Una classe per i ribelli, la recensione: la rivoluzione dell'essere se stessi

La recensione di Una classe per i ribelli, il nuovo film di Michel Leclerc dove i pregiudizi vengono attaccati con l'arma della risata.

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Una classe per i ribelli: una scena del film

"Tu devi dire sempre quello che pensi. È questo essere ribelli" ricorda Paul al figlio Coco. La libertà di pensiero, la stessa di condividere la propria fede, credo, ideali, differenze e uguaglianze, che tanto anima la posizione politica e ideale della famiglia al centro di Una classe per i ribelli, alla fine si rivela essere un boomerang pronto a colpire i suoi membri in pieno volto. L'ipocrisia di una fetta di cittadini medio-borghesi, sostenitori della mescolanza cosmopolita, pronti a sottolineare il proprio pensiero di uguaglianza interculturale, si mostra nelle fragilità e debolezze che vivono nascoste sotto strati epidermici di questi testimoni dell'accettazione. Come potrete leggere nella nostra recensione di Una classe per i ribelli, combinando commedia caustica e disinibita, analisi sociale e messaggio politico, il regista di Nom des gens, Michel Leclerc, non ha paura di spogliare questi microuniversi domestici vestiti di manifesti che tanto promettono e ostentano, per poi cadere in quelle stesse paure da loro combattute. Il cineasta lo fa con eleganza, con la forza del sorriso per nascondere un attacco a pieno petto alla società da cui lui stesso è stato modellato.

IL TRASFERIMENTO NELLE BANLIEUE

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Una classe per i ribelli: Edouard Baer, Leïla Bekhti in una sequenza

Sofia (Leïla Bekhti) e Paul (Eduard Baer) sono una coppia affiatata e anticonvenzionale: lei un avvocato di successo di origini magrebine, lui batterista punk in perenne lotta con il sistema. I due decidono di trasferirsi nella banlieue parigina, precisamente a Bagnolet, per crescere loro figlio Corentin (Tom Levy) a contatto con la diversità culturale. Un piano ben congegnato, che scorre senza intoppi, almeno fino a quando molti dei migliori amici del piccolo Coco lasciano la scuola pubblica per iscriversi ad un istituto privato. Una scelta sofferta, ma dettata soprattutto dalle pessime condizioni sia strutturali, che didattiche in cui verge la scuola di Jean Jaurès. Sofia e Paul tentano il tutto per tutto pur di rendere più facile la vita di Corentin a scuola, ma ciò a cui nulla possono è la cattiveria di alcuni compagni che insidieranno nel piccolo un senso di malessere tale che spingerà i due protagonisti ad andare contro i propri principi, abbassandosi alla legge del denaro e del benessere.

LA RIBELLIONE DI ESSERE SE STESSI

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Una classe per i ribelli: Edouard Baer, Leïla Bekhtiin una scena del film

È il ricordo biografico di esistenze vissute entro i credi di sinistra ad aver nuovamente ispirato il regista Michel Leclerc e la sua compagna Baya Kasmi per dar vita sotto forma prima di sceneggiatura, e poi di pellicola, a un intreccio capace di parlare con semplicità e leggerezza di un tema tanto delicato, quanto scomodo, come quello che unisce integrazione, bullismo, laicità e paura del terrorismo. Cuore pulsante di universi pronti a collimare, è quel luogo così tante volte immortalato dalle cineprese dei registi francesi per quell'alito di realismo e formazione infantile che in esso si respira: si tratta degli istituti scolastici di periferia, un luogo caro e prediletto per ammantare di realismo la storia narrata perché facilmente riconoscibile dal proprio pubblico che ritrova pezzi di sé tra muri incrostati, maestri sull'orlo di crisi di nervi, bambini emarginati per il colore della pelle o per il proprio credo religioso. Eppure, un canovaccio così ampiamente collaudato nella sua narrazione, conosce in questo caso un cambiamento netto, ritrovando nel protagonista vittima di insulti e allontanamenti non più il piccolo figlio di una famiglia povera, o di origini medio-orientali, quanto "Il bianchetto fragile" di una famiglia agiata che ostenta i suoi credi comunitari pronti a sottostare alla legge del vile denaro quando sul piatto viene messa l'incolumità del proprio piccolo. Da bambino felice, Coco inizia a sentirsi emarginato per non avere alcuna religione e per essere l'unico bianco in una scuola dalle mille sfumature della pelle.

