C'è una premessa da fare all'inizio della nostra recensione di Un volto, due destini ed è relativa alla scelta del titolo non molto felice per la nostra edizione italiana. Da un lato tende ad appiattire e rendere meno interessante all'impatto un'opera che con il suo titolo originale I know this much is true risulta meno diretta e più sfuggente (e spiegheremo tra poco perché è importante questo aspetto), dall'altro si perde il riferimento al romanzo di Wally Lamb tradotto da noi in La notte e il giorno. In entrambi i casi, la traduzione italiana fa leva sul legame dei gemelli protagonisti, addirittura - nel caso della miniserie - giocando il doppio ruolo di Mark Ruffalo che interpreta in maniera eccezionale i due personaggi. Capiamo che è l'approccio più facile e popolare, ma il rischio è quello di dare un'idea sbagliata di quella che è l'opera in questione che è, invece, stratificata, non semplice, sicuramente lontana da quell'idea di dramma famigliare un po' romantico che sembra far presagire il titolo. È un'opera non facile per vari motivi, primo fra tutti il tono scelto, ma capace anche di appagare parecchio nel corso delle sue sei ore di visione. Cercheremo di approfondire al meglio i motivi per cui questa miniserie diretta interamente da Derek Cianfrance (già regista di Blue Valentine e Come un tuono) merita il nostro interesse ed entusiasmo e lo faremo - ovviamente - senza spoiler.
La stanchezza del vivere
Siamo nel 1990 e Thomas Birdsey si presenta nella biblioteca di Three Rivers, cittadina del Connecticut, con un coltello e si amputa la mano recitando passi della Bibbia e sostenendo di averlo fatto per poter fermare la Guerra del Golfo. Suo fratello gemello Dominick si presenta in ospedale ed è già stanco: non è la prima volta che Thomas, malato da anni di schizofrenia e paranoico, gli rende la vita difficile. Una vita che difficile lo è sempre stata. Dominick è un uomo solo, il matrimonio con Dessa è andato in frantumi dopo la morte improvvisa in culla della loro bambina, non ha mai avuto un gran rapporto col suo patrigno Ray e non conosce l'identità del suo vero padre. Sul letto di morte di sua madre ha promesso di prendersi cura del fratello e quando Thomas verrà trasferito in un carcere molto duro cercherà di farlo uscire. Nel frattempo, ripenserà alla sua vita e alle sue sofferenze del passato che ancora lo tormentano cercando anche di scoprire la verità sul suo padre biologico. La trama di Un volto, due destini si sviluppa su due piani temporali, ma senza un ordine prestabilito: è un flusso di pensieri, è un viaggio a ritroso tra passato e presente senza soluzione di continuità ed è anche un insieme di suggestioni, ricordi improvvisi o interrotti, decisioni prese e poi ripensate. In poche parole, ha la struttura della vita nella misura in cui è concepita come un flusso che scorre accanto ai personaggi. A volte, quindi, i personaggi sono semplicemente vittime di un disegno molto più grande di loro e su cui non hanno la forza di reagire o controbattere dando la sensazione di essere eccessivamente martoriati.
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Il significato di compassione
Verrebbe da chiedersi cosa ci aspettiamo da un appuntamento settimanale e quindi da un prodotto televisivo che ha un'idea di intrattenimento molto distante da quella che normalmente cerchiamo (e per questo il titolo italiano lo troviamo infelice: dà una connotazione distorta e più "semplice", quasi soap-operistica dell'opera in questione). Non ci sono grossi colpi di scena e, proprio per la natura della sua struttura, spesso si ha la sensazione che alcune storyline si interrompano improvvisamente. Per tutte le sei puntate che compongono la miniserie ci sono pochissimi momenti positivi e solari e, per quanto non sia graficamente esplicita, la storia si basa quasi completamente sul dolore e sulla sofferenza, a volte in maniera urlata, ma più spesso lasciati taciti e repressi. Per approcciarsi al meglio alla visione di queste sei ore occorre, quindi, provare compassione per i personaggi, mettersi nei loro panni e cercare di sopportare la lunga lista di problemi e sfortune che attanagliano la famiglia Birdsey. Rischia molto, la miniserie di Derek Cianfrance, perché sembra non porsi limiti di alcun tipo nell'aggiungere tragedie su tragedie, ma - per fortuna - non diventa mai stucchevole, non si perde mai quella sensazione di trovarsi di fronte alla natura delle cose, non si sorpassano mai le soglie della sopportazione che potrebbero "tirare fuori" lo spettatore dalle vicende. Se si riescono ad accettare queste premesse, entrando in questo clima terso e plumbeo, tragico e pieno di dolore, la serie dà un sacco di soddisfazioni. Ha un ritmo parecchio disteso e rilassato, ma anche ipnotico e a suo modo avvincente: ogni puntata sembra durare la metà del suo reale minutaggio, le vicende si intersecano ed evolvono in maniera tale da volerne sapere di più. Condividiamo il dolore di Dominick, diventiamo un terzo gemello invisibile che, pur non potendo prendere attivamente parte alla sua situazione, preferisce non allontanarsi da lui e lasciarlo solo.
