"È una storia in bilico tra la Commedia all'Italiana e il dramma shakespeariano". Così Domenico Procacci, sorprendente regista della docuserie Una squadra, parla dell'Italia del tennis degli anni Settanta, quella che si giocava ogni anno la finale di Coppa Davis. La squadra era formata da quattro giocatori, quattro campioni: Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Adriano Panatta, Tonino Zugarelli. Più il capitano non giocatore Nicola Pietrangeli. "Abbiamo giocato su questa cosa, in loro 4 si possono trovare delle caratteristiche degli attori della Commedia all'Italiana" ha raccontato Domenico Procacci in occasione del lancio della docuserie (uscita, sotto forma di film, anche per tre giorni al cinema) qualche settimana fa, alla Casa del Cinema a Roma. "Adriano Panatta è come Vittorio Gassman, Paolo Bertolucci come Ugo Tognazzi, Tonino Zugarelli come Nino Manfredi e Corrado Barazzutti come Stefano Satta Flores. Corrado è rigido e compassato nelle interviste, ma in tutti i fuori onda non lo è per niente. È un po' il personaggio che si è scelto". Il risultato, come potete immaginare da queste parole, è davvero irresistibile. La docu-serie Sky Original Una Squadra, prodotta da Fandango, Sky e Luce Cinecittà, dopo il passaggio al cinema arriva in tv su Sky Documentaries dal 14 maggio alle 21.15, ed disponibile anche on demand e in streaming su NOW. I primi due episodi di Una Squadra saranno in onda anche su Sky Sport Uno domenica 15 maggio, subito dopo la finale degli Internazionali d'Italia.
Una storia che non ha conflitti non è una storia interessante
Dal 1976 al 1980 l'Italia è la squadra da battere. In quei cinque anni i nostri raggiungono la finale quattro volte, vincendo solo nel '76 contro il Cile. Le finali raggiunte ma poi perse sono nel '77 contro l'Australia, nel '79 contro gli USA e nell'80 contro la Cecoslovacchia. Nel '76 e nel '77 la squadra ha come capitano non giocatore una leggenda del tennis italiano, Nicola Pietrangeli, ritiratosi dall'attività agonistica solo da pochi anni. Pietrangeli verrà esonerato dai suoi giocatori dopo la sconfitta del '77 in Australia. Lo considera il più grande tradimento subito nella sua vita. "Ho pensato che ci fosse una bella storia da raccontare" ci ha spiegato Domenico Procacci. "All'inizio pensavo alla vittoria in Cile e a tutto quello che c'è stato attorno. Ma volevo approfondire di più". "Hanno vinto tanto, e sono loro quattro" continua. "Già dal punto di vista sportivo è un racconto che non è stato ancora fatto. Ci si ferma sempre al '76. Ma a me ha divertito raccontare loro quattro, i rapporti tra loro e i rapporti con Nicola Pietrangeli. Lui è a volte il protagonista, a volte è l'antagonista. Quando sono partito ho anche giocato a cercare i contrasti. Una storia che non ha conflitti non è una storia interessante. Quando parlavo con Adriano tenevo le parti di Nicola, cercavo di provocare queste reazioni e di far venire fuori i conflitti". È una scelta riuscita. Perché, incalzati abilmente nelle interviste, i nostri eroi riescono a far uscire delle reazioni umane, sincere, divertenti. Che il montaggio mette in relazione tra loro, creando quella Commedia all'Italiana di cui parlavamo all'inizio.
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Ho pensato a uno scherzo telefonico
E la Commedia all'Italiana continua anche finita la proiezione, in platea, perché i quattro "amici miei" sono così, una volta insieme si stuzzicano e si divertono. "La prima volta che mi ha chiamato Domenico Procacci ho pensato a uno scherzo telefonico" ricorda Paolo Bertolucci. "Pensavo a una persona che si spacciava per Domenico Procacci e l'ho lasciato parlare. Ho chiamato subito Adriano e ho detto: 'hanno chiamato anche te, o è uno scherzo?' 'No, non è uno scherzo' mi ha risposto. Mi sembrava strano che tornasse fuori questa storia, non c'era stato mai stato un ventennale, un trentennale della vittoria in Coppa Davis. Non ci eravamo più rivisti".
