Siamo reduci da un weekend in cui si è celebrata la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne (qui i nostri 5 consigli di visione a tema) e in cui varie manifestazioni in tutta Italia hanno provato a ricordare a tutto il Paese che non ci sono minuti di silenzio da fare per la morte di Giulia Cecchettin insieme a tutte le altre 105 vittime di femminicidio, ma piuttosto bisogna urlare a squarciagola i loro nomi e le loro storie, farsi sentire per provare a evitarle in futuro. È un po' su questa base che proveremo a dare la nostra spiegazione del finale di Una famiglia quasi normale, la nuova serie Netflix originale svedese che ha rapidamente scalato la Top 10 di Netflix già nel primo weekend dato l'argomento trattato, che è appunto quello al centro degli ultimi giorni sul suolo italiano.
Tutta la verità
La verità è sicuramente il tema al centro del finale di Una famiglia quasi normale, dato che arriviamo al processo fatto dallo Stato alla protagonista Stella (Alexandra Karlsson Tyrefors) per accusarla dell'omicidio di Chris Olsen (Christian Fandango Sundgren). Più che in altre occasioni di serie crime e procedurali simili, poiché è proprio la verità che è stata inizialmente taciuta quattro anni prima quando la ragazza fu violentata, adolescente e minorenne, da un insegnante durante una gita al campeggio e la madre, abituata ad avere a che fare con la legge ogni giorno, le sconsigliò di denunciare l'accaduto poiché nessuno le avrebbe creduto e l'avrebbero messa alla gogna mediatica. La (presunta) vittima piuttosto che il (presunto) aggressore, come purtroppo accade spesso e come già ci aveva insegnato Unbelievable sulla piattaforma.
Ora il cerchio si chiude, la storia rischia di ripetersi ma ancora una volta sarà la madre Ulrika (Lo Kauppi) ad essere determinante per la riuscita del processo. La sua idea infatti parte dalla scoperta che la migliore amica di Stella, Amina (Melisa Ferhatovic), testimonierà al processo per raccontare che Chris aveva provato a stuprarla una volta incontrata e portata a casa quella fatidica notte. Lui l'aveva raggiunta al locale dove sapeva avrebbe dovuto vedersi con Stella, millantando di aver sempre preferito lei all'amica, proprio come un predatore. Questo serve per fornire alla giudice un altro possibile colpevole (e movente), che non fosse quello della gelosia nei confronti dell'amica da parte di Stella.
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La storia si ripete
Amina denuncia ciò che Stella non era stata capace di fare a suo tempo, in tribunale, davanti a tutti, e nel farlo denuncia anche quanto accaduto all'epoca alla migliore amica, tenuto per troppo tempo sotto silenzio, a dimostrazione di un sistema che non funziona come dovrebbe. A quel punto la giudice non può ritenere oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza della protagonista e questo la proscioglie da tutte le accuse. Finalmente è libera e può provare a ricominciare per davvero, magari lontano, in quel famoso viaggio che aveva tanto desiderato fare per il diciannovesimo compleanno. Parallelamente per tutta la famiglia Sandell si tratta di un possibile nuovo inizio. La madre Ulrika lascia definitivamente l'amico avvocato, che ha assistito Stella durante tutte le fasi del processo, con cui aveva avuto una relazione extraconiugale, e prova a riavvicinarsi al marito Adam (Björn Bengtsson), che a propria volta lascia momentaneamente la Chiesa.
L'uomo non vuole sapere dalla moglie che cosa sia davvero successo quella fatidica notte della morte di Chris, ma saranno dei flashback da comporre insieme a svelarlo agli spettatori. È stata davvero Stella ad uccidere il predatore una volta scoperto mentre tentava di stuprare Amina, per poi fuggire con lei dopo averlo colpito con lo spray al peperoncino che aveva sempre in borsa, rompendo un vaso e cospargendo di vetri il pavimento. Una volta fuori nel parco, le due vengono raggiunte dall'uomo e lei lascia l'impronta della scarpa nella pozzanghera. A quel punto lo ferisce a morte con il coltello recuperato nella fuga da casa del ragazzo, per poi farlo sparire d'accordo con la migliore amica. "Non ci sarà la legge a difenderti, quindi devi farlo da sola" sembra dirci il finale di Una famiglia quasi normale, un monito che risuona prepotente nelle nostre orecchie in questi giorni in cui un caso che sarebbe potuto finire altrimenti come quello di Giulia Cecchettin sta portando alla luce svariati comportanti discutibili - per non dire deprecabili - della Polizia di Stato nei confronti delle (presunte) vittime di violenza che provano a denunciare i propri aggressori. La fiction supera la realtà che supera la finzione, ancora una volta.