Una grande regia e un'eccezionale interpretazione
Cosa rende questa miniserie così godibile nonostante i temi e le vicende così intrise di sofferenza? Sicuramente gran parte del merito va alla regia di Derek Cianfrance e al direttore della fotografia Jody Lee Lipes. Girata in pellicola 35mm, la miniserie ha un look semplicemente perfetto: granuloso, sporco, con i colori imperfetti e i neri che tendono al grigio, una scelta precisa e perfetta che meglio ci accoglie nelle vicende di Three Rivers. Una scelta che si sposa nel migliore dei modi con l'uso compulsivo dei primissimi piani, quasi a voler staccare i volti e i personaggi dagli sfondi e da tutte le altre distrazioni: il quadro visivo diventa quindi specchio dell'animo umano dei protagonisti e allo stesso tempo, grazie alla grana della pellicola, dona un velo di intimità e calore umano (e per questo vi consigliamo di vederla nel migliore dei modi, per meglio apprezzare la scelta fotografica). Fiore all'occhiello, però, è senza dubbio Mark Ruffalo, interprete di entrambi i gemelli e capace di interagire con sé stesso in una prova attoriale che ha dell'incredibile. Fresco vincitore del meritato Emmy, Ruffalo dà il meglio di sé nel doppio corpo (Dominick è più magro mentre Thomas è molto più in carne), nel doppio look, negli sguardi e nel modo di recitare diverso risultando una vera e propria calamita dell'attenzione dello spettatore anche se il resto del cast contribuisce in maniera eccellente alla riuscita e alla credibilità della storia (citiamo Juliette Lewis, Melissa Leo e Kathryn Hahn, solo per dirne alcune). Piccola nota a margine: non possiamo non citare il nostro Marcello Fonte in un ruolo importante su cui, però, preferiamo mantenere il riserbo.
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Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Due volti, un destino applaudendo verso il risultato della miniserie di Derek Cianfrance. Sono sei ore molto intense, molto dure, colme di dolore e sofferenza, ma, attraverso una regia ben calibrata e un’interpretazione davvero incredibile di Mark Ruffalo, la visione risulta miracolosamente avvincente e piacevole senza risultare mai esagerata nei toni e poco credibile. Certo, potrà allontanare qualche spettatore che non è abituato ai ritmi un po’ dilatati e a un diverso modello d’intrattenimento televisivo, ma proprio in questa diversità sta tutta la bellezza dell’opera. Anche nella tristezza, nel dolore e nella stanchezza del vivere si trova un certo piacere empatico: arrivati alla fine della miniserie non si potrà fare a meno di essere sollevati di aver fatto un viaggio doloroso, ma anche purificatore.
Perché ci piace
- La regia di Derek Cianfrance e la magistrale doppia interpretazione di Mark Ruffalo.
- La storia, nonostante il rischio di scivolare sul patetico, mantiene un ottimo equilibrio e risulta sempre credibile.
- Si soffre parecchio, ma a fine visione si riscopre il piacere della compassione umana.
Cosa non va
- Può allontanare chi cerca storie più leggere e ha una diversa concezione di intrattenimento serale.
- Per quanto voglia raccontare la vita piena di eventi incompiuti e di domande irrisolte, a volte si ha la sensazione che qualcosa si sia perso per strada.