L'ultimo tennista da serve and volley
"La cosa più importante è che ci siamo riuniti, ci siamo quasi rimessi insieme" aggiunge Adriano Panatta, vero mattatore nella docuserie e in conferenza stampa. "Ci eravamo persi di vista, ognuno faceva il mestiere in città diverse e non c'erano state occasioni per commemorare questa vittoria; non lo faceva nessuno. Ho avuto occasione di conoscere Domenico, e il suo talento tennistico, abbiamo passato qualche serata insieme. raccontavo qualche aneddoto. E lui aveva carpito che c'erano delle storie divertenti". "La passione per il tennis, più che una passione è una malattia" scherza Panatta. "Lo ama forse più di Kasia (Smutniak, la compagna di Procacci, ndr). Ed è rimasto l'ultimo tennista da serve and volley".
Un film che rende giustizia a un risultato del quale si sta ancora parlando
"Domenico mi ha cercato tramite un amico, mi disse che voleva incontrarmi" ricorda Corrado Barazzutti. "È venuto e l'ho fatto giocare a tennis, e mi ha chiesto se ero interessato a fare questa cosa. E ho detto no, subito". "Ci siamo rivisti dopo un anno e ho pensato che, anche se non mi piace ritornare al passato, lo avrei fatto. Probabilmente avendo passato un bellissimo periodo, una bellissima vita, diversa da tante altre persone ritornare indietro mi rende più triste che contento. Ma è stata una decisione giusta: fare questa docuserie è stata una delle cose migliori. Ci siamo allontanati per tanto tempo e sono particolarmente contento perché questa docuserie è stata importante per questo nostro rapporto che si è ricucito siamo insieme, una squadra, con un film che rende giustizia a un risultato del quale si sta ancora parlando. Fu un grande risultato ma non se ne parla molto". "Siamo stati molto fortunati, abbiamo incontrato una grande persona come Domenico" aggiunge Tonino Zugarelli. "Grazie Domenico".
Una vittoria dimenticata
La vittoria dell'Italia in Coppa Davis è uno strano caso nel mondo dello sport. È una vittoria storica, che però negli anni è stata quasi dimenticata. "In tutti i tornei più importanti del mondo una vittoria come la nostra viene ricordata, celebrata" riflette Paolo Bertolucci. "I giocatori che hanno vinto una Coppa Davis vengono celebrati tutti gli anni, gli viene fatto uno spazio. Succede in tutto il mondo. Non succede qui in Italia, nel torneo più importante nel che abbiamo, il Foro Italico. Sarebbe bello che arrivasse una lettera d'invito, che ci fosse uno spazio dove i giovani potessero vedere le fotografie, i film". Adriano Panatta ha le idee ben chiare sul perché questa vittoria sia stata poco, o mai celebrata. "Prima della finale in Cile c'è stata una presa di posizione di intellettuali italiani" spiega l'ex tennista. "Dario Fo, Franca Rame, Domenico Modugno avevano influenzato l'opinione pubblica sul fatto che non andassimo in Cile. questa influenza è rimasta anche dopo la vittoria. E molti media hanno abbandonato il fatto di poter celebrare una vittoria in una cera maniera. Ricordo gli articoli dopo la vittoria su certi giornali. E questa cosa è durata negli anni".
A Roma La maglietta rossa con Calopresti e Panatta
La maglietta rossa
Una larga parte dell'opinione pubblica, lo sappiamo, non voleva che l'Italia del tennis andasse a disputare la finale in Cile, dove all'epoca c'era la sanguinosa dittatura del regime fascista di Pinochet. La nostra squadra di Davis alla fine ci andò. E, durante la partita di doppio, nel secondo giorno di gare, ci fu un atto di protesta contro i delitti del regime. Lui e Bertolucci, nella gara di doppio, indossarono una maglietta rossa. Al momento non se ne accorse nessuno: i giornalisti non ne scrissero, e in tv la partita si vide in bianco e nero. "Quella di indossare la maglietta rossa è una scelta che abbiamo fatto io e Paolo Bertolucci personalmente" racconta Adriano Panatta. "Non l'abbiamo condivisa con nessuno. Il capitano e la federazione non se ne sono accorti. La stampa o se n'è accorta e non ha detto niente, che è gravissimo. O non se n'è accorta, ed è altrettanto grave. Non se n'è accorto nessuno neanche dopo una settimana. E non è mai successo che nessuno abbia fatto una domanda sulla maglietta rossa per 35 anni".