei passanti, scandalizzati dall'immagine del Giappone trasmessa ai militari americani dai vagabondi che riempiono la stazione. L'incipit di Una tomba per le lucciole non lascia speranze: la tragedia si è già consumata, nell'indifferenza collettiva, e la scatola di caramelle che Saita portava con sé viene scagliata in un prato, rivelando il suo contenuto. L'apertura della scatola segna anche l'unica evasione della realtà, con Saita finalmente ricongiunto allo spirito della sorellina Setsuko.
Le cronache di guerra di Isao Takahata
Si tratta dell'unica concessione al fantastico di un film che, al contrario, si riallaccia alla tradizione del neorealismo, in un'ideale complementarità rispetto alla dimensione magica e fiabesca che già all'epoca caratterizzava la maggior parte delle opere dello Studio Ghibli, a tre anni di distanza dalla sua fondazione. Una tomba per le lucciole, infatti, fa il suo esordio nelle sale giapponesi il 16 aprile 1988, associato in un doppio spettacolo alla nuova pellicola dell'altro fondatore dello studio: Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki. Se nel film di Miyazaki prevalgono l'incanto bucolico e la componente del folklore, declinata in chiave favolistica, Una tomba per le lucciole è una rievocazione, cruda e lucidissima, dello scenario di devastazione delle ultime settimane della Seconda Guerra Mondiale. Ad accomunare le opere di Takahata e Miyazaki, semmai, è la duplice prospettiva legata all'infanzia e all'adolescenza, mediante le due coppie di fratelli e sorelle al centro di entrambi i film.
Lo spunto narrativo di Una tomba per le lucciole deriva dall'omonimo racconto di Akiyuki Nosaka, adattato da Isao Takahata per quello che diventerà il suo primo lungometraggio d'animazione realizzato sotto l'egida dello Studio Ghibli (un anno prima, aveva girato dal vivo il documentario Yanagawa horiwari monogatari) e che, negli anni a venire, sarà canonizzato come il capolavoro del regista. La progressiva riscoperta del film, in particolare presso il pubblico occidentale (con successive riedizioni al cinema, anche con il titolo La tomba delle lucciole), compenserà il suo moderato responso commerciale, legato all'approccio inesorabilmente drammatico adottato da Takahata. Un approccio evidente fin da quel doloroso prologo, a suo modo un'autentica dichiarazione d'intenti, a cui fa seguito una lunga analessi: mentre i fantasmi di Saita e Setsuko sono in viaggio per "tornare a casa", il film ci riporta al 5 giugno 1945, ai bombardamenti dei Boeing statunitensi sulla città di Kobe e alla distruzione degli ultimi residui di armonia familiare dei due ragazzi.
La tomba delle lucciole e la poesia della sofferenza
Una generazione senza futuro
La morte della madre di Saita e Setsuko, il cui corpo ustionato e in fin di vita è appena celato da una coltre di bende, segna l'inizio dell'odissea dei due protagonisti, con Saita pronto ad assumere un protettivo ruolo 'paterno' nei confronti della sorellina. Se lo scenario del film è martoriato dagli effetti del conflitto del Pacifico, Isao Takahata non ha bisogno di portare l'orrore in primissimo piano: il senso di desolazione è insito al racconto stesso, ed evidenziato dall'egoismo, se non addirittura dalla crudeltà, dimostrati dagli adulti. Più che un film di guerra in senso stretto, Una tomba per le lucciole è un film su una generazione abbandonata a se stessa, costretta a una strenua lotta per la sopravvivenza e condannata ad essere strappata di colpo dal mondo dell'infanzia. Si tratta di un tema piuttosto ricorrente nella produzione dello Studio Ghibli (e trattato spesso pure da Miyazaki), e che qui Takahata rimarca attraverso vari episodi: dalla figura severa e anaffettiva della zia alla brutalità del contadino che aggredisce Saita accusandolo di furto.
Se la retorica nazionalista dell'Impero giapponese è in procinto di essere smentita dalla sconfitta militare e dalla resa agli Stati Uniti, Takahata sembra suggerire che la disfatta - morale, in primo luogo - del paese derivi dall'incapacità di prendersi cura dei più giovani, di una generazione letteralmente senza futuro. Impossibilitati ad affidarsi a una civiltà che sta scivolando nel baratro, Saita e Setsuko trovano dunque conforto nell'incanto rasserenante della natura: un idillio simboleggiato dalle lucciole che circondano i due ragazzi in un'aura quasi magica, sulle dolcissime note dell'accompagnamento musicale di Michio Mamiya. Se il percorso dei personaggi è un calvario dall'esito già scritto ("Non è giusto: perché le lucciole muoiono così presto?", si domanda la piccola Setsuko), il rifugio nella meraviglia per quei coleotteri luminosi rimane forse l'unico appiglio in grado di fornire, se non una speranza, quantomeno qualche frammento di bellezza, unica alternativa possibile all'atrocità del reale.