A bordo di un pulmino scalcagnato e animato da un profondo desiderio di rivalsa, Richard Williams è convinto che le sue figlie un giorno "sconvolgeranno il mondo". È lui il "re" citato dal sottotitolo del film, mentre le ragazze destinate a rivoluzionare il mondo del tennis (come potrete leggere in questa recensione di Una famiglia vincente in sala dal 13 gennaio) sono Serena e Venus Williams, le due tenniste probabilmente più forti di sempre. Dirige Reinaldo Marcus Green che al cinema ha alle spalle due progetti come Monsters and Men (presentato al Sundance del 2018) e Joe Bell del 2020 prodotto da Jake Gyllenhaal e Cary Fukunaga; titoli che rivelano un'identità precisa insieme ai primi episodi della serie Top Boy, da lui diretti. Qui a produrlo ci pensa Will Smith che si ritaglia anche la parte del protagonista, quel King Richard profetico e determinato che sarà la fiamma delle sorelle Williams, coinvolte nel progetto come produttrici esecutive. La storia che ne viene fuori non è tanto la parabola sportiva delle due leggende del tennis, quanto il ritratto celebrativo di un uomo che per loro fu tutto: padre-padrone, allenatore, motivatore, agente. Ingombrante, contraddittorio, ma determinato come solo i sognatori sanno esserlo.
Una storia di dedizione e riscatto
"Chi sta con le mani in mano può solo sognare" si ostina a ripetere alle proprie figlie Richard Williams, mentre le accompagna ad allenarsi sui campi abbandonati di Compton, in California. Una famiglia vincente - King Richard è in fondo l'epopea di un sognatore che sotto la pioggia e il sole si ostinerà ad allenare a colpi di racchettate e palle sgonfie le appena adolescenti Serena e Venus Williams. Tutto intorno si stringe la rumorosa famiglia Williams: cinque sorelle, un padre Richard cresciuto nella zona segregazionista della Louisiana e incline a pianificare tutto, e una madre Oracene, che le seguirà sui campi allenandole, inventando strategie e provando tattiche di gioco, sempre in prima linea sugli spalti. Sono gli anni '90 e essere un nero in America a quel tempo poteva voler dire solo due cose: finire nella gang di quartiere o peggio ancora essere arrestati e subire le violenze di un corpo di polizia corrotto e profondamente razzista. I coniugi Richard faranno di tutto per strappare quelle ragazzine al destino della strada e al classismo dei bianchi regalando loro il sogno impossibile di "rappresentare ogni ragazzina nera di questo pianeta".
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Il film ha un impianto molto convenzionale e la parabola sportiva è solo un pretesto per raccontare l'ennesima storia di dedizione, sacrificio, abnegazione e riscatto in uno dei paesi più ricchi di contraddizioni al mondo. A tener banco è il ritratto a tratti mistificatore di Richard Williams, una narrazione che procede a colpi di motti ("se non hai un piano il tuo piano è fallire") e frasi motivazionali ("questo mondo non ha mai avuto rispetto per Richard Williams, ma a rispetterà voi"), che relega in secondo piano il racconto e le sfide delle due sorelle.
Will Smith è Richard Williams, sognatore impavido
Nelle oltre due ore di film lo spettatore assisterà alla battaglia privata di un uomo contro il mondo classista del tennis, uno sport per bianchi e giocato da bianchi (Venus sarà la prima afroamericana a occupare la vetta nel ranking mondiale dell'Era Open); dentro ci finisce la questione razziale che sottende all'intera operazione e trova spazio anche quella femminile (Oracene si rivolge alle proprie figlie dicendo "la creatura più potente, feroce e pericolosa sulla terrà è una donna che sa pensare"): se Richard è il "king", Oracene è senz'altro la "queen" che non si accontenta di assecondare la caparbietà spesso irrazionale del marito. Mentre sfilano le figure dei numeri uno dell'epoca da John McEnroe a Jennifer Capriati e Rick Macci, a dominare lo schermo è la figura di "re Richard", raccontato nella sua ostinata propensione a programmare qualsiasi cosa, compresa l'entrata delle due figlie nell'Olimpo del tennis.
Lo aveva pronosticato in un piano lungo settantotto pagine che programmava ogni tappa della loro carriera, passo dopo passo. Will Smith ne assume movenze e accento, facendosi autore di una performance che lo ha già visto conquistare un Golden Globe. Una interpretazione che convincerà il pubblico lentamente, realizzata secondo i canoni del trasformismo hollywoodiano, esaltato alla fine del film dal confronto con il vero Richard Williams che appare in alcune immagini repertorio: la somiglianza è strabiliante. Tutto sommato un racconto onesto costruito secondo le regole del genere, e che affida a una delle battute finali tutto il suo senso: "siete da dove venite".
Conclusioni
Alla fine della recensione di Una famiglia vincente rimane la sensazione di aver assistito all’ennesima storia americana di dedizione, sacrificio, abnegazione e riscatto. Il ritratto di Richard Williams spesso eccede nei toni celebrativi, mentre la parabola sportiva delle sorelle Williams finisce quasi in secondo piano. Va meglio quando prevale l’idea di voler raccontare la determinazione e l’ingenua caparbietà del sognatore. In quei passaggi il film riacquista un senso.
Perché ci piace
- Una classica storia di abnegazione, sacrificio e riscatto.
- La trasformazione di Will Smith in Richard Williams si prende tutto il tempo necessario per convincere lo spettatore: alla fine l’attore scompare nelle sue movenze e non si potrà non credergli.
Cosa non va
- Il racconto pur nella sua onestà non riesce a sganciarsi da un andamento convenzionale.
- Ci si sarebbe aspettati un maggiore spazio della narrazione della parabola sportiva delle sorelle Williams, sacrificata a favore della figura del padre.