Ad un anno di distanza dalla sua presentazione alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, che già lo aveva premiato nel 2007 con il Leone del Futuro per il suo esordio al lungometraggio con La zona, Rodrigo Plá, arriva in Italia, grazie a Cineclub Internazionale Distribuzione per presentare la sua ultima fatica registica, Un mostro dalle mille teste, che gli è valsa un gran numero di nomination e premi in altrettante rassegne cinematografiche sparse per il mondo, dall'Havana al Tokio International Film Festival.
Un nuovo dramma dai contorni sociali incentrato su un caso di corruzione truffaldina del sistema sanitario messicano. Protagonisti Sonia Bonet (Jana Raluy) e il suo disperato tentativo di riuscire a far rivedere alla struttura mutualistica nella quale è in cura il marito, la pratica del trattamento oncologico negata dall'azienda Alta Salud nonostante gli esiti positivi dimostrati dalla costosa terapia. Il continuo negarsi del medico curante alle richieste della donna e l'aggravarsi delle condizioni mediche del compagno portano Sonia, sfibrata fisicamente e psicologicamente della situazione, a reagire in un modo anomalo quanto sintomatico del limite di umiliazione e dolore disposta ad accettare per se stessa e l'uomo che ama. E così, con una pistola alla mano e parole di risoluta gentilezza, seguita dal figlio adolescente Darío (Sebastían Aguirre Boëda), decide di sbloccare la pratica del marito costringendo i dirigenti della società d'assicurazione nella quale aveva riposto risparmi e fiducia a firmare i documenti necessari per permettere il ripristino delle cure negate...
Una burocrazia negligente
Questo film, come La zona e La demora, parla della divisione di classe. Quali sono i punti di contatto con i suoi lavori precedenti?
Rodrigo Plà: La somiglianza, se c'è, è nella sensazione di assenza, di mancanza dello Stato come tramite tra i cittadini e queste corporazioni o nel ritratto di personaggi che commettono errori, ripresi nella loro intimità. Sonia è una donna in balia della propria vulnerabilità che va contro i suoi principi e agisce con violenza ad una situazione limite. Proprio come ne La Zona, dove racconto di personaggi che si isolano per allontanarsene ma finiscono per commetterla.
La pellicola, nonostante sia un dramma, ha più di una parentesi velata di umorismo nero...
Sì, abbiamo dato volontariamente spazio ad un umorismo dai toni delicati perché credevamo fosse il modo migliore per avvicinarci alla realtà dato che anche nelle situazioni più drammatiche possono esserci momenti paradossali e ci premeva sottolinearlo.
Il suo cinema viaggia su due poli paralleli dovuti anche alla sua "doppia nazionalità"...
Sono un ibrido. Nato in Uruguay e cresciuto in Messico dove mi sono formato come cineasta. Tutto quello che ho vissuto ha lasciato un'impronta nei miei film. E oggi il Messico vive una fase drammatica che si traduce in una situazione d'impunità che vede i cittadini indifesi e vulnerabili, lasciati a loro stessi.
Un romanzo come punto di partenza di una memoria ricostruita
Com'è nata l'idea del film?
Ogni mio progetto ha una genesi creativa diversa. In questo caso il film nasce dall'omonimo romanzo di mia moglie Laura (Santullo n.d.r.) ma ad ispirare entrami fu un documentario canadese, The corporation, che analizza al dettaglio le grandi società e multinazionali. Da qui il titolo "Un mostro dalle mille teste" ...ma senza cervello. Società frammentate che prendono decisioni senza la minima responsabilità etica.
Come ha lavorato con gli attori vista la fonte letteraria dalla quale prende vita il suo film?
Per me il romanzo è molto importante per il lavoro fatto con attori e collaboratori perché, sebbene ne sia stata tratta una sceneggiatura, amo la possibilità per gli interpreti di confrontarsi con un testo di prosa che offre loro molta libertà e approfondimento per arricchire il processo creativo.
Nel film sottolinea attraverso sceneggiatura e messa in scena una coralità distorta di punti di vista...
Esatto, perché il film non racconta una verità assoluta. Ci interessava soffermarci sullo sguardo dell'altro. Tutta la pellicola è, infatti, una ricostruzione della memoria dei vari personaggi. Ma la memoria distorce la realtà e così abbiamo enfatizzato riflessi, fuori fuoco e voce fuori campo per rafforzare l'elemento della soggettività. Solo l'ultima inquadratura del film è oggettiva e ricongiunge i due momenti paralleli che lo caratterizzano.
Hollywood chiama Messico
La sua pellicola esce in sala in Italia quasi in contemporanea a Io, Daniel Blake di Ken Loach sviluppandosi da un punto di partenza simile...
Credo ci muova la medesima preoccupazione sociale che poi riflettiamo nei nostri film, lo stesso avvicinamento agli individui. Per me era importante accostarmi all'intimità di una donna impossibilitata a confrontarsi con un lutto che non vuole accettare.
Molti registi messicani sono stati attirati dal canto delle sirene di Hollywood. Cosa ne pensa?
Non ho mai dovuto resistere a grandi tentazioni anche se dopo Revolución con Gael García Bernal ricevetti molte chiamate da agenti americani. Ma ora in Messico c'è una tale indipendenza creativa che non sono sicuro valga la pena perdere...
Sta già pensando ad un nuovo film?
Sto lavorando ad un paio di progetti. Se a novembre avremo l'ok per i finanziamenti inizierò le riprese nel sud degli Stati Uniti. Si tratta della storia di una giovane madre e del suo turbolento rapporto con il figlio. A differenza dei miei lavori precedenti non mostrerà l'assenza dello Stato ma la sua eccessiva ingerenza.