Una guerra filosofica
Tratto dall'omonimo romanzo di James Jones, La sottile linea rossa è uno dei migliori film degli anni novanta, un capolavoro che non ha avuto il trattamento che meritava. Il 1998 è l'anno di Salvate il Soldato Ryan. Si può dire che l'enorme successo spielberghiano abbia in qualche modo eclissato il film di Terrence Malick, anche se, da un punto di vista strettamente artistico, è La sottile linea rossa a vincere il confronto con il Soldato Ryan, che rimane comunque un'opera dal grande valore antimilitaristico, con quei famosi venti minuti iniziali entrati di diritto nella storia del cinema. Ma La sottile linea rossa, oltre a disapprovare la guerra, si pone quesiti di carattere filosofico e teologico, esamina il conflitto interiore di ogni soldato, e lo fa in modo pacato e riflessivo. La sua peculiare lentezza ha contribuito non poco ad alimentare quel luogo comune secondo il quale si tratta di una pellicola noiosa e pesante. Il che è del tutto errato. La sottile linea rossa è sì un film dai contenuti non facili, ma è soprattutto un film intenso e indimenticabile, che regala profonde emozioni. La sua bellezza non è stata riconosciuta neanche dall'Academy: tante nomination all'Oscar (ben sette), ma nessuna statuetta. Una vera debacle nell'anno in cui ad ottenere l'ambito premio di Miglior Film è stato il godibile Shakespeare in Love. Vittoria, comunque, dell'Orso d'Oro al Festival di Berlino.
Il cast è senza dubbio straordinario:Sean Penn e Nick Nolte spiccano per bravura, ma non dimentichiamo i vari James Caviezel, John Cusack, Adrien Brody, Ben Chaplin, e le piccole apparizioni di John Travolta e George Clooney. Ottima la caratterizzazione dei personaggi. Malick si addentra nell'intimità di ogni soldato, esamina le sue paure, i suoi pensieri, le sue riflessioni. Witt, interpretato da James Caviezel, è un soldato tranquillo che non ha paura della morte. Una tranquillità che deriva dalla sua grande fede e speranza nell'aldilà, in un secondo mondo che si concretizza, ma solo temporaneamente, all'inizio del film, in un'isola abitata da un popolo primitivo. Qui Witt vive in armonia non solo con la gente del luogo, ma anche con la natura. Lo si vede giocare e divertirsi con i bambini, lo si vede sorridente, nelle acque calme del Pacifico, a contemplare il cielo. Questo è il paradiso che ha sempre immaginato. Una felicità momentanea, però, perché egli è costretto ad adempire ai suoi doveri di soldato e a partecipare alla battaglia di Guadalcanal, che è l'episodio centrale del film.
Il sergente maggiore Welsh (Sean Penn) è l'opposto di Witt: ha una visione completamente pessimistica della vita, non crede nell'aldilà ma nella solitudine dell'uomo sulla terra, nella consapevolezza che ognuno debba badare a se stesso. Completano il quadro il tenente colonnello dal pugno di ferro Tall (Nick Nolte), il capitano Staros (Elias Koteas), e il soldato Bell (Ben Chaplin), che introduce la tematica dell'amore all'interno del film, attraverso la figura della moglie Marty. L'amore visto come una grande forza che, in mezzo a tanto odio, rimane, seppur in modo esiguo, come una fiammella che sprigiona calore, lungi dal cessare. Un altro tema importante è quello dell'instabilità dell'esistenza umana. La vita di ogni soldato è appesa ad un filo, ad una linea sottile, che si tinge di rosso, il colore del sangue, e che minaccia di spezzarsi da un momento all'altro. La tragica e assurda morte del sergente Keck ne è la triste conferma. Le scene di battaglia, magnificamente girate da Malick, sono di grande impatto per lo spettatore, così come la sofferenza dei soldati sul punto di morire e la disperazione dipinta negli occhi dei giapponesi è veramente straziante. Il tutto è volto a farci aprire gli occhi circa l'inutilità della guerra, che contribuisce a fare dell'uomo un cane rabbioso, a costringerlo a compiere azioni che in situazioni di normalità non compierebbe. Protagonista non 'accreditata' del film è la natura, la cui bellezza è palesata da splendide inquadrature di paesaggi e di animali. La narrazione è sempre piena di poesia, come d'altronde l'immagine finale, metafora malinconica della solitudine.
Sarebbe un crimine non citare, infine, la splendida colonna sonora del compositore Hans Zimmer.