Le piacciono i lunghi pomeriggi piovosi di New Orleans, quando un'ora non è un'ora ma un frammento d'eternità caduto nelle nostre mani e non si sa cosa farsene?
Una figura esile che emerge dal fumo della stazione di New Orleans, guardandosi intorno con silenziosa angoscia, in cerca di quel tram chiamato Desiderio che la condurrà fino al quartiere francese. È la prima apparizione di Blanche DuBois nella trasposizione cinematografica del testo di Tennessee Williams, in cui la protagonista, appena arrivata in città, viene inghiottita dalla rutilante frenesia metropolitana: persone, auto, insegne al neon, risate e musica jazz provenienti dai locali. Blanche ci appare da subito come una donna incerta, spaesata, un'estranea in una realtà che non le appartiene e che non riesce a fare propria; e la breve panoramica della vita notturna di New Orleans, nella scena d'apertura del film Un tram che si chiama Desiderio, anticipa il senso di smarrimento che, da lì in poi, sarà il tratto primario della protagonista.
La possibilità di offrire uno scorcio di New Orleans, prima di rinchiudere i personaggi nello spazio domestico che fungerà da campo di battaglia per i loro conflitti, è una delle innovazioni di cui Elia Kazan può avvalersi quando, nel 1951, porta sul grande schermo il capolavoro di Tennessee Williams, che aveva già diretto sui palcoscenici di Broadway quattro anni prima. Reduce dai consensi per Lo zoo di vetro, nel 1947 Williams aveva firmato infatti il dramma che gli era valso il premio Pulitzer e che si sarebbe imposto fra le più importanti opere teatrali del ventesimo secolo; ed è lui stesso a curare l'adattamento del film di Elia Kazan, che il 18 settembre 1951 fa il suo debutto negli Stati Uniti, pochi giorni dopo aver ricevuto il Leone d'Argento alla Mostra di Venezia e la Coppa Volpi per l'interpretazione dell'attrice britannica Vivien Leigh, l'indimenticabile Scarlett O'Hara di Via col vento.
Il capolavoro di Tennessee Williams dal palcoscenico allo schermo
Se Un tram che si chiama Desiderio si era rivelato uno dei massimi eventi teatrali di quel periodo, il progetto di trarne una riduzione cinematografica presentava tuttavia una serie di problematicità: dalla materia 'scabrosa' della pièce, inevitabile bersaglio delle diffidenze della censura, alla necessità di vantare nel cast almeno un nome forte, in grado di attrarre l'attenzione del pubblico. La seconda questione viene risolta ingaggiando appunto Vivien Leigh, che aveva già interpretato il ruolo di Blanche a teatro a Londra, diretta dal marito Laurence Olivier; per il resto, Elia Kazan può mantenere gli stessi attori che avevano messo in scena l'opera di Tennessee Williams a New York, con la sola eccezione della 'sua' Blanche, Jessica Tandy. Un tram che si chiama desiderio segnerà dunque la seconda esperienza sul grande schermo di un attore ventisettenne originario del Nebraska e allievo della scuola di recitazione di Stella Adler: Marlon Brando.
Dopo l'epurazione di tutti gli elementi del dramma non conformi alle regole del Codice Hays (svaniscono così i riferimenti all'omosessualità del marito di Blanche) e le minacce della Legion of Decency, associazione cattolica che impone alla Warner Bros circa quattro minuti di tagli (tagli poi reintegrati nella versione integrale uscita nel 1993), Un tram che si chiama Desiderio approda così nelle sale, registrando un successo al di là delle aspettative per un film rivolto esclusivamente a un pubblico adulto e imperniato su temi tanto controversi: in America è il quinto maggior incasso dell'anno e si aggiudica quattro premi Oscar su dodici nomination. Oltre a Vivien Leigh, ricompensata con il suo secondo Academy Award come miglior attrice, vengono premiati Karl Malden come miglior attore supporter per la parte di Mitch e Kim Hunter come miglior attrice supporter per il ruolo di Stella, sorella minore di Blanche, mentre una quarta statuetta è attribuita alle scenografie, essenziali nel rendere l'appartamento dei Kowalski un luogo soffocante dominato dall'horror vacui.
