Siamo d'accordo con Alain Parroni quando sostiene che il suo film mette in scena la geografia linguistica della Gen Z, soffermandosi sull'atto cinematografico come omaggio appassionato al cinema indipendente americano, quello dei cieli bassi e delle anime interrotte. Così, lo diciamo subito, in apertura di recensione: Una sterminata domenica non solo mostra il talento lucido del regista, ma ci fa riappropriare di un immaginario ben preciso, in cui si tira in ballo - addirittura - il senso estremo della vita. A proposito di estremità. Per confini e scrittura, l'opera allunga e accorcia la linea d'aria tra Roma e le campagne che si affacciano sul mare, consumate dal cemento e dalle brutture di un mondo immune alla bellezza. Un omaggio, una poesia scarabocchiata su un foglio accartocciato, un ritratto a metà, tra il dolce e lo spietato, tra il fastidio e il disgusto. E, come ogni opera prima, Una sterminato domenica è letteralmente pieno di roba.
Una colorata confusione che non ci molla un attimo, sorprendendo per tecnica e per coraggio, facendo delle immagini in stile Lomographic il tratto distintivo di un racconto che parte e finisce con le nuvole. Sono le nuvole, tra la terra e la maturazione dei protagonisti, a cambiare le ombre e i gesti. Ecco, asciugando la sceneggiatura, e arrovellandosi sulla folgorante estetica, Alain Parroni racconta storie inquadrando angoli di cielo, onnisciente presenza che avvolge i protagonisti e la miserabile quanto poetica cornice. Citando Andrea Arnold e American Honey, che per Parroni, almeno secondo la nostra recensione, diventa il punto di contatto, la diretta ispirazione. Come nell'Oklahoma delle illusioni e delle province, tra perdenti e sogni ingombranti, Una sterminata domenica, presentato a Venezia 80, rivede il senso della vita alternando le domande emblematiche, e affidando le risposte ad un tenero cinismo che viaggia a bordo di una Punto cabrio senza benzina.
Una sterminata domenica, la trama del film: tra Roma e il cielo
A bordo di quella Punto, nel mezzo di un nulla a metà strada tra il Vaticano e il litorale, dove l'erba si mescola all'asfalto, girano senza un'apparente logica Brenda (Federica Valentini), Alex (Enrico Bassetti), e Kevin (Zackari Delmas). Brenda è incinta, sta con Alex, che ha appena compiuto diciannove anni, e intanto Kevin, sedici anni, sprezzante e fiero, arrogante e sperduto, gira con una bomboletta spray imbrattando tutto e tutti (perfino un papavero rosso, simbolo politico che si tinge di un nero lucido).
Brenda, Alex e Kevin, un trio di ragazzini che il cinema americano ha raccontato tante volte, in quei coming-of-age in cui l'orientamento della crescita era una questione di soundtrack. Invertendo il campo, Parroni si connette a loro, seguendoli passo dopo passo. Brenda, Alex e Kevin cercano di resistere, coscienti che il tempo è adesso, che la vita va divorata prima di diventare "brutti e vecchi" come quei genitori che non esistono nell'architettura narrativa delineata da Parroni, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Giulio Pennacchi e Beatrice Puccilli, mentre il film è prodotto, nientemeno, da Wim Wenders.
"Qua è 'na girata de' culo"
Del resto, "meglio giovani e belli che rincoglioniti". Perché, di rabbia e di noia, Una sterminata domenica è un disfunzionale manifesto filosofico, spietato nel rappresentare un mondo che gira su sé stesso, tra uno scrolling su Instagram e una sigaretta fumata strizzando gli occhi. E poi ancora e ancora il cielo, che sembra quello del Texas, tra l'azzurro cobalto e il bianco di una nuvola che sfugge. Come sfugge la consapevolezza di una possibile responsabilità, che tra gioco e serietà mette su il pensiero di una paternità vissuta come "una cosa importante, qualcosa che lascia il segno". E il segno, secondo i personaggi di Parroni, lo puoi lasciare in due modi: "o con l'amore, o co' du' calci". Eccola la filosofia, quella della strada, della bella giovinezza, che si fugge tuttavia. Perché "di doman non c'è certezza", e dunque prima che finisca bisogna lasciare il segno, imprimere e comprimere. Se il giro di Alex, Kevin e Brenda pare girare a vuoto, è invece propedeutico alla loro irrealizzazione, vogliosi di esserci, di appartenere.
Un giro a vuoto capace di definirli, fotografati da Alain Parroni con l'occhio di chi, la macchina da presa, sa come usarla. Brenda, che fuma come Greta Garbo, mentre le foto di una vita lontana riprendono vita in una scatola di ricordi, aperta e richiusa ad ogni ruga che spunta. O come la splendida sequenza dei baci romani: photobombing per giocare all'amore, tramutato nel regista in un incredibile atto di cinema (ad aiutarlo la colonna sonora di Shirō Sagisu). Tutto giusto, tutto corretto? Non c'è dubbio che Parroni possieda una certa bravura, tuttavia, come i suoi personaggi, nella parte centrale del film colora fuori dai bordi, spingendo il tratto fino a bucare la carta. Una spinta data dal talento, e dalla consapevolezza di avere una splendida concezione visiva. Se il sovradosaggio è palese (con alcune aggiunte che sembrano orpelli), seguendo l'istinto di tre ragazzini figli della strada, le stesse storture potrebbero essere un ulteriore punto di interesse, sconquassandoci con una durata eccessiva che ci porta alla relativa maturazione dei protagonisti (facendoci apprezzare, e molto, il film). Perciò, nella sua fulgida e coerente visione, sospesa tra le nuvole e il mare, il regista insegue la stessa meta di Brenda, di Kevin, di Alex. Del resto, bisogna darsi una mossa, "che qua è 'na girata de' culo".
Conclusioni
Alain Parroni è innegabilmente bravo, nel dirigere, nel seguire i personaggi, nel concepire lo spazio cinematografico. Come scritto nella nostra recensione, Una sterminata domenica è un film che vive a ridosso del percorso dei tre protagonisti, immortalando un percorso che fotografa con lucidità la dimensione disgraziata di una generazione in constante lotta per guadagnarsi un posto nel mondo.
Perché ci piace
- La regia.
- Lo scenario.
- La bravura dei tre protagonisti.
Cosa non va
- Troppo lungo, e una parte centrale che gira su se stessa.