Un viaggio di crescita nella fantasia
Dopo Principessa Mononoke, Hayao Miyazaki aveva dichiarato la sua intenzione di ritirarsi dalla realizzazione di film.
Sarebbe stata un grande perdita per il mondo dell'animazione mondiale e per fortuna l'incontro con la decenne figlia di un amico gli ha fatto cambiare idea.
Chiariamolo subito: la città incantata - Spirited Away non è il miglior film di Miyazaki; ciononostante è quello che ha raggiunto il maggior successo di pubblico al di fuori dei confini del Giappone.
Il motivo di ciò, a parer mio, va ricercato in una caratteristica fondamentale dell'opera: Spirited Away è di gran lunga il film dello Studio Gibli più ricco ed elaborato a livello visivo e creativo.
Il mondo creato da Miyazaki come background di questa storia (che orbita da qualche parte a metà tra una storia di fantasmi e Alice nel paese delle meraviglie) è vivo e carico di colori, ricco di immagini e personaggi di grande varietà e dipinti con grande originalità e fantasia. L'autore ha, insomma, creato un'esperienza onirica ricchissima di dettagli e realismo, dimostrando ancora una volta di non avere pari nel mondo dell'animazione (e non solo all'interno dei confini nipponici).
Questa ricchezza creativa è, dicevamo, sicuramente la chiave del successo del film presso un pubblico abituato agli stereotipi emotivi e creativi occidentali; un pubblico abituato al poco coraggio e alla piattezza di troppe produzioni americane. Questo gli ha permesso di raggiungere il traguardo di un Orso d'Oro (pari merito) al Festival di Berlino, diversi premi asiatici e una nomination all'oscar nella categoria dei lungometraggi d'animazione. In fondo, il messaggio di Miyazaki è semplice dietro il paravento di luci e colori della sua fantasia imponente: Spiritd Away celebra virtù, atti ed emozioni basilari dell'essere umano, e proprio lì Miyazaki interviene per ricordare il pericolo insito nel sottovalutare questi aspetti della natura umana che consideriamo ovvi.
La protagonista del film vive la sua evoluzione sfruttando le sue naturali doti di gentilezza, onestà e devozione e la sua unica arma per portare a compimento la sua missione è la riscoperta del suo io interiore e l'esaltazione delle sue virtù.
Il monito, qui, è quindi più sottile e metaforico che in opere precedenti. Ma è accompagnato anche dai soliti temi cari allo Studio Ghibli, infatti l'ecologismo che è la base di Princess Mononoke (ma che ricorre come tema trasversale in quasi tutte le opere dello studio), qui traspare solo nel personaggio di Okutaresama, ma non per questo è meno efficace; anche il tema del totalitarismo e della sopraffazione non è assente, considerando la politica del cambio dei nomi, adottata da Yubaba, come un mezzo per rubare l'identità degli individui e sottometterli.
Nel suo complesso, il film risulta una via di mezzo tra la la semplicità che aveva caratterizzato una fase intermedia della carriera dell'autore (Il mio vicino Totoro, Kiki's delivery service) e la forza delle opere più impegnate(Nausicaa della valle del vento, Porco Rosso, Principessa Mononoke), una perfetta sintesi delle tematiche care a Miyazaki e il punto più alto raggiunto per quanto riguarda l'aspetto tecnico.
Movieplayer.it
4.0/5