Il bruto e la bella: Stanley Kowalski e Blanche DuBois
L'idea alla base della pellicola di Kazan, del resto, consiste nel combinare due dimensioni radicalmente differenti: da un lato un crudo realismo in grado di sottolineare dettagli della quotidianità, facendo leva su una spontaneità agli antipodi dal carattere stilizzato della recitazione classica hollywoodiana; dall'altro il substrato onirico che contraddistingue la prospettiva di Blanche DuBois sul mondo, al punto da 'deformare' la realtà che la circonda e che la donna non riesce ad accettare. "Io tento di fare della magia, altero la realtà. Non dico la verità, ma quella che vorrei che fosse la verità", dichiara la protagonista, rimasta vedova dopo il suicidio del marito e costretta ad abbandonare la professione d'insegnante in seguito a una crisi di nervi. Blanche, che si fa ospitare da Stella ma non nasconde la sua repulsione verso l'ambiente proletario in cui vive la sorella, si ostina ad aderire all'archetipo aristocratico della Southern belle (come la Scarlett/Rossella di Via col vento): dall'affettazione di modi e gesti a un abbigliamento dall'eleganza opulenta e anacronistica.
Il romanticismo fuori dal tempo di Blanche e il pragmatismo spicciolo e talvolta brutale di suo cognato, Stanley Kowalski, costituiscono perciò i due poli opposti da cui avrà origine lo scontro fra i due personaggi: è il dissidio insanabile fra la vita sognata di Blanche e quella materiale vissuta da Stanley, che trova un perfetto emblema nella presenza massiccia e quasi ferina del giovane Marlon Brando. Discepolo del metodo Stanislavskij appreso da Stella Adler, Brando esprime prima a teatro e poi sullo schermo un naturalismo e una concretezza che avrebbero letteralmente rivoluzionato il cinema americano dagli anni Cinquanta in poi: dalla sua parlata strascicata, lontanissima da una dizione 'pulita', alla fisicità nervosa e imponente con cui l'attore occupa lo spazio filmico. E Kazan, che sarebbe tornato a dirigerlo in Viva Zapata! e Fronte del porto, ne evidenzia i movimenti bruschi, innervati di violenza, il sudore che traspare dai vestiti e la sensualità conturbante e animalesca.
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Gli abissi del desiderio e la gentilezza degli estranei
In fondo, se Un tram che si chiama Desiderio si dimostra un'opera spartiacque nell'ambito del cinema classico, ciò è dovuto anche alle sue modalità di rappresentazione dell'erotismo, capaci di irretire milioni di spettatori e di attirarsi gli strali dei sedicenti difensori della morale. Ne sono un esempio la voluttà colta sul volto di Kim Hunter mentre Stanley urla il celebre "Stella!" nel cortile del condominio; le languide musiche di Alex North, che fanno da contrappunto al desiderio dei due coniugi; l'intensità famelica con cui le braccia di Stella si avvinghiano alla schiena di Stanley, nell'atto di perdonarlo. Di natura più ambigua, e pertanto più inquietante, è la tensione erotica fra Stanley e Blanche, suggerita in maniera implicita ma evidente: il disagio con cui Blanche condivide l'angusto spazio domestico con il cognato, mentre quest'ultimo si spoglia davanti a lei o la mette all'angolo con la sua corporalità ingombrante e minacciosa, fino alla famigerata sequenza dello stupro, simboleggiato dallo specchio infranto prima di una necessaria ellissi narrativa.
A esaltare il contrasto al cuore del dramma - e del film - è proprio la fragilità esibita di Blanche DuBois, il suo equilibrio precario fra presente e passato, fra realtà e allucinazione; e Vivien Leigh, con la teatralità a tratti esasperata della sua performance, ne dipinge un ritratto folgorante, rendendola un personaggio assolutamente complementare allo Stanley Kowalski di Brando. L'approccio dei due interpreti non potrebbe essere più diverso, ma in tale diversità risiede la forza dirompente della pellicola di Kazan. I vezzi stucchevoli di Blanche sono l'esile paravento delle sue torbide ossessioni; la malinconia disperata nello sguardo della Leigh rispecchia l'abisso nell'animo della donna, tormentata da rimorsi inconfessabili e da un orrore senza nome. Un orrore che prende forma in un epilogo struggente, nell'abbandono di una Blanche ormai folle alla "gentilezza degli estranei", nei relitti di un focolare domestico trasformato nell'inferno dei nostri tempi: il teatro di una tragedia da cui nessuno uscirà illeso.