Dopo aver debuttato nella sezione Panorama della Berlinale 2022, dal 17 febbraio è nelle sale italiane Una femmina, opera prima di Francesco Costabile, cineasta calabrese che per il suo esordio ha tratto ispirazione dal libro di Lirio Abate (anche co-sceneggiatore) sulle donne vittime della 'ndrangheta. Entrambi erano presenti, durante il festival berlinese, a un incontro con la stampa italiana, insieme ai produttori e all'attrice Lina Siciliano, interprete della giovane protagonista Rosa. Particolarmente divertente una rivelazione di Costabile circa il momento in cui ha deciso di darsi al cinema, chiarendo anche l'origine delle atmosfere parzialmente horror del suo film: "Da bambino sono stato traumatizzato da Mediaset, vedendo in televisione Twin Peaks. Sono del 1980, quindi avevo dieci-undici anni all'epoca. Quando ho letto il nome di David Lynch ho capito che volevo diventare regista. E il film, che ho visto in VHS qualche anno dopo, è uno dei miei preferiti. Non ci ho pensato mentre giravo, ma poi ripensando ai vari riferimenti visivi c'è Lynch, ma ci sono anche Pasolini e Visconti."
Rosa contro il patriarcato
Francesco Costabile ha voluto portare sullo schermo il libro di Lirio Abate principalmente per due motivi. "In primo luogo", spiega, "perché sono calabrese; in secondo luogo, perché le questioni femminili e di genere mi sono sempre state a cuore. Sono molto sensibile alle questioni dell'autodeterminazione. È un film che politicamente mi apparteneva." C'è anche del personale. "Nel mio vissuto ho dovuto lottare per affrancarmi da certi modelli patriarcali, stereotipati, di genere", aggiunge Costabile, che si identifica come persona non binaria. "Anche sulla mia pelle, negli anni Ottanta e Novanta, ho sentito questa cappa oppressiva. È anche la storia di queste donne, ovviamente traslata in un altro universo, in una realtà diversa dalla mia. È un tema che può parlare a tantissime persone." E parla attraverso Lina Siciliano, che con Una femmina ha realizzato il sogno di vita: "La recitazione è un desiderio che avevo sin da bambina. Ringrazio tutti della produzione e Francesco per avermi dato questa opportunità." E nel suo caso l'elemento famigliare è diventato parte integrante dell'esperienza sul set: "Mio figlio aveva tre mesi quando abbiamo iniziato le riprese, e tra una poppata e l'altra mi dava il mio carico di energia. È il mio uomo, e spero di crescerlo come un esempio di vita."
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Realtà e catarsi
Commentando la componente tragica del film, intesa come operazione drammaturgica, Francesco Costabile chiarisce la sua idea di cinema e di arte in generale: "È una questione di catarsi. Nell'arte non basta la realtà, bisogna lavorare su un immaginario, sugli archetipi, e allora si smuove qualcosa. Per me i film realistici sono quelli che emozionano." E proprio in questo caso, per motivi legati all'immaginario, c'è una piccola ma importante licenza poetica: "La processione di sole donne, velate, non è un'usanza calabrese, ma pugliese, per l'esattezza a Canosa, in provincia di Bari. È un'immagine di una potenza pazzesca, una forza collettiva micidiale. Non è una tradizione calabrese, anche se in passato esisteva nella zona." E a proposito di immaginario, non ritiene che fare film su questo mondo contribuisca a un'idea stereotipata e negativa dell'Italia, senza risolvere il problema? "No, non credo che fare film sulla 'ndrangheta peggiori la situazione, anzi. Però dipende da come lo si fa. E sono fiero di aver fatto un film fortemente legato alla Calabria, con una protagonista calabrese e maestranze calabresi."