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Una classe per i ribelli: Leïla Bekhti in una scena del film

Per quanto duro e crudo all'apparenza, il filtro politico-sociale viene perfettamente edulcorato da quella visione poetica e umoristica che tanto riveste molte delle commedie nate in territorio d'Oltralpe. A sostenere il peso dell'opera è soprattutto un cast ottimamente in parte, dominato da un Eduard Baer che fa del suo Paul un anarchico vestito con giacca di pelle come simbolo identificativo del suo spirito ribelle, una sempre ottima Leila Bekhti (vista recentemente nella serie TV creata da Damien Chazelle, The Eddy) e il piccolo Tom Levy, al suo debutto cinematografico. Sebbene viri verso un epilogo riconciliante e fiabesco, la sceneggiatura firmata Kasmi e Leclerc vanta un giusto compromesso tra ironia e attacchi impliciti verso un mondo attaccato su vari fronti, con l'arma del pregiudizio, razzismo e lotta di classe. Ciò che ne risulta è un film sintomatico del contemporaneo, dove dietro la risata si cela una finestra sul presente, di mondi impossibili da congiungersi se forzati ad attrarsi da forze basate sull'ostentazione di ideali costantemente ripetuti a livello teorico, ma nei quali non ci si rispecchia più da un punto di vista pratico e psicologico. A finire alla berlina sono dunque i prodotti del nuovo immaginario sociale e mass-medialogico, qui impiegati dal regista per attaccare i propri spettatori al cuore dei propri vizi e virtù, debolezze e fragilità, pregiudizi nascosti, o implicitamente espressi.

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L'UGUAGLIANZA NON HA COLORE, O IDEALE

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Una classe per i ribelli: Edouard Baer, Leïla Bekhtiin un'immagine

La voglia di inclusione e la necessità di sorvolare le divergenze culturali, vero cancro della nostra società, affida tutto il proprio potenziale simbolico a inquadrature ampie, tra campi lunghi e totali. Ciò che ne risulta è una sfilza di quadri collettivi entro cui includere quante più persone possibili, testimoni di un modus vivendi tanto differente, eppure così simile l'uno dall'altro. Non c'è alcun sintomo di autorialità esacerbata nel film di Leclerc, ma questo non significa che a vivere in ogni dettaglio non ci sia anima, quanto la voglia di lasciare che a vivere sullo schermo sia la storia stessa, senza abbellimenti e orpelli virtuosistici. Nulla deve distrarre lo spettatore dall'importanza sociale che batte nel sottosuolo dell'opera. Così facendo il regista riesce a orchestrare con facilità i diversi sub-plot che prendono forma dal nucleo centrale di Una classe per i ribelli, affidando a ognuno di essi il compito di mostrare visivamente (e per questo rendendolo più reale e tangibile) un quadro allarmante di una crescente tendenza verso la suddivisione della società su due livelli dicotomici (ricchi versus poveri) senza tralasciare l'importanza di affrontare le perpetranti lacune culturali che ancora minano la società francese e non solo, generanti ansie assurde sulla sicurezza, sul laicismo, e sul bullismo scolastico, e così via. È un'immersione a capofitto nella banlieue alla ricerca di uno spaccato sociale piuttosto implacabile quello narrato da Leclerc. Un mondo dove i veri ribelli sono coloro che hanno imparato l'importanza di un abbraccio, o di un sorriso velato, ma sincero.

Conclusioni

Concludiamo questa nostra recensione di Una classe per i ribelli sottolineando quanto ancora una volta la commedia francese riesca a suggerire numerosi punti di riflessione ai propri spettatori con la sola forza dell'ironia. Peccato che molti aspetti potevano essere indagati più a fondo.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
2.8/5

Perché ci piace

  • L'alchimia di un cast in parte.
  • L'umorismo trascinante.
  • La messa in scena di realtà così diverse senza cadere negli stereotipi.

Cosa non va

  • Alcune sottotrame potevano essere indagate meglio.
  • Poca creatività dal punto di vista della regia.